SI PREGA DI FARE SILENZIO
Nel resto della biblioteca c’è silenzio.
Nell’ufficio sul retro, la donna si è spostata da sotto l’uomo. Adesso scopami da dietro, gli dice. Afferra un cuscino a pugni stretti e sente alle spalle il suo respiro, aria calda sulla schiena che sta cominciando a sudarle e a scivolare contro la pancia di lui. La donna non vuole che lui le guardi il viso perché il suo viso all’interno sta esplodendo, rosso e furioso, e lei sta facendo smorfie verso il muro bianco smorto, che è fresco quando ci appoggia la mano per aiutarsi a spingere contro di lui, a farsi riempire di cazzo il corpo finché lì dentro non ci sarà più nulla di lei: solo cazzo.
La donna è una bibliotecaria e oggi suo padre è morto. Al mattino ha ricevuto una telefonata dalla madre in lacrime, ha vomitato e poi si è vestita per andare al lavoro. Seduta al bancone con la schiena bella dritta, chiede molto educatamente al giovane, quello che viene sempre in biblioteca a prendere in prestito i bestseller, gli chiede quando è stata l’ultima volta che ha scopato. Lui risponde con un verso strano e lei gli fa shhh, siamo in una biblioteca. Ha i capelli raccolti all’indietro e gli occhiali sul naso, ma tutti qualche volta hanno sognato di farlo con una bibliotecaria, e sotto sotto lei è veramente una bella fica.
Ho sempre sognato, dice lui, di farlo con una bibliotecaria.
Lei gli sorride ma ripete la domanda iniziale. Non vuole uno che sia del tutto nuovo a questo genere di cose ma non sta neanche cercando un gigolò del cazzo. Questa per lei è una scopata importante. Lui le dice che è stato qualche mese fa e ha un’espressione timida ma onesta, e poi speranzosa. Lei dice perfetto e gli spiega che c’è un ufficio sul retro con un divano per la gente che si sente male in biblioteca (cosa che capita sorprendentemente spesso), gli va di raggiungerla lì fra cinque minuti? Lui annuisce, e mentalmente già lo sta raccontando in un monologo agli amici. Ha gli occhi verdi e ancora neanche una ruga.
Si vedono sul retro e lei abbassa la tendina dell’unica finestra. Questa è la scopata che lei spera la spacchi in due e la uccida perché non ce la fa a sopportare la morte del padre: l’ha voluto morto così tante volte che adesso è difficile capire la differenza fra la fantasia e la realtà. È vero? Se n’è andato davvero? Lei non voleva veramente che morisse, non era questo che intendeva quando trovandoselo di fronte immaginava lame di coltello che lo infilzassero dappertutto. Non era questo che intendeva, non voleva che morisse davvero. Si domanda se la telefonata se l’è inventata, ma ricorda che il tono di voce della madre diventava sempre più acuto, e questo è talmente reale e vero che non ce la fa più, e ha voglia di andarsi a scopare qualcun altro. Lui adesso è stanco, ma in faccia ha un sorrisone di incredulità. Sta pensando a quando potrà tornare qui dentro, ma lei è sicura che non lo vorrà mai più. Ha i capelli sciolti ed è senza occhiali, ha i vestiti sparsi per terra ed è la bibliotecaria appena scopata, e lui la guarda con occhi adoranti. Lei gli strizza il polso e poi si concentra sul compito di ricomporsi. Nel giro di dieci minuti è di nuovo al bancone, a parlare a un ragazzetto di un libro fantastico nella corsia cinque e, a meno di non chinarsi verso di lei e annusarla, nessuno sospetterebbe di nulla.
Sul soffitto a volta della biblioteca c’è un murale di fate che danzano. Hanno le braccia intrecciate e i capelli sciolti al vento. Dato che in biblioteca la gente guarda spesso il soffitto, è un murale piuttosto noto. La bibliotecaria piega la testa all’indietro per fare un respiro profondo. Una delle fate non ha la bocca. Gliel’ha scolorita la luce del sole, e guarda le compagne con uno sguardo muto negli occhi viola. Alla bibliotecaria questa cosa non piace, e abbassa la testa per esaminare invece la gente che popola la sua biblioteca.
