Tre passi nel buio
eBook - ePub

Tre passi nel buio

Il noir, il thriller e il giallo raccontati dai maestri del genere

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Tre passi nel buio

Il noir, il thriller e il giallo raccontati dai maestri del genere

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Negli ultimi vent'anni, la letteratura italiana di genere ha conquistato il predominio assoluto nelle classifiche di vendita, e costruito una vera a propria comunità di lettori che va sempre più ampliandosi. La costellazione di romanzi che vengono radunati - forse frettolosamente - sotto l'etichetta del crime nasconde differenze rilevanti e spesso ignorate: scrivere un noir non è la stessa cosa che scrivere un giallo; la serialità richiede tecniche di costruzione dell'intreccio che non sono né scontate, né alla portata di tutti; il thriller è un genere a sé, con regole proprie che è necessario applicare nei minimi dettagli, anche quando le si voglia sovvertire. Per la prima volta, tre maestri rispettivamente del noir, del giallo e del thriller hanno accettato di aprire il proprio laboratorio ai lettori, raccontando nei dettagli come costruiscono le loro storie, quali ne sono gli ingredienti irrinunciabili e come questi si sono evoluti nel corso degli anni.Il risultato è un libro pieno di passione e competenza: una lettura irrinunciabile per gli appassionati di Carlotto, D'Andrea e de Giovanni, ma anche per chi non li conosce ancora. Oltre che, ovviamente, per chi sogna di scrivere una storia crime, e vuol capire da dove partire e cosa non sbagliare.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Tre passi nel buio di Massimo Carlotto,Luca D'Andrea,Maurizio de Giovanni in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Letteratura e Critica letteraria. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788875219604

/
Una brutale sincerità
Luca D’Andrea

Solo tre anni fa, Luca D’Andrea era un insegnante precario, che ogni anno sperava di vedersi confermare un incarico annuale nella scuola pubblica. Nel frattempo, e fin da quando era quattordicenne, aveva inanellato progetti su progetti di romanzo, passando dal fantasy all’horror, al thriller. Poi è arrivato La sostanza del male, e la sua vita è cambiata. Prima ancora della pubblicazione italiana per Einaudi Stile Libero, il romanzo di questo illustre sconosciuto si era trasformato in un clamoroso caso letterario, divenendo il libro più venduto della Fiera di Londra del 2016, e trovando editori di primissimo piano in tutti i principali mercati: dalla Francia all’Inghilterra, dalla Germania alla Spagna, fino agli Stati Uniti.
Narrato in prima persona dal protagonista, Salinger, uno sceneggiatore americano specializzato in documentari che si è trasferito in Alto Adige per consentire alla moglie Annelise di ricongiungersi alla sua famiglia di origine, e che comincia a indagare su un delitto orribile che risale a più di trent’anni prima, consumatosi nel Bletterbach, un vero e proprio canyon nel cuore delle Alpi, La sostanza del male è la storia di un’ossessione: un thriller che si muove con ritmo implacabile lungo la linea sottile che separa il verosimile e il soprannaturale. Inevitabile che molti recensori abbiano fatto il nome di Stephen King, che Luca del resto ammira e considera un maestro impossibile da imitare.
Molti autori, al posto di D’Andrea, avrebbero tentato di speculare sul successo della Sostanza, replicandone la formula se non addirittura riprendendone i personaggi. Luca, invece, ha cambiato completamente le carte in tavola, firmando con Lissy un romanzo complesso e innovativo: un thriller metafisico, a metà strada tra religione e fiaba nera, scritto in terza persona, con quattro personaggi giganteschi a dividersi la scena. Un libro rischioso, insolito, insignito del Premio Scerbanenco, che non ha lasciato indifferenti i lettori, divisi tra la perplessità di chi si aspettava una variazione sul tema del romanzo d’esordio e chi è rimasto ammaliato dall’ambizione e dalla potenza nera di quello che lo stesso Luca, durante la nostra chiacchierata, ha definito un esorcismo.
