Political tv
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Informazione e satira, da Obama a Trump

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Informazione e satira, da Obama a Trump

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Contenuti dalla forte valenza politica attraversano da sempre la televisione americana. In anni recenti la presidenza di Barack Obama, abilissimo nel costruire la sua narrazione anche attraverso i mezzi di comunicazione, e quella di Donald Trump, star della reality television prima di approdare alla Casa Bianca, hanno enfatizzato ulteriormente sia lo stretto rapporto tra tv e politica, nelle rappresentazioni e nell'immaginario, sia le conseguenze di questo intreccio. Political tv offre una panoramica completa e ragionata sul tema, indagando tanto i generi televisivi più tradizionalmente legati alla necessità di informare (i telegiornali, le inchieste, le interviste), quanto quelli dove la politica è solo uno tra i molti ingredienti (le serie tv, i reality, la satira, il late night). Con rigore storico e chiarezza d'analisi Chuck Tryon esplora la costruzione televisiva di concetti fondamentali come la cittadinanza e l'identità nazionale, l'impatto nel rappresentare temi e idee, le contaminazioni con le logiche dell'intrattenimento e della pubblicità, lo statuto della tv politica nello scenario mediale post network. La postfazione al volume è stata scritta appositamente per questa edizione italiana e allarga lo sguardo alla presidenza Trump e al suo rapporto particolarissimo con i media.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788875219550

1
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VENDERE LA POLITICA
LA PUBBLICITÀ ELETTORALE DOPO CITIZENS UNITED

La valuta principale della televisione è il tempo. E per i politici che cercano di attirare l’attenzione in mezzo a un ambiente mediale frammentato e disordinato, il modo più facile di assicurarsi ore di trasmissione e di formulare una narrazione vantaggiosa è attraverso la pubblicità. Questo capitolo affronta tre temi importanti collegati alla pubblicità politica. Innanzitutto, prenderò in considerazione l’impatto economico della pubblicità sulle elezioni. In modo specifico, mi concentrerò sulle cosiddette «primarie ombra» durante le elezioni del 2016, in cui i candidati hanno presenziato a una serie di eventi pensati non per conquistare i voti degli elettori repubblicani ma per i donatori miliardari che avrebbero sostenuto la loro campagna. Sebbene queste donazioni abbiano una grande influenza sulle elezioni nazionali, esaminerò anche le loro implicazioni a livello statale e locale. In secondo luogo, analizzerò il ruolo ricoperto dalla pubblicità politica nella creazione di narrazioni sui singoli candidati. In terzo luogo, il capitolo affronta il fatto che raramente gli spot politici sono interpretati in modo isolato. In realtà le pubblicità possono avere un effetto moltiplicatore perché creano controversie. Quando uno spot provocatorio attira l’attenzione delle reti all news, viene mandato in onda – spesso ripetutamente – su un’ampia gamma di canali via cavo, e questo consente al messaggio contenuto nella pubblicità di diffondersi ulteriormente. Anche quando la pubblicità è criticata da più parti, il dibattito nei notiziari dà ulteriore visibilità a quel messaggio, soprattutto in un’era in cui probabilmente il pubblico si protegge dalla pubblicità grazie alle tecnologie di time-shifting come il digital recorder o lo streaming. Quindi, sebbene la maggior parte delle analisi sulla televisione sia incentrata sui programmi veri e propri, sostengo che le pubblicità politiche rivestano un ruolo importante non soltanto perché influiscono sui messaggi ma anche perché determinano percezioni più generali della cultura politica.

