La vista da qui. Appunti per un'internet italiana
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La vista da qui. Appunti per un'internet italiana

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La vista da qui. Appunti per un'internet italiana

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Se c'è qualcosa che negli ultimi vent'anni è stato sinonimo di rivoluzione, futuro, libertà in ogni luogo del mondo, questo è internet. Perché allora in Italia la capacità d'innovazione e civilizzazione della rete è stata molto spesso incompresa se non apertamente osteggiata? Massimo Mantellini si è posto questa domanda fin da quando negli anni Novanta ha cominciato a occuparsi di cultura digitale, facendo sì che nel tempo il suo nome – attraverso puntuali interventi sulla stampa e un blog popolarissimo – diventasse un punto di riferimento per chi vuole orientarsi tra presunti guru informatici e nemici del cambiamento. Ora, con La vista da qui, Mantellini ha deciso di sfruttare la sua lucidità e la sua autorevolezza per scrivere una sintesi agevole, chiarissima ma molto schierata, di questa critica del presente. Dalla gestione del copyright all'invadenza pubblicitaria di Google e Facebook, dalla tutela dei minori al problema del divario digitale, La vista da qui ci fa capire che le questioni della rete e dell'innovazione tecnologica riguardano ognuno di noi, e che dalla conoscenza di internet dipende anche la nostra possibilità di essere cittadini più liberi e solidali.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788875216245

LA VISTA DA QUI

1. SULLA MUSICA

Non so se a voi piace ascoltare la musica. A me – lo dico vergognandomi anche un po’ – ormai piace sempre meno. Faccio indagini, chiedo ai miei amici se per loro è come quando avevamo vent’anni. In genere mi rispondono che sì, a loro continua a piacere, nella stessa maniera. Quindi l’amore per la musica è immutato per tutti tranne me; forse non c’era nemmeno bisogno di dirlo. Del resto la musica è fondamentale anche perché per tutto il primo decennio della internet commerciale è stata la testa di ponte della battaglia più aspra fra vecchio e nuovo mondo. I primi pirati di internet, capaci di finire sui giornali e talvolta perfino, loro malgrado, nelle aule di giustizia, erano pirati musicali. Gente abbastanza spietata, il cui reato a volte era quello di prendere una canzone dalla propria personale libreria, ricavarne un file mp3 e distribuirlo online ad amici e sconosciuti.
Di tutto il periodo che va dalla diffusione in rete dei formati audio all’apertura di iTunes Music Store4 (la svolta illuminata e tardiva dell’industria discografica nei confronti della musica digitale in rete), due episodi meritano di essere ricordati. La storia di Diamond Rio e quella, di poco successiva, di Napster. Due storie del secolo scorso.

