Il fantasma del sabato sera. Interviste sulla vita e sulla musica
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Il fantasma del sabato sera. Interviste sulla vita e sulla musica

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Il fantasma del sabato sera. Interviste sulla vita e sulla musica

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Informazioni sul libro

Tom Waits è un artista capace di fondere in una personale e raffinatissima idea di songwriting suggestioni poetiche e musicali molto distanti: la letteratura beat e il vaudeville, il folk e il blues, il jazz e la musica industriale. Con la sua voce rauca e cavernosa sa interpretare struggenti ballate d'amore e spericolati arrangiamenti rumoristi, raccontando con il candore di un Bukowski l'America dei desperados e degli ubriaconi del sabato sera, delle highway e delle tavole calde. Ma nei suoi testi, come nella sua inimitabile presenza scenica, scorre sempre anche una vena comica, quasi clownesca, che attinge a piene mani al nonsense, al surreale, al gioco di parole («Il vocabolario è il mio strumento principale», ha dichiarato una volta). Questa selezione di interviste ripercorre la quarantennale carriera del musicista californiano, svelandone le passioni, le idiosincrasie, le fonti di ispirazione, le collaborazioni extra-musicali – sono celebri i suoi cameo come attore in film di culto quali America oggi di Robert Altman, Daunbailò e Coffee and Cigarettes di Jim Jarmusch, La leggenda del re pescatore di Terry Gilliam – e restituendoci quella miscela di umorismo, visionarietà e disincanto così inconfondibilmente (e irresistibilmente) waitsiana.«Un libro bellissimo che elettrizza e sorprende, che depista ed entusiasma. Come le trovate musicali di Yates».Alias, il Manifesto

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Informazioni

Anno
2023
ISBN
9788875214821
Argomento
Literatura
Categoria
Clásicos

TERZA PARTE

BONE MACHINE (1992)

Dopo la valanga di interviste e di apparizioni televisive per promuovere il film e l’lp Big Time, Waits sparì per quattro anni per dedicarsi alla famiglia ed elaborare nuove idee per la sua musica.
Fu inondato di proposte dal cinema, e alcune le accettò, tra cui La leggenda del re pescatore (1991) di Terry Gilliam e Giocando nei campi del Signore (1991) di Héctor Babenco, Coffee and Cigarettes (1993) di Jim Jarmusch e America oggi (1993) di Robert Altman. Si occupò anche della colonna sonora di un altro film di Jarmusch, Taxisti di notte (1991). La maggior parte delle persone che lavorarono con lui furono conquistate dal suo carattere schietto e spontaneo.
A restare particolarmente colpito fu Terry Gilliam, che infatti volle coinvolgerlo anche nei suoi progetti successivi. Gilliam parlò di Waits in un’intervista del dicembre 1997 con Phil Stubbs: «In sostanza, era un amico di Jeff Bridges, che mi disse: “Devi conoscere Tom”. La cosa curiosa è che quando l’ho incontrato, e persino durante la lavorazione del film, non avevo mai sentito un suo disco. Non li avevo proprio mai ascoltati. L’ho conosciuto e mi è piaciuto subito. È entrato nel cast e se l’è cavata benissimo. Quelli della produzione volevano farlo fuori, dicevano che il suo ruolo era irrilevante ai fini della storia, pensavano che fosse uno di quei dettagli su cui poter risparmiare. Avevano torto marcio».
Waits si ritrovò anche a combattere una battaglia personale contro le multinazionali che volevano trarre profitto dalla sua voce e dalla sua immagine, entrambe inconfondibili. Per principio, Waits rifiuta tutte le richieste di utilizzo delle sue canzoni o della sua voce per vendere un prodotto. La prima causa la vinse nel 1988, quando la Frito-Lay gli chiese di poter usare una delle sue canzoni, «Step Right Up» (che, tra l’altro, è un atto d’accusa contro la pubblicità). Waits rifiutò e la Frito-Lay ingaggiò un imitatore per cantare un pezzo palesemente copiato da quello che gli era stato negato. Gli avvocati del cantante si rivolsero alla Corte d’Appello, che riconobbe a Waits due milioni e trecentosettantacinquemila dollari di risarcimento. Con questa vittoria legale Waits è stato uno dei primi artisti ad avere la meglio su una multinazionale in una controversia per l’uso di un imitatore non autorizzato. È passata alla storia la dichiarazione che ha rilasciato a un giornalista: «Se Michael Jackson vuole lavorare per la Pepsi, perché non si procura un completo e un ufficio nel loro quartier generale e la fa finita?» Nelle interviste che seguono ha detto chiaramente la sua sull’essere percepiti come un prodotto commerciale. Rifiutando qualsiasi richiesta di collaborazione, Waits ha scovato e sconfitto tutti quelli che volevano violare i suoi diritti d’autore.
Nel 1992, i primi di agosto, cinque anni dopo Franks Wild Years, Waits e la Island Records pubblicarono quello che tanti considerano il suo capolavoro, Bone Machine, una sinfonia cacofonica di carne e metallo sincopata su accordi essenziali per pianoforte a fare da sottofondo alle sue cronache dal mondo delle discariche. La strumentazione progressive non aveva pietà per gli ascoltatori profani, anche se il disco vinse un Grammy come Miglior album di musica alternativa. Le sferraglianti percussioni iniziali che introducono «Earth Died Screaming» sono sovrastate dai vocalizzi sfilacciati di Waits: il tempo non era riuscito tanto ad ammorbidire le sue corde vocali, quanto a rendere coerente un simile contrasto.
I temi del disco erano l’omicidio, la mortalità e la nostalgia. A disposizione c’era una fucina di talenti musicali, tra cui Keith Richards, già una volta ospite di Waits, Les Claypool dei Primus e David Hidalgo dei Los Lobos. Waits rimase nei paraggi di casa sua e decise di registrare ai Prairie Sun Recording Studios di Cotati, in California. La sala scelta per l’occasione, lo Studio C, rimase nota ai musicisti di passaggio come «Waits Room». Il direttore, Mark Rennick, descrisse alcuni dettagli del suo Prairie Sun al Sonoma County Independent nel 1999.
Lo Studio X e le sale per i live si trovano nei vecchi incubatoi di cemento, e una di queste – adesso chiamata Waiting Room – è l’ambiente acustico preferito di Tom Waits.
«[Waits] scelse queste sale con “l’eco” e creò il paesaggio acustico di Bone Machine», dichiara Rennick.
Attualmente, a occupare un intero angolo della spaziosa sala principale dello Studio X c’è un enorme mucchio di strumenti esotici usati da Waits durante le registrazioni del suo ultimo album, ancora senza titolo. L’assortimento varia dal grossolano allo sgangherato. Gli oggetti meglio identificabili sono vecchi tamburi giganteschi di legno, antichi pianoforti da luna park, chitarre di tutte le dimensioni e forme, e una catasta di attrezzi da giardino arrugginiti.

