DICIAMO, UN MATRIMONIO
(SCENA DA UNA COMMEDIA)
MAURICE FEUER è un attore ebreo, ammalato, che non recita più e cerca di influenzare la figlia ADELE nella scelta di un marito. La ragazza è fidanzata con LEON SINGER, il giovane proprietario di un negozio di articoli sportivi a Newark. FEUER gli preferisce BEN GLICKMAN, uno scrittore povero, alle prime armi, che abita nello stabile, una casa popolare nei paraggi della Seconda Avenue, a Manhattan. Gli pare che condivida con lui gli stessi valori nella vita, e in ogni caso, ha simpatia per lui. La moglie di FEUER, FLORENCE, ex attrice, attualmente estetista, che a sua volta ha girato il mondo e si è fatta una sua saggezza, è tutta per LEON. In un’afosa giornata di metà agosto, LEON è arrivato in macchina dal New Jersey per fare una sorpresa ad ADELE, quando torna dal lavoro, e portarla fuori a cena. All’alzarsi del sipario, LEON aspetta la ragazza giocando a carte con l’attore. Per via del caldo, la porta è aperta e di tanto in tanto qualcuno passa sul pianerottolo.
LEON: (piano) Ramino. Questa mano è mia. (Depone le carte e si mette a contare i punti.)
FEUER: (si alza, spingendo indietro la sedia, si leva gli occhiali e, senza preavviso, declama appassionatamente, in yiddish) Oh, Dio, tu uccidi il tuo povero padre, ecco che cosa fai. Per tutta la vita ho lavorato come un cane, per prendermi cura di te, così come deve fare un padre. Per nutrirti e vestirti. Per darti la migliore istruzione. Per insegnarti quel che è giusto. E tu, come mi ripaghi? Mi ripaghi diventando una donnaccia. Vivendo con un uomo sposato, un essere sudicio e meschino che non ha il minimo rispetto per te. Un vagabondo, che ti ha usata come uno straccio. Peggio di uno straccio. E ora che non ti vuole più e ti butta a calci fuori dal suo letto, vieni da me a piangere, a implorare che ti riprenda. Figlia mia, per quello che ho dovuto soffrire per te, non esiste perdono. Il mio cuore non ha più lacrime. È duro come una pietra. Non voglio più rivederti, per tutta la vita. Vattene, ma ricorda: tu hai ucciso tuo padre. (Lascia ricadere la testa sul petto.)
LEON: (perplesso) Che roba è?
FEUER: (riprendendo la propria identità, mentre inforca di nuovo gli occhiali) Non conosce l’yiddish?
LEON: Solo qualche parola.
FEUER: (sedendosi, fa schioccare le labbra, con disappunto) È una battuta di una commedia che ho recitato nel Teatro della Seconda Avenue: Sein Tochter Geliebter. Ero grandioso, in quella parte... magnifico. Tutti i critici impazzivano per me, sebbene la commedia fosse una lagna. Persino il New York Times mandò un giornalista, che poi scrisse nell’articolo: «Maurice Feuer non è semplicemente un attore meraviglioso; è un mago». Quel che riuscivo a fare con quell’orrenda commedia, è incredibile. Le davo vita. La rendevo credibile.
(LEON comincia a distribuire le carte per un’altra mano mentre FEUER continua.)
FEUER: Ho recitato anche in Greener Felder, Spettri, Il Dybbuk, Il giardino dei ciliegi, Naches fon Kinder, Gott fon Nachoma e in Yoshe Kalb. Schwartz faceva Reb Melech, e io facevo Yoshe. Ero grandioso, stupendo. La commedia restò in cartellone tre anni a New York e dopo facemmo Londra, Parigi, Praga e Varsavia. La portammo anche in Sudamerica, per una stagione, e lavorammo a Rio, poi, per sedici settimane, a Buenos Aires. (Preso da un ricordo FEUER tace improvvisamente.)
LEON: Tocca a lei.
(L’attore, con aria assente, prende una carta e senza guardare ne getta via un’altra. LEON prende una carta, la studia attentamente, poi la scarta.)
LEON: Tocca a lei.
(FEUER, riscuotendosi, guarda una carta e la posa sul mucchietto delle scartate.)
FEUER: Il brano che le ho recitato è il discorso di un padre alla figlia. Lei ha scelto l’uomo sbagliato e si è rovinata la vita.
(LEON studia le carte. Non ha nulla da dire.)
FEUER: (punzecchiandolo un po’) Non l’aveva capito?
LEON: Solo in parte. Pure, quando proprio ho dovuto, sono riuscito a dare indicazioni in yiddish a una vecchietta con la parrucca che ho incontrato in centro a Newark e voleva andare a Brooklyn.
(Mentre parlano, la partita continua.)
FEUER: Adele sa l’yiddish alla perfezione. L’ha imparato da piccola. Mi scriveva delle lettere in yiddish. Erano stupende. E per giunta, aveva una splendida grafia.
LEON: Forse insegnerà l’yiddish ai nostri bambini.
(Non si accorge che FEUER lo guarda con ironia.)
FEUER: (provando un’altra tattica) Sa qualcosa di storia ebraica?
LEON: (amabile) Mica molto. (Ripensandoci) Se ha preoccupazioni di fede stia tranquillo. Ho fatto il bar mitzvah.
FEUER: Non ho nessuna preoccupazione. Ma mi dica, conosce qualcuno dei grandi scrittori yiddish? Peretz, Sholem Aleichem, Asch?
LEON: Ne ho sentito parlare.
FEUER: Legge libri seri?
LEON: Certo. Sono iscritto al Club del libro scelto.
FEUER: Perché non se li sceglie da sé, i libri? Cosa c’è andato a fare all’università?
LEON: Li scelgo quasi tutti io. Ma non è male essere iscritto a un buon circolo di lettura. Si risparmia tempo. (Guarda l’orologio da polso.) A che ora arriva Adele? Si fa tardi.
FEUER: Perché non le ha telefonato, per avvertirla? Telefonare non è una gran spesa.
LEON: Pensavo di farle un’improvvisata. Mio fratello Mortie è venuto a Newark stamattina e mi ha fatto il favore di prendersi cura del negozio, perché potessi uscire prima. Il mercoledì sera restiamo aperti.
FEUER: (consultando un vecchio orologio da tasca) È in r...