Abbiamo conversato a Bolzano, dove D’Andrea è nato e vive, in una casa piccola che trabocca di libri. E abbiamo parlato di tecniche compositive, di thriller, di serialità. Di una strana malattia tutta italiana che Luca ha ribattezzato la «sindrome di Carosone». E soprattutto, della necessità di essere sempre, brutalmente sinceri, quando si progetta e si scrive un romanzo: sinceri con se stessi, prima ancora che con il lettore.
Se dovessi tentare di dire che cosa è per me il thriller, eviterei le definizioni classiche, come eviterei di soffermarmi su tecniche, trucchi e meccanismi che ormai sono noti a chiunque segua con regolarità le serie televisive su Netflix o su Sky. Per me, il thriller è un traguardo: un grande equilibratore, il ponte ideale gettato tra le mie ossessioni di scrittore e le esigenze e le aspettative dei miei lettori. Non credo che, in quanto tale, il thriller abbia meriti o qualità intrinseche che lo rendano migliore o più efficace del noir o del poliziesco. Più semplicemente, il poliziesco non è nelle mie corde, per via di una strana avversione nei confronti delle figure di commissari o comunque di tutori della legge (che non ha niente di ideologico, e somiglia di più a un’idiosincrasia autoriale), oltre che da una fisiologica diffidenza nei confronti della serialità, sulla quale magari tornerò più avanti. Quanto al noir, sono convinto che per saperne scrivere uno sia necessario un bagaglio di vissuto e di esperienze personali che a me manca.
Con il thriller, invece, posso giocare quasi a mio piacimento. Non esistono scuole che mi condizionino, ma solo una serie di autori che amo e che hanno miriadi di cose da insegnarmi. È la forma narrativa all’interno del genere che assicura la maggior libertà, e che consente di muoversi con la massima disinvoltura tra suspense e romanzesco puro. Infine, il thriller ha un respiro fortemente internazionale, e questo non può che renderlo caro a chi, come me, è cresciuto nella convinzione che l’epoca delle letterature nazionali sia finita da un pezzo, e che esista oramai soltanto il gigantesco agglomerato della letteratura occidentale.
(...)
Il lavoro che mi porta dall’ideazione alla stesura di un romanzo si divide sostanzialmente in tre fasi. Nella prima, che è quella ideativa, parto da una suggestione o un’immagine che mi ossessiona e comincio a giocarci liberamente, fino a quando nella mente non prendono forma i personaggi. Nella seconda fase predispongo quello che io chiamo il «meccanismo», e che potrei definire una sinossi estremamente dettagliata, capitolo per capitolo, movimento dopo movimento, dell’intero romanzo.
Nel momento in cui sono già dentro la storia e la sto organizzando mentalmente, c’è un modo che mi consente di rendermi conto che la storia funziona, ed è quando, all’atto di lavorare sul meccanismo narrativo, delle scene ti si dipanano davanti agli occhi e continuano a stare lì e a offuscare la tua visione d’insieme, finché non decidi di metterle su carta. Quando ti capita una cosa simile vuol dire che il personaggio al centro della scena e la funzione che riveste nella storia sono giusti, e non ti resta che buttare subito giù il testo, che nella maggior parte dei casi rimarrà invariato fino alla stesura finale.
La cosa davvero importante del meccanismo narrativo è che ti consenta di avere una struttura, un motore che funzioni perfettamente e che abbia sufficiente benzina. Perché la struttura funzioni deve esserci una rigorosa consequenzialità tra le cose che accadono, qualcosa che nella vita, in realtà, raramente si verifica. Mentre metti a punto il motore, però, devi anche perfezionare la messa a fuoco dei personaggi, che in un certo senso rappresentano la benzina che fa funzionare la macchina narrativa. Nel momento in cui hai benzina a sufficienza e il motore è bene a punto arrivi alla terza parte, che è quella dell’immersione nella scrittura.