Citizens United e le primarie ombra

Come ho spiegato nell’introduzione, la sentenza Citizens United ha avuto come esito un afflusso enorme di soldi nella politica, quindi pesumibilmente entrambi i principali partiti politici si trovano a spendere miliardi di dollari per le campagne elettorali, gran parte dei quali investiti in pubblicità. Anche se spesso le lamentele verso le pubblicità politiche si concentrano sulle competizioni presidenziali, l’effetto più rilevante dell’aumento dei finanziamenti si è visto al livello statale, dove i candidati hanno minori opportunità di risaltare agli occhi di un vasto elettorato. Nelle elezioni presidenziali è più probabile che gli elettori si imbattano in informazioni sui candidati nei telegiornali, nei dibattiti o nei discorsi trasmessi in tv, mentre di rado le campagne condotte a livello dei singoli stati ricevono lo stesso livello di attenzione.1 La crescita esponenziale della spesa per la politica si è verificata in un momento in cui le entrate della pubblicità televisiva hanno subito un crollo drammatico. Come ha ammesso il direttore generale di un’affiliata locale di Las Vegas durante il ciclo elettorale del 2010, «la pubblicità politica è stato un gigantesco cerotto» per le emittenti televisive. Durante le elezioni del 2010, secondo alcune stime la pubblicità politica avrebbe rappresentato addirittura l’undici per cento dei ricavi delle affiliate locali.2 Ma la stura è stata data in modo più spettacolare durante le elezioni del 2012, quando le entrate delle televisioni locali sono cresciute di cinquecento milioni di dollari fino a raggiungere un totale di 2,8 miliardi di dollari, soldi che con tutta probabilità hanno compensato abbondantemente le entrate pubblicitarie in declino a causa dei servizi di streaming e delle altre opzioni di intrattenimento. Il punto cruciale è che i finanziamenti esterni – soldi che provenivano da gruppi politici non legati alle campagne – sono confluiti soprattutto sulla pubblicità negativa, che difficilmente è stata oggetto dell’accurato fact checking e dell’analisi critica dedicati invece agli spot della politica nazionale. Allo stesso tempo, è più improbabile che il pubblico guardi un dibattito tra candidati di un singolo stato rispetto a quelli presidenziali, e questo aumenta le possibilità che in particolare gli elettori poco informati siano influenzati dalla pubblicità. Uno studio pubblicato da Public Citizen ha rilevato che dei seicento milioni di dollari spesi durante le elezioni del 2012, 520 milioni – quasi l’86 per cento – sono confluiti nella cosiddetta pubblicità negativa in opposizione a un candidato. Come sottolineava poi il report, questi gruppi praticamente non devono rispondere a nessuno, e possono quindi occuparsi di gran parte del lavoro sporco, quando si tratta di macchiare la reputazione di un candidato.3
Oltre ad aumenti rilevanti della spesa federale, questi forzieri di guerra hanno avuto anche un effetto profondo a livello statale, dove le elezioni locali possono costare decine di milioni di dollari. In realtà, nella contesissima corsa al senato in North Carolina del 2014 tra la democratica in carica Kay Hagan e lo sfidante repubblicano Thom Tillis, i finanziamenti esterni sono arrivati a un totale di 82 milioni di dollari, più del triplo dei 25 milioni complessivi spesi quando Hagan aveva ottenuto il seggio nel 2008.4 Poiché secondo molti osservatori la corsa in North Carolina poteva essere cruciale nel determinare quale partito avrebbe ottenuto la maggioranza al senato, questa è diventata di fatto una competizione nazionale. Il denaro è stato usato per acquistare – tra le altre cose – più di 114.000 pubblicità televisive che hanno invaso l’etere dello stato per mesi.5 Per me, che abito in North Carolina, è stato praticamente impossibile guardare qualsiasi trasmissione televisiva, dai notiziari ai programmi sportivi o di intrattenimento, senza imbattermi ripetutamente in spot di Hagan o di Tills, in stragrande maggioranza attacchi incendiari che minacciavano il crollo della nazione se il candidato rivale fosse stato eletto. La maggior parte di