Magic Kingdom
eBook - ePub

Magic Kingdom

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Dopo Barth, Purdy, Yates, minimum fax continua nella sua riscoperta dei "classici contemporanei". Abbandonato dalla moglie e devastato dalla morte del figlio dodicenne, l'inglese Eddy Bale organizza un viaggio a Disneyland come ultima, strepitosa vacanza per sette bambini affetti da rarissime malattie terminali. Accompagnato da quattro adulti bizzarri e disfunzionali, l'improbabile gruppo di piccoli turisti si troverà di fronte la città del divertimento più stupefacente e grottesca del pianeta... Elkin, una delle voci più geniali del postmoderno americano, trasforma una potenziale vicenda strappalacrime in una tragicommedia scatenata, una satira esilarante e profonda, popolata da regine d'Inghilterra che barano a Scarabeo e pupazzi disneyani dall'aria bellicosa. Pubblicato nel 1985, questo straordinario romanzo arriva ora per la prima volta in Italia, con una prefazione inedita di Rick Moody (autore di The James Dean Garage Band, La più lucente corona d'angeli in cielo, Rosso americano, Il velo nero ).

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Magic Kingdom di Stanley Elkin, Federica Aceto in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Literature e Classics. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788875214517
Argomento
Literature
Categoria
Classics

PARTE TERZA

CAPITOLO PRIMO

Alla fine del terzo giorno avevano visitato tutte e sei le regioni del Regno Magico. Erano stati a Main Street, USA. Erano stati a Liberty Square, Adventureland e Fantasyland. Erano stati a Tomorrowland e a Frontierland e ormai non ne potevano più della macabra battuta “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate” che Benny pronunciava ogni sacrosanta volta che si faceva il nome di queste due ultime regioni.
Moorhead gli aveva dato il permesso di salire solo sulle giostre più tranquille: la funivia, la ferrovia in scala uno a otto, i tram, i pulmini, gli autobus a due piani, la Crociera nella Giungla e la Giostra di Cenerentola, i battelli a ruota, il trenino sopraelevato che faceva il giro di Tomorrowland. La pista del Gran Premio, la Big Thunder Mountain, i Razzi Spaziali e la Space Mountain erano off-limits. Come anche il Tè del Cappellaio Matto, le giostre di Mr. Toad, la Missione su Marte e il Volo di Peter Pan. “Un brivido dietro l’altro”, annunciava Benny, giudicando le varie attrazioni in base a quello che c’era scritto sulla guida, e scuoteva la testa, già sapendo quale sarebbe stata la decisione di Moorhead. Perciò passavano gran parte della giornata a farsi scarrozzare da una parte all’altra del parco, come dei passivi turisti. E ciononostante, quattro dei bambini, cioè tutti ad eccezione di Lydia, Charles e Tony Word, si erano mostrati riluttanti all’idea di salire su un autobus a due piani. Ancora una volta, Maxine aveva assunto il ruolo di portavoce. “Siamo inglesi, noi”, gridò al conducente mentre discuteva con Bale, “e mica abbiamo attraversato l’oceano per farci i giri sugli autobus a due piani, e a parte il fatto che l’autobus non è autentico, il controllore non è manco negro!”
La maggior parte del tempo lo trascorrevano a guardare spettacoli vari e a gironzolare nei trenini fra effetti speciali di ogni genere. Era come trovarsi all’interno di una sorta di museo passivo. Solo Colin sembrava subire ancora il fascino degli animatronic parlanti, e quando alcuni dei bambini (che ormai si vergognavano un po’ di passare davanti a tutte le file – come misura precauzionale, Moorhead aveva stabilito che Tony Word e Janet Order fossero messi su una sedia a rotelle – ma comunque non ce la facevano a stare in piedi per più di quindici o venti minuti di seguito) protestavano all’idea di fare la coda, Bible si offriva di farla lui per tutti. Mudd-Gaddis, Lydia Conscience e Noah aspettavano seduti su una panchina o sulle sedie di un bar all’aperto, sotto il tendone – e di solito in quei momenti, mentre Moorhead ne approfittava per andare a cercare altre attrazioni adatte a loro, Eddy Bale e Mary Cottle spingevano le carrozzelle di Tony e Janet, con Benny e Rena ad accompagnarli, ansiosi di poter sfruttare prima o poi anche loro lo status di handicappati – e Nedra Carp faceva la spola tra Colin e i bambini, per aggiornarli sul progresso della fila.