Nel guardarsi intorno è sorpresa di vedere quanti uomini attraenti ci sono oggi. Sono ovunque: chini sui tavoli di legno, dritti in piedi tra le file di scaffali, uomini che sfogliano le pagine con delle belle mani. La bibliotecaria oggi, il giorno della morte di suo padre, è sopraffatta da una voracità che prima non aveva mai provato, e aspetta che un altro di loro si avvicini al bancone.
Ci vogliono cinque minuti.
Questo è un uomo d’affari in gilet. Mentre le sta chiedendo un libro sulla pesca lei gli fa la proposta. Il viso gli si illumina, negli occhi gli si legge chiaro e limpido il bambino di un tempo, la bibliotecaria che conosceva quando aveva sette anni. Una donna con i polpacci rotondi e la voce bassa.
Lei se lo porta nella stanza sul retro; lui fa un solo passo esitante, e poi le piomba addosso come un rovescio di pioggia venuto da Wall Street, il completo ammucchiato a terra come un secchio pieno, il vestito di lei sbottonato piano piano, dall’alto in basso, finché non resta nuda e sulla schiena le si ricomincia a raccogliere il sudore. Lei si cancella completamente e poi si riabbottona. Anche quest’uomo vorrebbe rivederla, e forse vorrebbe anche sposarla, così sta pensando, ma lei fa un sorriso senza mostrare i denti e dice: amico mio, questa è stata solo una tantum. Grazie.
Se lei volesse, potrebbe continuare così per sempre, farsi pagare un sacco di soldi e diventare ricca. Ha un corpo stupendo, con i seni sodi e pesanti e una schiena arcuata che la rende flessibile come un giocattolo. Avvolge le gambe attorno all’uomo numero tre, un artistoide coi capelli lunghi, e i suoi, di capelli, si sciolgono, e lui le toglie gli occhiali e lei lo scopa finché lui non comincia a tremare e cerca di gemere, ma lei continua a dirgli Shhh, shhh, e la cosa lo rende così felice che lei va avanti a dirglielo anche dopo che si è azzittito.
La mattina passa in maniera normale tranne per il fatto che si scopa altri tre uomini, rispedendoli fuori di tanto in tanto a dare un’occhiata al bancone, e il tutto si svolge in silenzio, mentre la gente trascina i piedi sul parquet e scambia parole sulla carta con altre parole sulla carta.
Dopo pranzo, nella biblioteca entra il forzuto.
È un bell’uomo abbronzato e le braccia gli spuntano dalla maglietta gonfie come palloncini. Lavora nel circo che è adesso in città, dove solleva una scrivania con sopra una sedia con sopra una persona con in grembo un bambino con in braccio un cane con in bocca un osso. Solleva tutto quanto senza mai far cadere niente e la gente applaude entusiasta.
Gli piace anche leggere.
Sceglie questa biblioteca perché è la più vicina al tendone. Al circo è stata una settimana stressante perché il domatore ha fatto una scenata e si è licenziato, e da allora i leoni non fanno altro che ruggire. Ne hanno nostalgia, e nessun altro li coccola perché sono leoni. Quando il forzuto entra nella biblioteca, inala il silenzio con un senso di sollievo. Nota immediatamente la bibliotecaria, il modo in cui sta seduta al bancone con una leggerissima torsione delle labbra di cui si accorgerebbe solo un osservatore molto attento. Le si avvicina, e lei lo guarda sorpresa. Ormai la bibliotecaria dà per scontato che tutti, in biblioteca, abbiano capito cosa sta succedendo, ma di fatto non è così. La gran parte degli utenti trova soltanto che l’aria sia più pesante del solito e per qualche motivo fa fatica a concentrarsi sul libro che ha in mano.
La bibliotecaria guarda il forzuto e lo desidera.
Fra cinque minuti, gli dice, piegando la testa verso l’ufficio sul retro.
Il forzuto annuisce, ma non capisce di cosa stia parlando la donna. Si fa un giro fra gli scaffali dei classici, ma dopo cinque minuti obbedisce all’ordine, incuriosito.
