Cold Spring Harbor
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A Cold Spring Harbor, cittadina residenziale di Long Island, nel corso di un'estate si incrociano i destini di due famiglie: il matrimonio dei giovani Evan e Rachel - lui rissoso, svogliato, appassionato di motori e ragazze: lei fragile ed eterea, fulcro involontario di una rete di rapporti tumultuosi - fa da anello di congiunzione fra gli Shepard, un militare andato troppo presto in pensione per accudire la moglie malata e ormai alcolizzata, e i Drake, un padre assente, una moglie perennemente sull'orlo di una crisi di nervi e un figlio, Phil, alle prese con un'adolescenza inquieta. Ma l'apparente armonia è illusoria e l'unione rivela ben presto un lato oscuro e insidioso. Gli ingredienti della narrativa yatesiana ci sono tutti e sono incarnati nei vari personaggi di questo romanzo corale, l'ultimo di Richard Yates, tradotto oggi per la prima volta in italiano.Sullo sfondo la provincia americana degli anni Quaranta, con lo specchio sempre in agguato della seconda guerra mondiale. E la voglia di dare a questa vita tranquilla una svolta che sembra non arrivare mai.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788875219789
Argomento
Literature
Categoria
Classics

COLD SPRING HARBOR

1.

Tutte le sofferenze della rozza adolescenza di Evan Shepard furono riscattate quando a diciassette anni, nel 1935, si innamorò delle automobili. La sua insistenza a fare il prepotente con i ragazzi più deboli, il suo modo ottuso di offendere le ragazze, le sue goffe e imbarazzanti imprese nel campo dei reati minori... nessuna di queste cose contava più nulla, se non come brutti ricordi. Aveva scoperto che era romantico ed eccitante guidare a tutta velocità in lungo e in largo per Long Island, e presto raggiunse una certa intimità con le parti meccaniche di qualsiasi auto su cui riuscisse a mettere le mani. Per giornate intere, trascorse a smontare una macchina pezzo per pezzo o a rimetterla insieme in mezzo alla polvere del vialetto d’ingresso dei suoi genitori, Evan rimaneva isolato dal resto del mondo.
Ed era sempre un piacere per suo padre, Charles Shepard, restarsene alla finestra a osservarlo mentre lavorava per conto suo là fuori, sotto il sole. L’anno prima nessuno avrebbe detto che quel particolare ragazzo sarebbe mai riuscito a organizzarsi e concentrarsi su un lavoro utile; e non si trattava forse di un inizio di maturità? Non era questo che aiutava un uomo a sviluppare la volontà e la determinazione nella vita?
Ovvio che lo era; e il bisogno cocente, urgente di volontà e determinazione nella vita era qualcosa che Charles conosceva per una lunga e impotente esperienza. Era un ufficiale dell’esercito in pensione, un uomo con un’abitudine alla riflessione poetica che aveva sempre cercato di reprimere, e la cui capacità di zelo spesso pareva svanita con l’armistizio del 1918.
Quando era un giovane e appassionato sottotenente di fanteria, sposato da poco con la ragazza più carina che avesse partecipato al ballo del circolo ufficiali e ragionevolmente sicuro che lei l’avrebbe ricordato nelle sue preghiere, era arrivato in Francia tre giorni dopo la fine della guerra – e la sua delusione fu tanto forte che più d’uno degli altri ufficiali fu costretto a dirgli, spazientito, di non fare lo sciocco.
«Ma no», insisteva lui, «no che non lo faccio». Tuttavia aveva sempre saputo che non c’era modo di sfuggire alla verità; aveva perfino cominciato a sospettare che il resto della sua vita sarebbe stato tormentato dalla stomachevole impressione di qualcosa di abortito.
«A parte la consapevolezza che ti amerò per sempre», scrisse alla moglie da Le Havre, «mi sembra di aver perso fiducia in quasi tutto. Sono arrivato a credere che a questo mondo siano pochissime le faccende delle quali si può confidare che abbiano un senso».