È un po’ come se tu fossi un maratoneta: ti sei preparato, hai fatto tutti gli allenamenti necessari, hai mangiato le cose giuste e non ti resta altro da fare che partire, se non vuoi che la storia ti esploda in mano.
Una volta giunto al momento della scrittura vera e propria, ho la fortuna di andar via veloce come una scheggia. Tra l’altro non rileggo mai quello che scrivo, finché non sono arrivato alla fine. Non mi fermo, devo andare avanti senza soste o intervalli. E questo posso farlo perché so con assoluta certezza che la struttura reggerà: posso quindi concentrarmi, capitolo dopo capitolo, sequenza dopo sequenza, sulla voce che il lettore si sentirà risuonare nella testa: la stessa voce che tu stesso hai cominciato a sentire nitida nella tua, di testa, una volta eliminati tutti i dubbi sulla trama e sui personaggi.
Se tutto è stato predisposto nel modo migliore, quella voce rimarrà nitida per l’intera durata della storia che andrai a raccontare. In questa fase ti accorgi spesso di migliorare, ma come scrivente, non come scrittore. A crescere non è l’autore, che è chiamato a ideare e costruire le storie, ma l’artigiano che deve saperle esporre nel modo più efficace, per arrivare a toccare le corde giuste che servono a far funzionare il libro nel suo complesso.
Solo completato anche il processo di scrittura arrivi a mettere la parola fine, e solo allora potrai sapere con certezza se la storia che hai costruito vale il tempo che occorrerà ai lettori per sfogliarla, o se invece ti toccherà buttare via tutto. D’altro canto, anche nella peggiore delle ipotesi, resta il fatto, almeno parzialmente consolante, che i fallimenti ti consentono più ancora dei successi di capire tante cose di te stesso, e del tuo processo di scrittura.
(...)
È vero, mi capita spesso di finire un romanzo e decidere di metterlo via, o di tenerlo nel cassetto. E il motivo è tutto sommato semplice. Io ho dei nuclei immaginativi tutti miei e molto personali, ma questo non credo valga solo per me. Anche i musicisti hanno due o tre accordi che li ossessionano, e trascorrono una vita intera a cercare il modo perfetto per utilizzarli. E quasi tutti gli scrittori hanno due o tre nuclei che capita di cogliere, declinati ogni volta in maniera diversa, nella maggior parte dei loro libri. Inevitabile, dunque, che i nuclei di cui parlo riemergano in modo quasi ciclico: semplicemente, alcuni di essi non sono ancora maturi per diventare un libro; altri li trovi già pronti a essere trasposti dentro una storia nel momento stesso in cui ti si rivelano, oppure ti ritornano in mente a distanza di anni e dici: «Ah, adesso sì che saprei come raccontartela, questa cosa qui». Sarà anche banale, ma il novanta per cento della vita di uno scrittore si muove dentro la sua testa, nei confini del suo cranio. Le idee rimbalzano da una parete all’altra, azzuffandosi tra loro per emergere. Poi, di punto in bianco, tu le scopri, perché in realtà la prima fase del processo creativo – della quale non abbiamo detto molto perché rimane in larga parte un mistero, e non è possibile parlarne in modo produttivo – si traduce quasi sempre nella sensazione di aver scoperto qualcosa che c’era già, in attesa di essere dissotterrato. Stephen King ha utilizzato un’immagine particolarmente efficace, per descrivere il momento della creazione: è come quando trovi un fossile e ti metti al lavoro con uno spazzolino da denti, nel tentativo di farne emergere la sagoma senza danneggiarlo. L’idea non potrebbe essere veicolata in un modo più efficace. In altri termini, senti di aver intercettato la punta di un iceberg, e che piano piano la stai scoprendo. In realtà stai creando non solo la punta ma tutto l’iceberg, è evidente, ma la sensazione che provi rimane quella di una scoperta. Per me l’immagine, il fossile, la punta dell’iceberg è coincisa, nel caso della Sostanza del male, con la storia di tre ragazzi uccisi nel Bletterbach nel 1985; e passare da questa punta a seicento pagine di manoscritto è stato molto più naturale e meno difficile di quanto si possa credere, o spiegare.
