Polvere di stelle
eBook - ePub

Polvere di stelle

Il glam rock dalle origini ai giorni nostri

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Polvere di stelle

Il glam rock dalle origini ai giorni nostri

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Da Marc Bolan ad Alice Cooper, da Gary Glitter a Lou Reed, dai Roxy Music ai New York Dolls, da Wayne County ai Queen, dagli Ultravox ai Kraftwerk, dal Rocky Horror Picture Show a L'uomo che cadde sulla Terra, senza dimenticare un'esauriente panoramica sugli strascichi del fenomeno: Johnny Rotten, Kate Bush, Grace Jones, Prince, Madonna, Marilyn Manson, Lady Gaga e Kanye West, per fare solo alcuni nomi. A farla da padrone è però David Bowie. Concepito e scritto quasi interamente prima del 2016, Polvere di stelle è stato rivisto e arricchito in seguito alla scomparsa del Duca. Simon Reynolds ne ripercorre la traiettoria personale e artistica a cavallo tra Inghilterra e Stati Uniti – non a caso i due paesi d'origine del glam rock – con la vertiginosa e straordinaria profondità analitica di cui è maestro, senza tentazioni agiografiche ma con la passione di un fan sconvolto dalla sua morte improvvisa. Ancora una volta la musica è utilizzata come lente per leggere i periodi storici, tracciando nessi spesso coraggiosi tra le forme artistiche più disparate: Oscar Wilde diventa così il «profeta del glam», mentre l'ascesa del rock parodico negli anni Settanta rientra nel concetto di «maniera» delineato da Oswald Spengler nel Tramonto dell'Occidente. Leggere Reynolds significa (ri)scoprire interi universi musicali, raccontati con uno stile che da oltre dieci anni affascina un pubblico di lettori italiani sempre più entusiasta.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Polvere di stelle di Simon Reynolds in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Mezzi di comunicazione e arti performative e Musica. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2017
ISBN
9788875218768

1
sbarra

POETA BOOGIE: MARC BOLAN E I T. REX
JOHN’S CHILDREN
immagine flash
TYRANNOSAURUS REX
immagine flash
T. REX

Al vertiginoso culmine della carriera di Marc Bolan, Melody Maker pubblicò uno speciale sul concerto dei T. Rex il 9 giugno 1972 al Birmingham Odeon che dava spazio a voci pro e contro. A rappresentare il fronte anti-Bolan era Barry Fantoni, un vignettista e critico jazz che veniva identificato – satiricamente, senza dubbio – come «critico classico» della rivista. L’«impressione complessiva», spiegava malizioso Fantoni, «era che la musica [...] centrasse un risultato pressoché senza precedenti nella misura in cui tutti i pezzi erano esattamente uguali, non solo nel tempo, nella melodia e nell’armonia, ma anche nella tessitura, nell’arrangiamento e nelle dinamiche». Sistemandosi un invisibile farfallino, Fantoni confessava di invidiare per la prima volta in vita sua la sordità di Beethoven.
La voce pro Bolan apparteneva alla quindicenne Noelle Parr di Kilsby, nel Northamptonshire. Più che di una recensione si trattava di una serie di commenti spontanei tratti da un’intervista rilasciata all’inviato di Melody Maker, eppure le riflessioni di Noelle erano assai più significative dell’arida ironia di Fantoni, perché sensibili alle componenti visive che facevano dei T. Rex un’esperienza pop totale:
I suoi capelli ricci, per cominciare. Il modo in cui li muove mi ha conquistato. Quando suda gli si appiccicano alla fronte. È troppo sexy.
E poi come si muove. Il corpo fa le onde. È veramente troppo. Ti dà una scarica di emozioni. E tu non puoi che lasciarti andare.
E i vestiti sono fantastici. Perfetti per il corpo e per quel viso splendido. La gente lo critica per le scarpe da donna, ma lui si mette qualunque cosa gli stia bene. Se ne frega degli altri.