Di ritorno in patria e circondato da uomini vocianti e acclamanti che non vedevano l’ora di essere fuori dall’esercito, Charles giunse a una decisione tanto improvvisa quanto malvista. Per motivi che non gli furono mai del tutto chiari, firmò per rimanere sotto le armi.
Un indizio lampante di quanto poco chiari gli fossero questi motivi era il fatto che dovette ripeterseli mentalmente per anni, come lezioni di un breve e confuso catechismo: prestare servizio nell’esercito poteva essere considerato quasi una vocazione; forniva la sicurezza sempre necessaria a un uomo sposato e padre di famiglia; e un giorno o l’altro poteva sempre scoppiare un’altra guerra.
Conservò il grado di tenente così a lungo da cominciare a temere di essere il tenente più anziano che si fosse mai visto, e quasi tutte le sue mansioni nel corso di quegli anni, con sua somma contrarietà, rientravano nel tedio gravoso del lavoro di ufficio.
Fort Devens, Fort Dix, Fort Benning, Fort Meade... ciascuna base dell’esercito tentava coraggiosamente di essere diversa dalle altre, ma erano tutte uguali. Erano di una bruttezza spaventosa, e costruite sul presupposto dell’obbedienza. Perfino nella privacy strettamente sorvegliata degli alloggi per ufficiali sposati, e perfino di notte, non riuscivi mai a dimenticare dove ti trovavi, né perché, e non ci riusciva nemmeno tua moglie. Se da voi due ci si aspettava che tutto nella vostra vita si uniformasse alle limitazioni di un campo militare in tempo di pace, e se tua moglie era una ragazza sveglia e vivace come Grace Shepard, non potevi dire in tutta onestà di essere sorpreso – spaventato, certo, ma non sorpreso – quando alla fine le cedevano i nervi e crollava.
Fin dall’epoca del primo ricovero di Grace, Charles capì che avrebbe fatto meglio a trovare un modo qualsiasi per lasciare l’esercito il prima possibile; e già da qualche tempo si era verificato anche un altro problema, il quale faceva presagire che presto si sarebbe trovato fuori dall’esercito comunque: la sua vista era peggiorata di colpo e stava andando di male in peggio. Per ironia della sorte, però, fu proprio nel corso di quell’anno che l’esercito gli assegnò un compito interessante. Finalmente promosso capitano, fu posto al comando di una compagnia di fucilieri.
E accidenti se gli piacevano quei duecento uomini; anche gli spostati, anche i brontoloni. Nel giro di pochissime settimane era orgoglioso di loro, e orgoglioso del fatto che a quanto pareva era riuscito a conquistarsi il loro rispetto. Assaporava quei momenti della giornata in cui si convinceva che stava badando ai suoi soldati, che se ne stava prendendo cura, e che loro se ne rendevano conto; e non si stancava mai di sentirli dire «il capitano» oppure «il comandante della compagnia».
Quando li portava a fare qualche lunga marcia, in equipaggiamento completo da battaglia, gli piacevano il ritmo e il sudore e la disciplinata sofferenza, anche se non sempre era sicuro di riuscire a farcela per tutto il percorso. E c’erano altri momenti – quando socchiudeva gli occhi per sbirciare dentro i loro fucili Springfield aperti e scaricati, mentre gli uomini rimanevano perfettamente immobili in riga, le schiene di una rigidità innaturale e i volti del tutto privi di espressione – in cui si sorprendeva a desiderare il comando di questa compagnia in qualche fantasiosa guerra immaginata da lui. Quasi tutti si sarebbero distinti sul campo di battaglia perché quasi ogni loro azione sarebbe andata molto al di là di quanto richiedeva il dovere delle armi; poi, una volta finita la guerra, i morti sarebbero tornati in vita al momento giusto per godersi le bevute, le risate e le belle ragazze.