“Com’è, Benny?”, chiese Noah quando Maxine e gli altri uscirono dal Mondo in miniatura.
“Un brivido dietro l’altro”, rispose Benny Maxine.
“Davvero, Benny? Davvero?”
“Macché”, disse Benny. “Diciamo che non è malaccio. C’erano un sacco di bambolotti dell’ONU che cantavano e ballavano”.
“Molto interessante”, disse Colin.
“Ma porca l’oca”, disse Benny, indicando Janet e Tony in carrozzella. “Se ci fanno guardare ancora roba del genere altro che sedie a rotelle: ci dovremo mettere gli occhiali”.
Andarono al Tropical Serenade; andarono al Country Bear Jamboree. Trascorsero il loro tempo chiusi dentro i cinema a guardare film – avvolti, grazie a una tecnica chiamata Circle-Vision 360, in sbalorditive immagini da tutto il mondo: Copenaghen, New York, le Alpi e Roma e la Valle del Nilo, le vecchie pietre di Gerusalemme e l’India e molto altro ancora – oppure ad ammirare le esposizioni degli sponsor multimiliardari: Kodak, Easter Airlines, RCA, McDonnell-Douglas.
E stavano cominciando a innervosirsi.
“Non piacerebbe anche a te avere una sedia a rotelle?”, disse Lydia a Noah, per sfotterlo un po’.
“Come no, così ti ci porto in giro”.
“Troia!”, gli sibilò Lydia tra i denti.
“Pappone!”, le bisbigliò lui.
“Signor Moorhead”, disse Lydia Conscience un pomeriggio, “posso avere un nuovo compagno? Secondo me Benny non se li ricorda i miei sintomi. Cioè, secondo me io starei più tranquilla se facessi a cambio con Janet”.
“Se fai a cambio con Janet si scombussola tutto”, obiettò Moorhead.
“E se mi viene un attacco? Non credo che Benny sia affidabile”, disse Lydia sottovoce.
“Le coppie sono state fatte a ragion veduta”, le rispose Moorhead.
“Dovremmo fare delle esercitazioni, allora”, disse lei, e per tenerla buona Moorhead acconsentì, seppure controvoglia. Chiamò Benny per spiegargli la situazione.
“Lydia è agitata”, gli disse. “Secondo lei tu non sapresti cosa fare in caso di emergenza”.
Lydia simulò un malore e Benny Maxine le si avvicinò. Le sbottonò il colletto. Bagnò un fazzoletto e glielo passò sulla fronte, sulle tempie.
“Mi ha fatto male alla pancia”.
“Ma se non te l’ho neanche sfiorata”.
“Mi ha fatto male alla pancia, signor Moorhead”.
Perché non solo erano nervosi, ma stavano cominciando anche a dividersi. Chi sulla sedia a rotelle, chi no, tenuti lontani dalle giostre vietate, assistevano ai vari spettacoli a turni scaglionati, facevano lo spuntino a orari diversi e serbavano ricordi separati del mondo che vedevano proiettato attorno a loro, che li rinchiudeva come un muro.
Solo Lydia sentiva ancora il retrogusto del suo sogno: Charles, che l’aveva condiviso, rifletteva sul fatto che in sogno la sua vita fosse molto più interessante che da sveglio; e Tony Word ricordava, non senza un certo orgoglio, che non se l’era cavata niente male, anzi, era stato proprio bravo, tutto sommato. (Gli altri, che non solo non avevano preso parte al sogno, ma che in quel momento non dormivano nemmeno, ebbero per più di un giorno, un giorno e mezzo la bizzarra certezza che qualcuno – una o più persone sconosciute – avesse parlato alle loro spalle.)