questi soldi è stata investita da organizzazioni esterne come Crossroads Gps, il PAC (Political Action Committee) guidato dal consulente repubblicano Karl Rove, la National Rifle Association e la National Education Association. Di sicuro il North Carolina non è stato il solo stato ad avere elezioni costose. Si è detto che la corsa al senato del 2014 in Colorado sia costata settanta milioni di dollari, mentre quella in Iowa all’incirca sessantuno milioni. Un’altra misura dei costi si può ricavare esaminando la corsa al senato in Alaska, dove sono stati spesi 41 milioni in una competizione che ha visto un totale di 245.000 voti, circa 167 dollari a voto soltanto per il senato. Oltre a queste competizioni legislative, Citizens United ha spalancato il flusso delle donazioni anche per le campagne per il rinnovo delle cariche giudiziarie, creando un potenziale grave conflitto di interessi, dato che i giudici potrebbero vedersi contestata la propria imparzialità in casi che coinvolgono corporation o industrie che hanno finanziato le loro campagne. Le donazioni possono avere un effetto ancora più dannoso sulle elezioni dei giudici. Anche se la Corte suprema ha confermato le leggi statali che vietano l’elargizione di contributi da parte dei politici ai candidati giudici, in una serie di stati americani queste donazioni sono legali, e una ricerca della American Constitution Society è giunta alla conclusione che esiste una correlazione statisticamente significativa tra donazioni di gruppi di interesse e sentenze giudiziarie.6
Nelle prime fasi delle elezioni del 2016 il ruolo dei finanziamenti illimitati alla politica era ormai innegabile. Anzi, David e Charles Koch, coproprietari delle Koch Industries, la seconda società privata per dimensioni degli Stati Uniti, hanno annunciato la loro intenzione di mettere a disposizione fino a 889 milioni di dollari al candidato che intendevano sostenere alle presidenziali del 2016. All’inizio, questa dichiarazione pubblica sembrava scioccante; l’annuncio poteva inoltre ottenere l’effetto di ridurre al silenzio o scoraggiare donatori più piccoli dal finanziare i candidati, dando così ai due fratelli un controllo ancora maggiore sul processo politico. Anche se alcune forme di media politici, come i programmi di satira e persino i notiziari più faziosi via cavo, sono state accusate di aver contribuito a creare un clima di cinismo, un fattore più importante potrebbe essere in realtà l’enorme aumento della spesa politica. In effetti, l’influenza stimata dei fratelli Koch sulle elezioni del 2016 era talmente sostanziosa che molti osservatori hanno affermato che i repubblicani erano coinvolti in «primarie ombra» o «primarie Koch», con l’obiettivo non di raccogliere voti ma di assicurarsi il loro endorsement e le centinaia di milioni di dollari che a esso si accompagnavano. Queste primarie Koch erano strutturate intorno a un incontro tra donatori privati che si è tenuto nell’agosto 2015, a pochi giorni dal primo dibattito repubblicano, e dove cinque candidati accuratamente selezionati sono stati invitati a fare la propria presentazione per ottenere i soldi dei Koch. La maggior parte del summit era off limits per la stampa e i cronisti hanno potuto seguire l’evento solo a condizione di non rivelare chi fosse presente. L’organizzazione politica dei fratelli Koch si era dotata addirittura di una propria società di dati e analisi, oltre a organizzazioni locali che miravano ad attrarre elettori di origine latinoamericana e veterani. Anche se gli osservatori politici sono rimasti con il fiato sospeso in attesa di sapere chi avrebbe ottenuto il sostegno dei Koch, il loro network ha annunciato anche l’intenzione dei fratelli di appoggiare gruppi che promuovevano cause fondamentali per i loro interessi, tra cui i tagli alle tasse, la riduzione delle norme sull’ambiente e l’abolizione dell’Affordable Care Act.7 Di conseguenza, i candidati repubblicani alla presidenza hanno subito pressioni per appoggiare queste posizioni, che fossero o meno nell’interesse pubblico, per ottenere il sostegno dei fratelli Koch più che della base di donatori.