Se Grace si fosse completamente ristabilita lui avrebbe cercato in tutti i modi di superare con l’inganno gli esami della vista, solo per rimanere con la compagnia il più a lungo possibile, ma questa fortuna gli fu negata. Grace ebbe un secondo collasso nervoso, e stavolta Charles capì che non poteva esitare oltre. Prima ancora che la moglie fosse dimessa dall’ospedale lui aveva già espletato le pratiche per rinunciare all’incarico.
Per vari giorni, mentre sistemavano le loro cose e preparavano i bagagli, Charles accarezzò l’idea di trasferirsi in qualche luogo che nessuno dei due avesse mai visto – la California, per esempio, o il Canada – nel quale entrambi potessero ritrovare il vigore della gioventù ricominciando coraggiosamente una nuova vita. Ma d’altro canto le vecchie generazioni di Shepard erano sempre vissute a Long Island, avvezze alle pianure erbose e ai campi di patate e al vento dal vago profumo di acqua salata, perciò la cosa più sensata da fare era tornare a casa. Grazie alla sua pensione, modesta ma sufficiente, comprò una modesta ma sufficiente casetta di legno verniciata di marrone sulla costa settentrionale dell’isola, ai margini del villaggio di Cold Spring Harbor.
Di lì a poco era già noto nel villaggio come un signore dignitoso e cortese che si occupava lui stesso della spesa familiare e del bucato, perché a quanto si diceva sua moglie era invalida. Circolarono voci esitanti e infondate sul fatto che si era comportato da eroe in guerra, o comunque si era distinto in qualche modo sotto le armi; la gente sarebbe rimasta sorpresa nello scoprire che era stato congedato con il grado di capitano, perché il suo aspetto e il suo portamento erano più simili a quelli di un colonnello: veniva facile immaginarselo davanti a un battaglione o un intero reggimento di soldati sull’attenti, a guardarli passare in parata con aria severa. Quell’impressione poteva talvolta assumere un aspetto vagamente comico, quando lo si vedeva per strada intento a cercare di sbrogliarsela con le buste della spesa o con i sacchi della lavanderia, i capelli grigi scompigliati dal vento e gli occhiali spessi che gli scivolavano giù dal naso; ma nessuno, neppure all’osteria, faceva mai battute sul suo conto.
«Sono tornato, cara», esclamò un pomeriggio per farsi sentire da Grace, mentre posava un enorme fardello di provviste sul tavolo della cucina, e continuò a parlare con lei ad alta voce mentre si dava da fare mettendo a posto le cose che aveva comprato. «Ormai saranno dieci ore filate che Evan è là fuori a lavorare su quel motore», proseguì. «Non so proprio dove prenda tutta quell’energia. O quella solerzia».
Quando ebbe sistemato la spesa tirò fuori dei cubetti di ghiaccio dalla vaschetta e preparò due bicchieri con bourbon e acqua, uno dei quali con doppia dose di liquore. Attraversò il soggiorno con i bicchieri in mano, uscì su una veranda ben riparata dal sole, dove Grace era distesa su una sedia a sdraio, e mise con cautela il bicchiere con il doppio bourbon nella mano tesa di lei.
«Non è straordinario quanto può cambiare un ragazzo? Nel giro di pochi mesi soltanto?», le chiese mentre si sedeva con il proprio drink su una sedia dallo schienale rigido vicino a quella della moglie. La giornata era stata stancante ma adesso poteva riposarsi per una mezz’ora, fino al momento di iniziare a preparare la cena.
In certi momenti, se la luce e l’alcol le erano propizi, Grace riusciva ancora a essere la ragazza più carina al ballo degli ufficiali. Charles aveva imparato ad attendere questi momenti con la pazienza di un innamorato, e a tenerseli cari quando arrivavano, ma cominciavano a essere sempre più rari. Il più delle volte – quel pomeriggio, ad esempio – si accorgeva che era meglio non guardarla affatto perché gli sarebbe apparsa soltanto come una donna in sfacelo: appesantita, malcontenta, sembrava rimpiangere in silenzio la perdita di se stessa.