(...)
La sostanza del male e Lissy hanno una costruzione apparentemente opposta: una prima persona filtro che «fa» la storia, nel primo, e una focalizzazione addirittura quadrupla, con un’equa distribuzione dei pesi, nel secondo. Devo anche aggiungere che, fin dai miei primi tentativi – che risalgono a quando avevo quattordici anni o poco più – non avevo mai scelto la narrazione in prima persona: per me quindi, quando ho scritto La sostanza, si trattava di una vera e propria scoperta, della quale, peraltro, credo di aver fatto un uso almeno in parte atipico. La prima persona – ma anche la terza di Lissy, a volerla dire tutta – ti permette di fare surf, utilizzando i personaggi come tavole su cui stare in equilibrio, o meglio ancora come onde da cavalcare. All’inizio l’onda la crei tu perché inventi il personaggio, gli dai determinate caratteristiche, un volto, una voce, dei tic, l’insieme della sua personalità. Dopodiché, se il personaggio sta in piedi da solo, e bene, continua a produrre cavalloni ed energia. A te non resta che surfarci sopra, e non credo esista nulla che sia altrettanto interessante. Prendiamo Salinger, il protagonista della Sostanza. Ha delle caratteristiche che sono mie: per esempio l’ossessività, o l’esperienza come sceneggiatore di una docufiction che nel romanzo viene chiamata Mountain Angels ma che coincide perfettamente con la serie Mountain Heroes, alla quale ho lavorato con le stesse sue mansioni. D’altro canto, a Salinger piace Springsteen, a me il death metal e i Cannibal Corpse. Giocare sulle somiglianze e le differenze tra il tuo io e quello del personaggio, lavorando sullo iato che vi separa, è una delle cose più divertenti che esistano.
(...)
Ecco, questa è una cosa della quale non si parla pressoché mai, quando si prova a ragionare sulla scrittura e sui suoi processi, e che invece per me è assolutamente fondamentale: il divertimento. Scrivere non può essere un’angoscia, non può essere un lavoro nel senso ripetitivo del termine. Richiede un grande impegno, questo sì, perché devi sputare sangue, fare del tuo meglio, dare il centodieci per cento. Non puoi mai prendere in giro il lettore, perché il lettore li ha sudati, quei quindici o diciotto euro che ha speso per comprare il tuo libro, e perché le ore che gli occorrono per leggerlo le strapperà alla sua famiglia e ai suoi cari. Ma d’altro canto devi divertirti come un pazzo, perché solo divertendoti puoi essere veramente sincero in quello che fai.
Tornando ai miei due romanzi, e passando a Lissy, si regge su quattro personaggi molto forti. Per come ho tentato di concepirlo, è una sorta di incrocio tra una tragedia e una fiaba dei Grimm. A distanza di diversi mesi dalla sua pubblicazione, ogni tanto mi viene da pensare che Lissy potrebbe quasi essere un libro letto da Salinger, una sorta di finzione dentro la finzione. Già mentre lo costruivo, però, e mettevo a punto il meccanismo, il mio pensiero era sempre lo stesso: «Se devo gestire la storia di Marlene, o quella di Simon Keller, io devo entrare dentro Marlene, devo entrare dentro Simon Keller, farne una strana proiezione del mio io, per riuscire a mettere a fuoco quello che vedono e così essere sincero fino in fondo quando racconto quello che ciascuno di loro fa». Non a caso, tutti e quattro i protagonisti di Lissy sono presentati in soggettiva, e credo che la sfida più grossa e più estrema sia stata mettere in soggettiva l’Uomo di fiducia. Il che, almeno immagino, fa di me decisamente una brutta persona!