«Quel che ammiriamo di Tom è che è un musicologo. E poi ha un orecchio impressionante», sostiene. «Il suo talento è un patrimonio nazionale».

Jesse Dylan, il figlio di Bob, scattò una serie di foto di Waits che imitava un giullare di corte, con uno zucchetto di pelle completo di corna sulla testa e un paio di occhiali da aviatore. Una foto particolarmente sfocata – che richiamava le sfocate linee sonore del disco – divenne la copertina di Bone Machine.
***
IL FALSO IN WAITS
di Pete Silverton
(Observer, luglio 1992; data di pubblicazione: 23 novembre 1992)
Chiacchierare con Tom Waits significa farsi mentire, molto, deliberatamente e spassosamente. «I’ll tell you all my secrets but I’ll lie about my past»,[47] ha cantato una volta.
Prendete per esempio quella cicatrice a forma di virgola che ha al centro della fronte, perpendicolare alle solite rughe. «Gesù», ha esclamato (parola che suona innocente sulla pagina ma non nella sua bocca). Non sapeva da dove provenisse quella cicatrice. Non se lo ricordava. Si è interrotto, guardandosi un po’ intorno e sciogliendosi i muscoli mentre rifletteva. Poi, d’un tratto, gli è tornato in mente. Era stato un proiettile. La cicatrice segnava il punto d’ingresso; il proiettile era entrato nel cranio, aveva perforato il cervello ed era uscito dalla nuca.
«E non mi sono mai sentito meglio in vita mia», ha brontolato, bevendo il caffè mattutino.
O prendete la storia del suo primo incontro con Joe Strummer, quando Waits si era ritrovato a suonare nel club di Ronnie Scott a Londra nel 1976. (Questa me l’ha raccontata Glen Matlock, il bassista dei Sex Pistols.) Uno Strummer ancora sconosciuto aveva incontrato Waits pochi giorni prima, e quella sera si era presentato all’entrata reclamando il biglietto gratis che gli era stato promesso. Waits si era affacciato alla porta con un cappottone scuro, aveva fissato Strummer con fare distratto, poi aveva afferrato una pinta di Guinness appena spillata da una tasca interna del cappotto, se l’era bevuta tutta d’un fiato e aveva detto al buttafuori di farlo entrare.
È una storia che, ora come ora, non dice niente a Waits, ma gli piace tantissimo e si entusiasma. «Gesù, è una storia GRANDIOSA.
«Sì, non apprezzo particolarmente la verità. Preferisco una storia ben inventata alla realtà dei fatti. Sono così.
«Sono un gran bugiardo».
E su cosa mente Tom Waits?
«Mmm, mmm». Ha fatto una lunga pausa, forse cercando ispirazione nella trama della tovaglia, forse sperando che io chiudessi il becco e me ne andassi per potersi godere il resto della giornata con la moglie e i due bambini. «Qualsiasi risposta sarebbe probabilmente una bugia».
Tom Waits aveva un disco nuovo quindi Tom Waits doveva rilasciare alcune interviste così Tom Waits, una calda mattina d’estate, si è seduto al tavolo di un caffè parigino; alloggiava in un hotel costoso e discreto dall’altra parte della strada. Per lui era una colazione, per il resto di Place des Vosges era un normale pranzo del sabato.
Da buon americano, aveva davanti a sé una Coca-Cola e un caffè macchiato lungo, e non si è sforzato minimamente di parlare in francese. «Non è una città per uomini, Parigi, non è una città per uomini», canticchiava di tanto in tanto. Come al solito era accartocciato sulla sedia, e continuava a girarsi, rigirarsi e grattarsi. Strascicava gli stivaletti neri da motociclista sotto il tavolo. L’impronta grigia della mosca sul mento – l’unica traccia rimasta della varietà di peluria facciale testata da Waits negli anni – se ne stava al solito posto, proprio sotto il labbro inferiore.