Solo per ultima, la musica dei T. Rex:
La sua musica è originale – pensa, la scrive quasi sempre in bagno – e sul palco è meraviglioso. Ci mette l’anima. Lui la sua musica la vive.
Noelle concludeva con un aneddoto teneramente malizioso. Lei e altre quattro amiche avevano portato in offerta votiva al loro idolo «un grosso paio di bloomers rosa» con sopra ricamato un messaggio per Marc e per Mickey Finn, l’esile percussionista del gruppo, firmato «da cinque vamporatrici: Suzanne, Noelle, Judith, Beverley, Adaline». L’allusione era a «vampire for your love»,3 da «Jeepster», la recente hit dei T. Rex. Le ragazze si erano divise i quarantacinque pence di spesa per i mutandoni.
Per quanto fredda e asettica fosse la sua lettura, Fantoni non sbagliava del tutto. Il repertorio dei T. Rex è indubbiamente ripetitivo, persino inconsistente, se vogliamo. Nulla a che vedere con un canzoniere ampio e variegato come quello dei Beatles: e dire che la Beatlemania veniva sistematicamente citata come antecedente della T. Rextasy, e Bolan esaltato per la sua capacità di scatenare un’isteria adolescenziale che non si vedeva dai primi tempi dei Fab Four. Critici classici come Wilfrid Mellers apprezzavano le sottigliezze pentatoniche di Lennon e McCartney, ma nessuno si è mai spinto tanto a fondo nell’analisi bolanologica.
La T. Rextasy non apparteneva a quella categoria di fenomeni abbastanza solidi, misurabili e riconosciuti da costituire un’eredità: era troppo volatile. Più che un corpus di opere (composizioni, brani memorabili), Bolan ci ha lasciato un insieme di performance cariche di sensualità. Se le sue canzoni non si prestano a cover efficaci (basti pensare a «Get It On», bistrattata senza ritegno dai Power Station) è perché poggiavano sulla personalità e sulla presenza scenica dell’artista.
Nemmeno al suo apice Bolan veniva considerato un peso massimo. Quando si definiva un poeta – vantandosi, non a torto, di essere il bardo più letto in Inghilterra grazie al volume di versi The Warlock of Love, acquistato in massa dai fan – nessuno lo prendeva sul serio. Be’, nessuno tranne Noelle, che su Melody Maker lo esaltava come «un poeta eccezionale che crede nelle persone umili e ti spalanca le porte di un mondo diverso», predicendo che «in futuro, quando il mondo toccherà il vertice della conoscenza, si accorgerà degli scritti di Marc Bolan».
Bolan non aveva studiato alla scuola d’arte come i Roxy Music né condivideva le ambizioni intellettuali di un autodidatta come Bowie: più che Burroughs e Nietzsche leggeva J.R.R. Tolkien e C.S. Lewis. Da stravagante oggetto di culto hippie si era improvvisamente trasformato in sex symbol per ragazzine, senza passare per nessuna fase intermedia di credibilità artistica. Soprattutto in America, dove l’unico singolo dei T. Rex a entrare nella Top 10 fu «Get It On» – reintitolato «Bang a Gong» per evitare confusione con un’altra hit dal titolo simile – Bolan è considerato una figura irrilevante.
Eppure fu proprio la sua caratura di peso leggero a farne un prodigio. I T. Rex avevano tolto al rock la muscolosa grevità blues per renderlo flessuoso e succulento. In un’epoca in cui la gamma espressiva della sessualità rock maschile andava dal tronfio-grintoso («All Right Now» dei Free) all’eroe vichingo («Whole Lotta Love» dei Led Zeppelin), Bolan aggiunse al genere un tocco di androginia senza però sacrificarne l’impatto e la foga. Insomma, dal rock cazzuto (cock rock) al rock civettuolo. Invece di puntare sulla magniloquenza della botta e via, le canzoni dei T. Rex costruivano un groove reciproco, un movimento sessuale delicato che Bolan definiva «slide» (scivolata). I ruoli attivi e passivi erano interscambiabili: nei suoi pezzi era preda e oggetto (quale cantante maschio aveva mai ansimato «take me» con la stessa bizzarra esaltazione di Bolan in «Get It On»?) non meno che predatore. Il tutto senza mai perdere l’ironia, per esempio quando sibilava «And I’m gonna suck you»4 alla fine della routine vampiresco-amorosa di «Jeepster».