Perché Eddy Bale aveva ragione. Ai bambini piace davvero esplorare gli alberghi. Vanno davvero in visibilio quando salgono in ascensore e si divertono davvero a schiacciare i pulsanti.
Ed era cominciato proprio come un gioco innocente, Benny Maxine aveva scelto Rena Morgan solo perché aveva l’aria di una alla mano: una ragazzina in gamba, sveglia e simpatica. (E fra tutti i bambini, a voler essere sinceri, sembrava la più forte, la sola, forse, che potesse stargli dietro.)
E le aveva addirittura suggerito di portarsi il passaporto. Non si poteva mai sapere.
“Che cosa non si può mai sapere, Benny?”
“La prudenza non è mai troppa, bella”. E le mostrò il suo passaporto, battendo con le dita su quel documento blu come se fosse stata una lettera di credito, un talismano, un lasciapassare ufficiale con tutti i crismi, un asso nella manica.
Aveva quindici anni, un ragazzino ancora, un bambino, e per quanto facesse lo sbruffone, per quanto si sforzasse di apparire un tipo in gamba – “In gamba e con un piede nella fossa” avrebbe ammesso in seguito, pieno d’imbarazzo – non aveva mai fatto nessuna delle cose che avrebbe desiderato fare. L’unico evento della sua vita era stata la malattia, e viveva la sua esistenza più reale in un mondo di fantasia e speranza.
I primi cinque o dieci minuti li passarono veramente a premere i pulsanti, a turno, Rena quelli per salire e Benny quelli per scendere, chiedendo educatamente ogni volta, con il loro più raffinato accento inglese: “Prego, a che piano?” a chiunque entrasse nell’ascensore.
“Oh, ma come siete gentili”, disse una signora. “Vi piace il nostro paese?”
“Sì, signora”, rispose Benny, “ma noi non siamo dei turisti”.
“Ah no?”
“Io e la mia collega” – e indicò Rena, che dovette fare del suo meglio per rimanere seria, cercando disperatamente di trattenere le risate, con la sola forza di volontà, e le vaste riserve di muco (perché una risatina poteva scatenare sfaceli) – “in realtà noi facciamo parte dell’organizzazione della Disney”.
“Ma davvero?”
“Noi siamo i due bambini del film Mary Poppins. L’ha mai visto, quel film? Vuole che le facciamo un autografo?”
“Ma sono passati anni e anni”, disse la donna. “Dovreste essere sulla trentina ormai”.
“È così, signora”, disse Benny, “siamo un po’ bassini, per l’età che abbiamo. La Disney ci ha dato questa opportunità di fare un ritorno sulle scene in veste di ascensoristi”.
“Io sono arrivata”, disse la donna.
“Sì, signora, sono delle brave persone, quelli della Disney. La gente che lavora per loro la trattano bene”.
“Benny!”, disse Rena quando la donna uscì dall’ascensore. “Ma che ti è saltato in testa di raccontarle! Non ti ha creduto neanche per un secondo”.
“Sì che mi ha creduto”.
“No”.
“Sono sicurissimo. Sulla vita della regina. Te lo giuro”.
“E sulla tua ci giureresti?”
“Certo”, disse Benny, “giuro sulla mia vita”.
“Ah, la tua vita”, disse Rena.
E salendo – adesso era Rena che manovrava l’ascensore – Benny mollò di proposito una scoreggia rumorosissima. Le persone presenti – ce n’erano più o meno cinque o sei – fecero finta di niente.
“Accidenti”, disse Benny, “che loffa”.
E di nuovo fecero finta di niente.
“Uff!”, disse Benny. “Mamma mia che loffa pestifera. Mamma mia!”