Quando sono arrivato a completare il meccanismo di Lissy mi sono reso conto di una cosa: avrei potuto scrivere quel romanzo da quattro punti di vista completamente diversi. Avrei potuto privilegiare il punto di vista di Marlene, dell’Uomo di fiducia, di Simon Keller o di Wegener. Certo, sarebbero venuti fuori quattro romanzi molto diversi, ma avrebbero funzionato comunque. È questo che significa, avere personaggi forti e con una loro voce.
(...)
Tu mi hai detto più volte che in editoria nulla è spiegabile fino in fondo, ma d’altro canto nulla accade mai per caso. Se penso al successo internazionale – ma anche italiano – della Sostanza del male, mi rendo conto che farsi troppe domande non è di aiuto a nessuno. È banale dire che si tratta di un mistero, e che, nel bene come nel male, non è mai possibile capire fino in fondo quello che il mercato vuole: tra l’altro, io non sono certo un autore che passa il suo tempo a studiare o a inseguire il mercato. È possibile che a colpire tanti lettori, e in paesi così diversi, sia stato proprio quel gioco di sincerità del quale mi ostino a parlare. Quando nella Sostanza del male incontri Werner – uno dei personaggi che ha trovato più estimatori, in tutto il mondo – ti trovi davanti una persona a tutti gli effetti, che ha ben poco di letterario. È bizzarro, ma in qualche modo per scrivere bene occorre dimenticare ogni volta di essere uno scrittore: tutto il bagaglio tecnico che devi assolutamente esserti costruito, tutte le letture che hai affrontato e dalle quali puoi trarre ispirazione, le devi cancellare dalla testa. Deve esserci spazio solo per la storia. Fosse per me, i libri non dovrebbero nemmeno essere pubblicati con il nome dell’autore. Dovrebbe esserci il titolo e basta: se il libro ti piace bene, altrimenti pazienza. Lo scrittore deve scomparire e lasciare spazio alla storia e ai personaggi. Più la personalità del personaggio emerge, meno filtri si porta dietro, più, ovviamente, il lettore sarà indotto a empatizzare con lui. O magari a litigarci. Ci sono state diverse persone, per esempio, che mi hanno fermato al supermercato e hanno cominciato a protestare contro Salinger, dicendomi: «Io non mi sarei mai comportato così!»
(...)
A un certo punto, se ragioni troppo sul successo che hai ottenuto o che stai ottenendo, la parola successo si trasforma nella parola pressione. E la pressione è nemica di qualunque processo creativo. Come sai bene, io non sono sui social network e non faccio praticamente presentazioni. È una scelta che mi ha tirato addosso diverse accuse di snobismo, ma non credo siano motivate: in realtà, preferisco semplicemente stare a lavorare sul prossimo libro, o sulla prossima idea, e per farlo ho bisogno di rintanarmi, di elucubrare, di parlare con quelle poche persone che mi accompagnano nel modo giusto durante il processo creativo. Le rare volte che accetto delle presentazioni... Ti faccio un esempio, che mi viene più semplice: in Germania mi è capitato di trovarmi, in modo assolutamente inaspettato, davanti a trecento, quattrocento persone. Tutte con una copia del mio libro in mano e tutte felici di incontrarmi. È stata un’esperienza molto bella, e non avrebbe potuto essere altrimenti. Avevo di fronte dei perfetti sconosciuti che trasmettevano affetto e gioia di fronte a una cosa che ero stato io a costruire, e che prima apparteneva al novero dei piccoli segreti o degli hobby personali. C’è un problema, però: questo affetto così gratificante può diventare una gabbia, e può capitare che uno o più lettori ti dicano: «Voglio ancora questa cosa qui». Oppure: «Salinger...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Indice
  3. Introduzione di Luca Briasco
  4. / Oltre il genere, rivendicando il passato - Massimo Carlotto
  5. / Una brutale sincerità - Luca D’Andrea
  6. / Ascoltare le storie della mia città - Maurizio De Giovanni
  7. Bibliografia ragionata