I T. Rex evitavano la pesantezza anche in un altro senso. A differenza delle sonorità cupe e depresse dei Black Sabbath e di altri gruppi heavy metal, la musica di Bolan non esprimeva nessun senso di travaglio e difficoltà. In altre parole, i T. Rex bypassarono la cappa di tetraggine post anni Sessanta che opprimeva la cultura rock all’inizio del nuovo decennio. «Cosmic Dancer» e «Life’s a Gas» – quanto di più simile a una dichiarazione d’intenti Bolan abbia mai scritto – ricordano piuttosto la leggerezza di spirito di Così parlò Zarathustra e della Gaia scienza di Nietzsche, dove «gaia» vale «allegra» e non «gay»: l’aggettivo tedesco è fröhliche, dalla stessa radice dell’inglese frolic (giocoso). Canto e danza erano essenziali per il filosofo, espressione e segno visibile di salute esistenziale e integrità interiore: «Ora sono leggero, ora volo, ora mi vedo sotto di me; ora un dio danza in me»,5 si esalta in Zarathustra.
Per certi versi, i detrattori dei T. Rex hanno ragione. La loro è una musica acerba, rivolta non agli adulti, bensì al nostro capriccioso bambino interiore: curioso, ingenuo, facile allo stupore, incline a confondere realtà e fantasia, ancora al riparo da assenza e perdita, da delusione e declino.
«Sono rimasto bambino», dichiarò Bolan a Melody Maker al culmine del successo. «Non credo di essere cambiato da quando avevo quattro anni. Forse ero più al passo coi tempi quando sono uscito, quando sono nato». Viene alla mente il mito moderno di Peter Pan. Marc Bolan era un Peter Panteista, un pagano moderno stupefatto e incantato da tutto. «Mi sento come un bambino. Qualsiasi cosa mi sbalordisce», spiegò alla rivista Star. Ed era un Peter Pansessuale: non tanto bi-curioso, quanto il figlio polimorfo e capriccioso della dottrina freudiana, aperto a ogni possibilità erotica.
Di fatto ebbe perlopiù relazioni con donne, ma certe persone, come il suo primo manager Simon Napier-Bell, erano convinte che fosse «fondamentalmente gay». Trattava il sesso come l’abbigliamento: a prescindere dal genere, provava tutto ciò che lo attirava.
Il carattere e il mondo di Marc Bolan sono riassumibili in quattro punti: androginia, dandismo, fascino e una quarta categoria identificabile tramite una serie di sostantivi che iniziano con la lettera «f»: fantasia, favola, la faerie di Tolkien. Sono aspetti non necessariamente sovrapposti: è del tutto possibile essere androgini senza nutrire interessi particolari per il vestiario o l’abbellimento di sé. Tuttavia, esiste una linea che attraverso la feyness (bizzarria) collega la faerie all’androginia. Nell’antichità l’aggettivo fey indicava i possessori di un’aura da changeling,6 che si riteneva provenissero sul serio da un mondo di elfi, folletti, spiritelli maligni e altre creature soprannaturali. Senza dimenticare, naturalmente, che fairy è un pittoresco sinonimo di «checca».