Era un ambiente improbabile per un uomo le cui recensioni sembravano inevitabilmente segnate dai soliti cliché sulle sbornie da due soldi, le macchie di nicotina, i quadri di Edward Hopper e i romanzi di Jack Kerouac. Eccolo lì, in uno dei posti più caratteristici della Parigi prerivoluzionaria, a pochi passi dalla Bastiglia, dove l’edificio vetrato dell’Opéra svetta come un tempo deve aver fatto la vecchia prigione.
Volendo dare credito agli stereotipi su Waits, a questo punto si potrebbe pensare che il cantante si sarebbe sentito più a suo agio in questa zona ai tempi in cui la Bastiglia e il suo ospite più illustre, il Marchese de Sade, erano ancora vivi (e se non in forma, quantomeno godevano di un’apprezzabile cattiva salute). Per completare l’opera, bisognerebbe citare anche la volta in cui ha dichiarato di vivere all’incrocio fittizio tra via del Manicomio e via dello Squallore, o meglio ancora tirare in ballo il lungo soggiorno al motel Tropicana di Los Angeles, con la sua bella collezione di paccottiglia d’antiquariato e la magnifica piscina nera.
Allo stesso modo, Waits avrebbe potuto persino aspirare a una domenica a Place des Vosges a osservare i realisti francesi riuniti per la parata settimanale nelle loro belle divise blu, insieme ai figli con i loro bei pantaloncini di velluto a coste, dato che corduroy, velluto a coste, è una parola realista che deriva da corde du roi, corda del re.
Non state a sentire chi ve la racconta in modo diverso: nonostante le sue idiosincrasie, e ce ne sono a bizzeffe, Waits non ha nulla a che fare con questi vecchi stereotipi. Anche quando ci era immerso fino al collo, Rickie Lee Jones – la sua ragazza all’epoca – la vedeva diversamente. Era convinta che Tom non desiderasse altro che vivere in un bungalow con dei bambini urlanti e trascorrere il sabato sera a guardare un film. Il che, urlo più urlo meno, è all’incirca quello che ha ottenuto.
Oggi ha quarantadue anni, e da circa dodici è sposato con una donna che faceva la sceneggiatrice e con la quale adesso scrive le canzoni. L’ex signorina Kathleen Brennan ha i capelli biondi e lisci, la pelle chiara. È cresciuta nelle campagne dell’Illinois, dove i gatti morti appesi davanti alla porta di casa sono una scena familiare. Adesso vive con Tom Waits in un piccolo villaggio della California. E no, non dirà niente, anche se farà qualche pettegolezzo sorseggiando del tè.
Lui, invece, parlerà della loro collaborazione alla scrittura dei testi. È difficile lavorare con la propria moglie, no? «È ovvio, ce le diamo di santa ragione, ma con i ragazzini e la convivenza ti ritrovi a fare tutto insieme. Quindi perché non scrivere canzoni?»
Cosa apporta di nuovo Kathleen ai testi?
«Una frusta. La Bibbia. L’Apocalisse. È cattolica, quindi tutta quella roba lì: sangue, alcol e senso di colpa. Mi tormenta perché io non scriva sempre la stessa canzone. Cosa che fanno un sacco di persone, compreso il sottoscritto».
È anche un uomo con due figli picc...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Introduzione
  3. PRIMA PARTE
  4. SECONDA PARTE
  5. TERZA PARTE