Così innocenti. Ancora si divertivano con gli scherzi nascosti nelle puzze, con le battute suggerite dal corpo.
E anche esploratori. Scoprirono le sale da banchetto, quelle per le riunioni e le sale accoglienza, brancolando nei meandri, nelle viscere dell’albergo, salendo sui montacarichi ogni volta che potevano, insinuandosi nella lavanderia e nell’area manutenzione, dove furono cacciati da un custode al quale Benny voleva per forza mostrare il suo passaporto britannico.
“Qua viene gente da tutte le parti del mondo”, disse il custode. “Vengono da Tulsa, vengono dall’Indiana”.
Entrarono nei ristoranti e nei bar – davanti a uno dei quali Benny invitò Rena a ballare – passarono accanto alle piscine, buttarono un occhio nella sala giochi dove un caricaturista si offrì di fargli un ritratto insieme – “Dai, Benny. Tanto per fare una cosa da persone perbene”, aveva detto Rena, e Benny, gonfiando le guance e con la faccia deforme e raggrinzita, tutta fosse e bitorzoli, rispose: “Vabbè, d’accordo” – per poi ritornare in uno dei ristoranti, dove Benny disse alla direttrice di sala che c’erano degli amici che li aspettavano e, prendendo Rena per un braccio, sicuro del fatto suo – erano così innocenti, tanto innocenti da credere di doversi atteggiare in un certo qual modo speciale – superò la donna ed entrò in cucina.
“Complimenti al cuoco!”, annunciò Benny come fosse un gran signore.
Tre uomini col cappellone da cuoco alzarono la testa.
“Complimenti a tutti voi”, disse.
“Sì, era tutto molto buono”, aggiunse Rena.
“Tranne il ghiaccio”, disse Benny.
I cuochi guardavano i due bambini con gli occhi sbarrati.
“Il ghiaccio non sapeva di niente. Era insipido. Non sei d’accordo, cara?”
“Vedete di andarvene”, disse uno dei tre.
E si fermarono davanti al centro benessere dove in quel preciso istante il ragazzo della Casa Stregata si stava dirigendo verso Colin.
“A quest’ora le donne non sono ammesse”, disse Benny, leggendo un cartello affisso all’entrata.
“Vai tu, Benny, io t’aspetto. Poi mi racconti”.
“Che, nel centro benessere? Io? Ti rendi conto di quello che dici? Potrebbero denunciarmi”.
“Dai, Benny”, disse Rena Morgan.
Fu solo dopo quasi un’ora che Benny si ricordò di Mary Cottle. E anche allora, mentre spiegava la sua idea a Rena, anche allora era tutto uno scherzo.
Gli disse che l’aveva vista quello stesso pomeriggio alla fermata della monorotaia dentro all’hotel.
“Accovacciata dietro le porte automatiche, l’ho vista”.
Benny non aveva detto niente. Non perché Colin e gli altri due bambini – fatta eccezione per Mudd-Gaddis; Mudd-Gaddis era ancora fuori dal mondo, perso nell’incubo privato che l’aveva fatto entrare in un universo tutto suo – non avessero notato la sua assenza o espresso preoccupazione, ma perché, malgrado non fosse una mossa calcolata da parte sua, un’informazione in più è sempre un’informazione in più, una cosa che lo metteva in una posizione privilegiata e dava a quel giocatore d’azzardo che era – e neanche qui c’era calcolo, ma solo quella stessa miscela di speranza, fantasia e realtà che governava la sua vita – un certo vantaggio nel caso a qualcuno fosse saltato in testa di sfidarlo. E inoltre non era neanche sicuro che si trattasse di lei. E in quel momento gli scappava pure la pipì, quindi andava a tutta birra.
E non disse niente neanche stavolta, fece solo cenno alla storia delle porte. (Perché era innocente anche da quel punto di vista, voleva fare bella fig...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. PARTE PRIMA
  3. PARTE SECONDA
  4. PARTE TERZA