Due storie del secolo scorso

Personalmente non ho nulla contro l’industria discografica. Anzi, in almeno due occasioni (l’uscita di The Lamb Lies Down on Broadway nel 1974 e di Come è profondo il mare nel 1977) credo di averla amata follemente. Solo che oggi mi chiedo: come dovrei comportarmi se improvvisamente scoprissi che l’industria discografica dimostra, oltre ogni ragionevole dubbio, di avercela con me? Questa è una domanda piuttosto cruciale, che può essere allargata a piacere ad altri soggetti che maneggiano il capitale intellettuale: vale per gli editori, per i produttori cinematografici, per l’industria culturale in genere. Come dovremmo comportarci se nel giro di un decennio tutti coloro che producono e vendono le cose che amiamo e che ci fanno crescere decidessero di avercela con noi? È una bella domanda: messa in questi termini forse rende perfino plausibile una certa idea di pirateria.
La storia di Diamond Rio è una storia breve e significativa. Diamond Rio è il nome commerciale del primo lettore mp3. Di aspetto simile a un walkman senza cassette, poteva ospitare fino a 30 minuti di musica. Quando la Diamond Multimedia osò commercializzarlo, nel 1998, la RIAA, l’associazione dei discografici americani, portò l’azienda davanti a un giudice della California chiedendo che un simile oggetto fosse tolto dagli scaffali e vietato per sempre.5 Mancava solo il palo di frassino.
La ragione di una simile richiesta era che, secondo la RIAA, quel riproduttore favoriva la pirateria musicale: soprattutto liberava l’ascolto della musica digitale dai computer, la rendeva maneggevole e portatile.
Ora provate a immaginare, anche per un solo istante, cosa sarebbe successo se una simile richiesta fosse stata accolta (non lo fu, la corte californiana in due successivi gradi di giudizio diede torto agli industriali del disco). Pensatelo ora, a quindici anni di distanza, quando ormai tutta la musica del mondo viaggia in formati come l’mp3, dentro riproduttori che sono i pronipoti del Diamond Rio. Immaginate il formidabile sforzo reazionario di un’industria che sceglie di pensare solo a se stessa, e forse capirete la ragione per cui qualsiasi persona di buonsenso quando sente parlare di pirateria musicale e di industria discografica storce il naso e fa le boccacce.
Abbiamo sfogliato solo poche pagine di questo testo e già arriviamo alla prima avventata conclusione: la storia dell’industria dei contenuti di fronte all’avvento di internet è stata, nel suo primo decennio, ma spesso purtroppo anche in seguito, una storia dai tratti fortemente conservatori. La preoccupazione per la propria sopravvivenza, il tentativo di congelare un universo intero al suo status quo, ha prevalso su tutto e ha annullato qualsiasi spinta innovativa. Così è accaduto che ritardi, storture e danni considerevoli alla nostra crescita culturale siano stati determinati dalla stessa industria culturale. Difficile dire quando e in che misura questo sia successo, se un simile atteggiamento sia stato figlio di un’emergenza o di un momento di svolta; di sicuro, in un gran numero di casi, il valore artistico e culturale è diventato accessorio rispetto a una serie di altre variabili prevalentemente economiche. E a un certo punto è come se internet avesse sollevato un velo che faceva scudo agli ingenui: quel malinteso secondo il quale l’industria dei contenuti aveva – appunto – una responsabilità prioritaria nei confronti della cultura.
Quanto a Napster,6 che è stato il primo software di condivisione peer to peer di largo uso su internet, si tratta del secondo atto di questa storia. Napster ha segnato un’epoca, valicando ogni frontiera possibile fra genialità, tribunali, pirateria, acquisizioni, piattaforma legale, fallimenti e rinascite, e si è seduto infine sulla panchina della propria raggiunta inattualità. Lo cito per due sole ragioni, entrambe rilevanti. La prima è che quel piccolo software è stata la prima vera rappresentazione di internet come una rete di persone collegate in tempo reale. Accedevi a un server e milioni di utenti erano lì, con te, in quel preciso istante. Ovviamente esistevano già IRC, i software di messaggeria, altri ambienti di rete sincroni, ma mai fino ad allora un tale numero di convitati era accorso contemporaneamente in uno spazio digitale. In questo senso Napster ha costituito un’anteprima brutale e grossolana delle piattaforme di rete sociale tanto utilizzate oggi.
La seconda ragione, forse la più essenziale, di certo la meno citata, è che, nella sua breve vita di ambiente libero e indipendente, Napster ha mostrato, come nessuno aveva saputo fare prima, le potenzialità archivistiche della rete internet. Dentro una piattaforma con vasti tratti di illegalità, chi aveva occhi per osservare poteva individuare la nascita di una nuova categoria di amanuensi digitali.
4 L’iTunes Store è un negozio online per la vendita di musica digitale, video e film gestito da Apple, inaugurato il 28 aprile 2003. Dopo una settimana dalla sua apertura lo Store aveva già venduto un milione di brani musicali. Dall’apertura al 2013 le canzoni vendute sono state circa 25 miliardi. (Fonte: Wikipedia)
5 Il Diamond Rio PMP 300 fu presentato il 15 settembre 1998, e l’8 ottobre 1998 la Recording Industry Association of America chiese a una corte californiana la sospensione delle vendite in violazione dell’Audio Home Recording Act. La richiesta fu respinta una prima volta il 26 ottobre dello stesso mese. Anche nella causa di appello intentata i giudici ritennero che il lettore non violasse le norme sul copyright e che il suo utilizzo fosse compreso nel fair use.
6 Napster è stato il primo client peer to peer di largo utilizzo; rilasciato nell’estate del 1999, utilizzava una serie di server centrali che contenevano le liste dei computer e dei file condivisi. Nel luglio 2001 fu chiuso dalla magistratura per violazione del copyright. Nel 2002 fu acquistato da Bertelsmann AG, acquisto poi bloccato da un giudice che ne dichiarò il fallimento.