L’effeminatezza ostentata era un tratto saliente del rock sin dai suoi albori – basti pensare a Little Richard – ma era particolarmente pronunciata nel pop inglese. Il fenomeno era riconducibile da un lato a una tradizione di manager gay capaci di scovare bei ragazzi la cui innocua sensualità faceva colpo sulle teenager, dall’altro alla rete delle scuole d’arte, che infondevano alla scena rock britannica un certo lassismo bohémien nel look e nei costumi sessuali. Nel saggio Bomb Culture del 1969, Jeff Nuttall ricorda il momento degli anni Sessanta in cui le pose da scuola d’arte iniziarono a filtrare nella scena dei gruppi beat: «Si verniciavano le scarpe con la lacca di Woolworth’s. Entrambi i sessi si truccavano e si tingevano i capelli [...] Kinky7 era una delle parole più usate. Era un trionfo di chiusure lampo, calzoni di pelle, stivali, PVC, plastica trasparente, uomini truccati, mille sfumature di perversione sessuale».
Il rock inglese degli anni Sessanta trasudava quello che il critico americano Andrew Kopkind definiva «non un tipo di sessualità, ma un senso dell’ambiguo». Era quanto mai evidente nei Kinks: dalle mossette plateali di Ray Davies alla sensualità suggerita in brani come «See My Friends» e «Fancy», destinata a diventare esplicita negli anni Settanta con «Lola», l’inno trans cantato da un Davies non particolarmente mascolino la cui amante sembra una signora ma con ogni probabilità non lo è.
Un’ambiguità che toccava vette ineguagliate di sfacciataggine e scandalosità con i Rolling Stones. Più di ogni altro gruppo, gli Stones possono ambire al titolo di veri precursori del glam: Brian Jones con il suo caschetto biondo, le appariscenti mise unisex, il sorriso enigmatico e le labbra languidamente increspate; Mick Jagger che protende la bocca e balla sul palco. Jones e Jagger che copiavano movimenti e gesti dalle amiche e, nel caso di quest’ultimo, l’ipersensuale Tina Turner.
I loro giochi di genere rasentavano l’anarchia e il grottesco. Nel promo di «Jumpin’ Jack Flash» gli Stones appaiono pesantemente truccati, ma quello era nulla in confronto alla precedente copertina del singolo «Have You Seen Your Mother, Baby, Standing in the Shadow?», che vedeva i cinque agghindati da stereotipi della femminilità britannica: anziane comari in pelliccia e guanti, provocanti soldatesse della seconda guerra mondiale. Allo stesso tempo, la micidiale vis parodica evidente in questa rappresentazione iconografica del brano (a sua volta una delle canzoni più implacabilmente antiromantiche degli Stones) dimostra che l’ambivalenza sessuale del gruppo marciava a braccetto con una cinica misoginia. Sotto il belletto e la patina dandy-androgina battevano cuori duri che avevano assimilato ed elaborato l’asprezza di artisti blues come Muddy Waters e Howlin’ Wolf.
Sperimentare gli ambiti femminili della moda e dei cosmetici, dunque, non era necessariamente un segno di rispetto nei confronti delle donne. Era piuttosto un’espressione di vanità, l’esplorazione di un territorio sconosciuto per l’ego maschile.
«[Bolan] aveva l’ego più smisurato di qualsiasi altra rockstar. Ai suoi occhi, nessuno era più grande di Marc Bolan». Così sosteneva Mark Volman, l’artefice – insieme a Howard Kaylan, come lui ex membro dei Turtles – dei cori in falsetto che davano alle hit dei T. Rex quel senso di sovraccarico sessuale. Secondo John Gaydon della E.G. Management, altro stretto collaboratore di Bolan durante l’ascesa dei T. Rex, «quando Marc si esibiva a Top of the Pops si specchiava sempre nel monitor, il che mi infastidiva, perché rivelava tutto il suo narcisismo». Come Volman, Gaydon sottolinea mitezza, entusiasmo e generosità di Bolan – «era un uomo adorabile» – ma non senza riconoscere che il suo tratto essenziale era la vanità: «Ho sempre assimilato i cantanti pop, per certi versi, alle puttane: vendono pezzi di sé, e devono sempre mostrarsi al meglio per attirare i clienti».