L’ufficio sul retro ha un divano e le pareti beige. Appena il forzuto ci entra, resta colpito da quanto sia forte l’odore di sesso: è talmente pervasivo che lui per poco non sviene. La bibliotecaria è seduta sul divano con indosso il vestito, che è grigio e le copre tutto il corpo. Sul davanti, al centro, c’è una fila di bottoni di madreperla, di cui uno sbottonato per errore.
Il fatto è che il forzuto non sa bene se ha mai avuto fantasie sessuali con una bibliotecaria. Sa con molta più certezza che gli piace sollevare tutto quello che può. E dunque si avvia verso di lei con quella camminata ondeggiante tipica degli uomini con le cosce grosse, e la tira su, divano e tutto.
Ehi, fa lei, rimettimi giù.
Al forzuto piace da morire la sensazione che prova sulle spalle, il peso di qualcosa di importante, una vita intera, sulla sua schiena.
Ehi, dice di nuovo lei, questa è una biblioteca, rimettimi giù.
Lui la fa ruotare con delicatezza, rivolgendola verso il pubblico assente, e lei china la testa per non urtare il lampadario.
Lui apre la porta ed esce, con tutto il divano. È premuroso al punto da abbassarlo un po’ quando arrivano allo stipite della porta, in modo da non farle sbattere la testa. Lei gli vorrebbe strillare qualcosa, ma ora sono in biblioteca.
Due degli uomini con cui ha scopato sono ancora lì, nella speranza di un secondo round. Sono esterrefatti e per qualche motivo molto gelosi quando la vedono sfilare tra gli scaffali, troneggiando sul divano come su un carro da parata. L’uomo d’affari col gilet prende in mano un libro e, dopo un attimo, glielo scaglia contro.
Non sei mica Cleopatra!, dice, e lei schiva il proiettile e strilla, poi si tappa la bocca con la mano. L’indomani ci sarà il funerale del padre. In biblioteca è importante mantenere il silenzio. Il libro le passa sopra la testa e colpisce un habitué della biblioteca che sta seduto a un tavolo a leggere una rivista.
L’uomo, infuriato, scaglia a sua volta il libro nella direzione da dov’è venuto, e nel giro di un attimo cominciano a volare libri dappertutto, una pioggia di pagine, con la polvere che sbatte in faccia alla bibliotecaria. Volano frusciando, e lei si copre il viso perché non sopporta di guardare a terra, dove i libri atterrano spalancati, a dorso in su, come se gli avessero sparato.
Sembra che il forzuto non se ne accorga, anche se i libri lo colpiscono alle gambe, alla vita. Solleva la bibliotecaria ancora più in alto, in punta dei piedi, verso il soffitto.
Alzati in piedi, le dice con una voce bassa, che arriva attutita da sotto il divano, alzati in piedi e ti tengo comunque in equilibrio, ce la faccio anche se stai in piedi.
Lei non sa che altro fare e sente la spinta verso l’alto del forzuto da sotto di lei. Preme i piedi sul divano per alzarsi, e tocca con un dito l’enorme murale sul soffitto, quello con le fate che danzano in estate. Rivede subito l’unica fata senza bocca e si allunga una mano dietro la testa per prendere la matita con cui si tiene sempre ferma la crocchia. I capelli le si riversano sulle spalle. In punta di piedi riesce a toccare la curva del soffitto dove dovrebbe trovarsi la bocca della fata.
Stai fermo così, sussurra al forzuto che non la sente, tutto preso nella sua estasi di forza fisica.
Impugna bene la matita e appoggiando il palmo di una mano sul soffitto si tiene in equilibrio quanto basta per disegnare una bocca sotto il naso della fata. Cerca di disegnarle un sorrisone danzante grosso così, e ripassa i tratti della matita più volte. Dal punto in cui si trova le sembra che sia venuto bene, da quel punto pochi centimetri sotto al dipinto che viene scaldato dal sole che entra nella biblioteca.
Se ne accorge solo il giorno dopo, quando arriva al lavoro per rimettere in ordine i libri un’ora prima che suo padre venga deposto sotto terra, che il cerchio di fate adesso è diverso. Che quelle ridenti ora si tirano dietro una fata con gli occhi viola che sta palesemente ballando contro la sua volontà, trascinata nel girotondo, con la bocca spalancata e urlante.