2. SUGLI AMANUENSI DIGITALI

Sono costretto a rivelare che, circa venticinque anni fa, insieme ad alcuni amici, ho pubblicato un disco. Anzi, per la verità, due. Due dischi bruttini e trascurabili dei quali non ho alcuna intenzione di parlare. Uno dei due fu comunque stampato e distribuito in diversi paesi europei. Ignoro quante copie abbia venduto, di sicuro dopo sei mesi me n’ero dimenticato. A quei tempi i dischi erano ancora in vinile, così io ne ho un paio di copie che conservo per ricordo a casa mia; mia madre mi pare ne abbia un’altra, mia figlia ne ha nascosta una nella sua camera per scongiurare l’ipotesi che io un bel giorno mi svegli e – come direbbe Battisti – decida di rompere col passato.
Racconto tutto questo solo perché qualche anno fa ho scoperto, per caso, che quei dischi, quella musica che ho composto venticinque anni fa, su internet ci sono. Per esempio li potreste ascoltare su YouTube perché alcuni sconosciuti un giorno hanno utilizzato una mezz’ora della loro vita per ricavare da quei vinili un paio di file mp3 e caricarli in rete, dove, a questo punto, le mie due canzoni perdute rimarranno per un bel po’ di tempo.
Quando ascolto le grandi discussioni sui rischi legati alla internet-elefante che nulla dimentica, io non riesco a concentrarmi su nessuno degli enormi problemi che si è soliti citare in questi casi. Non riesco a occuparmi della faccenda dei diritti d’autore, dei rischi per la privacy, delle complicazioni per la nostra reputazione che potrebbero sorgere e che talvolta effettivamente sorgono. Non riesco a dedicarmi con entusiasmo nemmeno alla discussione sociologica sulla rete internet che stravolge l’attitudine naturale a dimenticare gli avvenimenti della nostra vita più lontani nel tempo; quella teoria, talvolta interessata, secondo la quale siccome il nostro cervello tende a cancellare le informazioni più antiche, anche la memoria di internet dovrebbe usare un meccanismo di oblio analogo. Non nego che si tratti di temi considerevoli, al contrario so perfettamente che lo sono; ma io, quando sento citare la grande memoria di internet, penso subito alle ampie potenzialità del suo archivio incidentale.
A pochi chilometri da casa mia, quando sono in Italia, c’è una delle più belle biblioteche del mondo. Piccola, certamente; ma una delle più belle (lasciatevelo dire da uno che le biblioteche un po’ le ha girate, visto che mia moglie praticamente ci abita dentro). Si tratta di una biblioteca molto antica che Novello Malatesta fece costruire nel XV secolo a Cesena.
Perché questa biblioteca è così importante? Intanto perché è un luogo magico, uno dei pochi luoghi capaci di proiettarti con esattezza, nel giro dei due passi che occorrono per entrare, in un altro momento storico. Poi perché i libri che contiene, che sono lì da cinquecento anni, riposti in appositi spazi sotto i piani di lavoro inclinati degli amanuensi, hanno le catene. Proprio così, i 343 manoscritti sono inchiavardati ai leggii perché i monaci avevano timore che potessero essere rubati.
Le catene in questo caso sono fondamentali perché la memoria è fondamentale: volendo esagerare, si potrebbe sostenere che la memoria è tutto quello che abbiamo, e più le catene che ci uniscono a essa sono forti e meglio sarà per noi. Incatenati alla nostra memoria conosceremo di più e, facendo tesoro del passato, forse sbaglieremo di meno. O così almeno ci piace sperare.
Sulla porta della biblioteca c’è la scultura di un elefante bianco, animale dalla memoria prodigiosa che è il simbolo dei Malatesta.
Jacopo da Pergola, Francesco di Bartolomeo da Figline, Giovanni da Magonza, Francesco de Tianis, Jean D’Epinal: sono i nomi di alcuni degli amanuensi e dei copisti che lavorarono a Cesena dentro quella biblioteca. A questi sconosciuti signori vissuti tanti anni fa dobbiamo qualcosa in termini di conservazione e diffusione della conoscenza: in nome di costoro dovremmo cercare di comprendere che internet è la nuova Biblioteca Malatestiana, che la registrazione e la diffusione della conoscenza oggi non riguardano più solo la Cosmographia di Tolomeo o il De civitate Dei di sant’Agostino, ma un immenso patrimonio di contenuti pulviscolari che è molto difficile identificare e accreditare nel loro ruolo di materiale culturale.
Quando la Biblioteca del Congresso, negli Stati Uniti, diede vita a un progetto7 per archiviare tutti i tweet prodotti, noi non riuscimmo a non sorridere, magari ricordando le tante sciocchezze scritte negli anni su Twitter. Eppure, sporadicamente, dentro quelle brevi frasi da 140 caratteri, dentro una foto raccolta da un cellulare e postata in rete, troviamo squadernato il racconto contemporaneo del mondo. Lo stesso accade per milioni di altri contenuti che riempiono la rete. In questa enorme operazione di archiviazione incidentale, basata su meccanismi economicamente assai poco comprensibili (perché mai un amatore belga che non conosco e che non mi conosce dovrebbe mettere su YouTube un mio vecchio disco scomparso da anni dagli scaffali?), risiede oggi il principale valore di internet. Possiamo accettarlo oppure no, possiamo fidarci e attribuirgli dignità oppure seguire i consigli di Umberto Eco che una volta ci avvisò:
io uso internet, che mi ha cambiato la vita, ma il più delle volte quello che ci trovo mi serve solo da richiama memoria. Poi devo verificare su un libro.8
Solo che a questo punto sorge una piccola complicazione: il lavoro millimetrico dei nuovi amanuensi, nato ai tempi del web leggi-e-scrivi di Tim Berners-Lee9 e proseguito su Napster, sui blog, su YouTube e in mille altri luoghi dell...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Colophon
  3. Frontespizio
  4. Dedica
  5. Inizio
  6. LA VISTA DA QUI
  7. Fine