A Fort Meade una volta, parlando delle sue condizioni, un anziano e benevolo medico dell’esercito aveva adoperato il termine nevrastenia; e Charles, dopo averlo cercato sul dizionario, aveva deciso che si trattava di qualcosa con cui poteva convivere. Ma in seguito, a New York, un dottore borghese molto più giovane aveva scartato quella parola come troppo antiquata e imprecisa per avere un qualsiasi valore nella medicina moderna. Poi, come un piazzista troppo sicuro di sé, il giovanotto aveva cominciato a insistere su quello che chiamava «un ciclo di psicoterapia».
«Be’, dottore, se dobbiamo metterci a discutere sulle parole», aveva risposto Charles, trattenendosi a malapena dal perdere le staffe, «devo proprio dirle che non nutro nessuna fiducia nelle parole che cominciano per psico. Secondo me, voialtri non sapete affatto come muovervi, in questo campo bizzarro e sfuggente, e non ne capirete mai granché».
E non aveva mai rimpianto quelle parole, né il fatto che un istante dopo si fosse alzato e fosse uscito dallo studio, anche se questo consentì al medico di restarsene seduto con un’espressione indispettita e fatua, trionfante e piena di sottintesi osceni, neanche fosse una foto di Sigmund Freud in persona. Ci sono cose nella vita che vale la pena rimpiangere dopo averle fatte; altre no.
Tempo dopo, tuttavia, nel periodo in cui il figlio si era trovato nelle difficoltà peggiori, Charles si era accorto di non poter impedire all’insidiosa corrente del gergo psichiatrico di ricominciare a scorrere perfino nella sua stessa casa: diverse persone lo esortavano a «consultare qualcuno che se ne intenda» o a «far visitare Evan da uno specialista»; e l’aspetto curioso era che adesso si ricordava di aver quasi ceduto alla tentazione di trovarsi d’accordo con quei discorsi, anche perché all’epoca qualsiasi altro discorso lo scombussolava molto di più: si parlava di libertà vigilata, di tribunale minorile, perfino di riformatorio. Erano giorni in cui spesso pareva che ci sarebbe sempre stata la voce furiosa di un estraneo al telefono, o due poliziotti alla porta.
Insomma, era proprio straordinario quanto potesse cambiare un ragazzo. E forse le cose del genere finivano sempre per andare a posto da sole, se gli si concedeva abbastanza tempo; forse tutto quello che si poteva fare, a parte soffrire, era aspettare e vedere cosa sarebbe successo.
Da quella veranda, sporgendosi un poco sulla sedia e guardando da una delle finestre, in un punto nel quale non era schermata, anche un uomo con la vista debole poteva scorgere la sagoma di Evan Shepard che terminava la sua giornata di lavoro sul vialetto d’ingresso, mettendo via gli attrezzi, raddrizzando la schiena con aria stanca, asciugandosi le mani con uno straccio pulito.
«E la sai un’altra cosa sorprendente, cara?», disse Charles. «A proposito di Evan? Il suo aspetto è migliorato. Il viso, voglio dire. Non credo che ce lo saremmo mai aspettato, ma sta diventando un... proprio un bel giovanotto».
«Ah, lo so», disse Grace Shepard, pronunciando le prime parole della giornata e accompagnandole con il primo sorriso. «Ah sì, lo so. Bello davvero».
E si rendevano entrambi conto di non essere gli unici osservatori ad averlo notato.

2.

Le ragazze, perfino quelle che l’anno prima trovavano repellente la sola vista di Evan Shepard, stavano cominciando ad ammettere, parlando fra ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Indice
  3. Prefazione di Luca Rastello
  4. Yates scritto da Yates - profilo bio-bibliografico
  5. Bibliografia
  6. Cold Spring Harbor