Le conseguenze della pubblicità politica

La pubblicità politica, una delle componenti più visibili di una campagna elettorale, comporta grossomodo la creazione di una narrazione volta a identificare il candidato come risolutore dei problemi che una nazione si trova ad affrontare in un determinato momento. Come spiega Paul Waldman, le campagne presidenziali hanno successo perché «il vincitore racconta una storia coerente e accattivante, mentre lo sconfitto racconta una storia brutta o, più spesso, non ne ha raccontata nessuna».8 Così, durante la campagna elettorale del 1980, rivolgendosi a una nazione scossa dalla crisi degli ostaggi in Iran, dall’elevato tasso di disoccupazione e dall’aumento dell’inflazione, Ronald Reagan creò magistralmente una narrazione attorno alla promessa di «restituire all’America la sua grandezza». Quattro anni più tardi, sullo sfondo del successo americano alle Olimpiadi del 1984, Reagan adottò una narrazione trionfalistica legata all’unità nazionale, in grado di garantire agli elettori che le cose stavano migliorando. Questa narrazione era sintetizzata nel suo spot «Prouder, Stronger, Better», in cui comparivano immagini pastorali della vita di provincia americana (un ragazzo che consegnava i giornali in sella alla bicicletta, recinzioni bianche, agricoltori sui trattori) mentre una voce in sovrimpressione assicurava al pubblico che era «mattina in America». Durante le elezioni del 2008, la campagna di Barack Obama ha usato le parole chiave «speranza» e «cambiamento» per posizionare il giovane senatore dell’Illinois come volto di un nuovo tipo di politica, meno cinica.
Ovviamente, se gli spot positivi possono contribuire alla definizione di un candidato, anche la pubblicità negativa riveste un ruolo cruciale nel dare forma alle percezioni del candidato rivale. Un efficace spot capace di creare un’immagine contradditoria può ridefinire un candidato politico o dare nuova forma a una narrazione politica. In particolare, gli spot che fanno parlare di sé consentono ai candidati di ottenere uno spazio televisivo «gratuito», nel momento in cui i mezzi d’informazione rimandano in onda lo spot per analizzarlo. In effetti, quello che è considerato il primo spot di attacco politico sulla tv statunitense, «Daisy» di Lyndon Johnson, fu trasmesso in tv soltanto una volta. Lo spot mostra una bambina che conta i petali di una margherita in un campo, mentre la sua voce è gradualmente rimpiazzata da una minacciosa voce maschile intenta a pronunciare un conto alla rovescia che porta allo scoppio di una testata nucleare. Il sottinteso dello spot era inequivocabile: se eleggete il rivale di Johnson, il repubblicano Barry Goldwater, vi ritroverete ad affrontare una guerra nucleare. Per un elettorato che aveva appena subito la minaccia della crisi missilistica cubana, questi pericoli erano indubbiamente tangibili. Subito i repubblicani reagirono indignati, e anche se Johnson fece ritirare «Daisy» dalla circolazione, lo spot fu trasmesso dozzine di volte nei notiziari serali da giornalisti che riferirono coscienziosamente la notizia, presentando con obiettività entrambi i punti di vista. Così, anche se la campagna di Johnson fu criticata per il ritratto esagerato di Goldwater, il messaggio che quel candidato fosse un pericolo per bambini innocenti arrivò ripetutamente forte e chiaro.9
Un altro famigerato esempio di questo tentativo di fomentare l’indignazione fu uno spot del 1988, prodotto dal direttore della campagna di George H.W. Bush, Lee Atwater, e usato per presentare il suo rivale, il governatore del Massachusetts Michael Dukakis, come troppo indulgente nei confronti del crimine. Lo spot raccontava la storia dell’afroamericano Willie Horton, detenuto per omicidio in un carcere del Massachusetts, che aveva commesso una serie di reati violenti durante un permesso d’uscita, e mostrava in bella vista una sua minacciosa foto segnaletica in cui fissava torvo l’obiettivo. Lo spot giocava esplicitamente sulle paure dei bianchi e sembrava insinuare che un voto per Dukakis avrebbe permesso a criminali violenti di aggirarsi indisturbati per le strade.10 Una strategia simile è stata usata nel 1990 a livello statale, in North Carolina, in una contesa elezione per il senato tra il repubblicano bianco in carica Jesse Helms e l’afroamericano Harvey Gantt. Lo spot «White Hands» mostrava un operaio bianco che accartocciava una lettera di rifiuto, mentre una voce fuori campo spiegava che l’azienda era stata costretta ad assumere un nero a causa delle quote obbligatorie, una narrazione che faceva leva sul vittimismo dei bianchi. Come lo spot su Willie Horton, «White Hands» usava un codice razzista per giocare sulle paure dei bianchi e al tempo stesso offriva una rappresentazione straordinariamente fuorviante della posizione di Gantt sull’azione positiva (affirmative action). In tal modo, entrambi gli spot non solo strumentalizzavano le paure, ma hanno contribuito a sostenere leggi più dure conto il crimine e l’eliminazione di programmi di azione positiva, influenzando la legislazione per anni.
Gli spot negativi possono anche influenzare in modo cruciale le percezioni sulle politiche governative. Una delle più efficaci campagne di pubblicità negativa si concentrava non su un singolo candidato ma sul piano sanitario promosso da Bill Clinton. «Harry and Louise» presentava una coppia di bianchi sulla quarantina che si ritrovava ad affrontare un aumento del costo della vita e degli ostacoli burocratici, attribuiti alla proposta di Clinton. Lo spot più famoso di questo ciclo mostrava la coppia seduta al tavolo della cucina, intenta a fronteggiare una pila gigantesca di bollette e altri documenti legati a un recente ricovero in ospedale, mentre nei successivi i due, apparentemente in buona salute – Harry gioca a basket e Louise è tornata da un giro in bicicletta – si lamentano del fatto che tutti quelli che hanno l’assicurazione sanitaria pagherebbero lo stesso prezzo, a prescindere dal loro stato di salute. Tutti gli spot incoraggiavano gli spettatori a contattare i propri rappresentanti al Congresso per esprimere la loro opposizione alla legge.
Più di recente, non appena Barack Obama ha annunciato la firma di un trattato per cui l’Iran avrebbe smesso di produrre armi nucl...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Indice
  3. Introduzione. La tv politica e la cittadinanza mediata
  4. Ringraziamenti
  5. 1 / Vendere la politica. La pubblicità elettorale dopo Citizens United
  6. 2 / Le notizie politiche nell’era post network
  7. 3 / I notiziari satirici e la satira politica
  8. 4 / La comedy e lo spettacolo politico
  9. 5 / I melodrammi del processo politico e la narrazione seriale
  10. 6 / La cultura della sorveglianza i melodrammi della sicurezza nazionale
  11. Conclusioni
  12. Postfazione all’edizione italiana. La televisione politica nell’era di Trump