Se il dandismo offre uno strumento all’esibizionista vanitoso, un’altra forma di «travestimento dell’ego» è l’automitologia. La vita di tutti i giorni è noiosa e desolante? Basta infiorettarla. Non pago di apparire favoloso, Bolan era una fucina di favole. Sin dagli esordi – prima ancora, in realtà – raccontava panzane inverosimili, offrendo ai giornalisti resoconti macroscopicamente esagerati di eventi e circostanze reali e annunciando progetti futuri che non avrebbero mai visto la luce, e che il più delle volte non andavano oltre l’oziosa fantasia: una serie animata incentrata sul suo personaggio e scritta da lui, la sceneggiatura di «tre film stranieri [...] uno dei quali diretto da Fellini», vari romanzi fantascientifici in procinto di essere pubblicati nel Regno Unito. Millantava inoltre di aver dipinto quadri «sufficienti per una mostra» e di avere «cinque libri inediti nel cassetto che mi hanno richiesto parecchio tempo». Persino durante la china discendente della sua carriera fantasticava di progetti per una «nuova forma d’arte audiovisiva». Naturalmente i giornalisti musicali si bevevano tutto, perché era ottimo materiale per articoli. L’addetto alle pubbliche relazioni Keith Altham lo paragonava a Walter Mitty: «Sapendo che la gente amava le esagerazioni, si comportava di conseguenza. A volte finiva per crederci lui stesso».
Padre camionista, madre fruttivendola, Bolan veniva dall’East End di Londra. Per sfuggire alle sue umili origini ricorreva a finzione e immaginazione. Per cominciare, aveva inventato se stesso: «Io sono la mia stessa fantasia», spiegava alla rivista Petticoat. In classico stile show business, cambiò cognome: dall’ebreo Feld a Bolan, scelto perché gli sembrava francese, e fra i suoi antenati pareva ci fossero dei francesi. Senonché, tanto per confondere ulteriormente le acque, all’inizio lo scriveva con una dieresi tutt’altro che gallica: Bölan.
La sua favola più esorbitante era una sorta di mito dell’autocreazione: sosteneva di aver trascorso un lungo periodo in Francia insieme a uno stregone, un’es...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Introduzione
  3. 1 / Poeta boogie: Marc Bolan e i T. Rex - John’s Children Tyrannosaurus Rex T. Rex
  4. 2 / The London boy: Gli esordi di Bowie - David Bowie Anthony Newley Lindsay Kemp Oscar Wilde
  5. 3 / Elected: Alice Cooper e lo shock rock - Alice Cooper
  6. 4 / Teenage Rampage: glitter stomp e disco rock - Slade The Sweet Mud Suzi Quatro Gary Glitter Junkshop Glam Hello
  7. 5 / Che fatica essere autentici:David Bowie and co. alla conquista del mondo - David Bowie Lou Reed Mott the Hoople Iggy and the Stooges Jobriath
  8. 6 / Che anno è? Il retrofuturismo visionario dei Roxy Music - Roxy Music Pinups di David Bowie Bryan Ferry
  9. 7 / Trash city: i New York Dolls e Wayne County - Wayne County Theatre of the Ridiculous The Cockettes John Waters e Divine Andy Warhol e Paul Morrissey New York Dolls
  10. 8 / Let’s do the time warp again: ritorno agli anni Cinquanta e repliche rock - Rock Dreams Wizzard The Moodies David Essex Rock Follies The Rocky Horror Picture Show
  11. 9 / Baroque’n’roll: il tardo glam - Steve Harley and Cockney Rebel Sparks Jet Queen Be-Bop Deluxe
  12. 10 / Run for the shadows: Bowie contro Los Angeles - David Bowie The English Disco Silverhead Zolar X Les Petites Bonbons L’uomo che cadde sulla Terra
  13. 11 / Ultraviolenza: il punk prima del punk - Heavy Metal Kids The Sensational Alex Harvey Band The Tubes The Runaways Doctors of Madness Ultravox
  14. 12 / Just another hero: la Berlino di Bowie - David Bowie Iggy Pop Kraftwerk Brian Eno
  15. Supernovae - Inventario parziale di echi e riflessi glam
  16. Ringraziamenti
  17. Bibliografia