APRIL
IN TRE PARTI
Prima parte – I folletti dell’arcobaleno
Stavo accompagnando a casa Fred in macchina dopo la lezione di disegno. Era un mercoledì sera, più o meno le dieci. Fred ha detto: «La modella era parecchio arrapante stasera».
«Sembrava un albero malato con un nodo marcio».
«Io mi scoperei pure un albero», ha detto Fred.
A lezione di disegno non disegnava mai. Veniva con me tutti i mercoledì dopo la scuola e se ne stava lì seduto fino a fine lezione. Non gli piaceva disegnare, per cui guardava le modelle e basta. Guardava anche quando erano uomini nudi. Una volta, l’insegnante gli ha detto che doveva disegnare, e lui ha disegnato un’esplosione.
«Tipo che faresti se avessi un incidente con la macchina?»
«Uhm, mi incazzerei», ho risposto.
«Sì, certo, ma se fosse un incidente per guida in stato di ebbrezza, e quello che ha bevuto fossi tu?»
«Sono in libertà vigilata», ho detto. «Finirei al gabbio».
«Sì, certo, testa di cazzo, ma che faresti? Ti assumeresti la responsabilità o scapperesti?»
«Quant’è grave l’incidente?»
«È grave, sei andato a schiantarti contro un’altra macchina. Ma la tua funziona ancora». Mentre spiegava gesticolava.
«Ah sì?», ho detto.
«Sì, l’altro potrebbe essere morto, o magari ha avuto solo un colpo di frusta, tu questo non lo sai».
«Chi è l’altro?»
«Ehi, non lo sai! Stammi a sentire, tu puoi o fermarti ad aiutare l’altro, e magari è Cindy Crawford e ti innamori, oppure levarti dal cazzo. Ma devi decidere. Fai finta che sia successo in questo momento esatto, che faresti?»
«Uhm, mi sa che me ne andrei», ho detto.
«Sul serio? Te ne andresti? È la tua scelta definitiva?»
«Fanculo», ho detto.
«Tu sì che sei un duro», ha detto Fred.
Quel venerdì, dopo la scuola, io e Fred siamo andati a casa del mio amico Barry. Fuori c’era ancora luce ma abbiamo fatto comunque un festino. Ci siamo messi tutti a bere da una bottiglia di whisky Kessler. C’era April, una ragazza che mi piaceva. Pensavo che se mi fossi ubriacato a sufficienza, magari sarei riuscito a combinare qualcosa con lei. Avrei potuto dirle cosa provavo veramente e magari a fine serata me la sarei scopata.
Barry, io, Fred, Ivan e A.J. Sims eravamo seduti nell’angolo della cucina al tavolino del tinello a bere shottini di whisky. Era forte e bruciava, e a quel tavolo mi sentivo potente. Ogni volta che qualcuno si fermava in cucina facevamo gli spiritosi perché il whisky stava facendo effetto.
È entrata Chrissy per prendere un bicchiere dalla credenza.
«Ehi, Chrissy, hai succhiato cazzi ultimamente?»
«Sei un coglione, Ivan», ha detto Chrissy. Era bassa, carina e di un biondo perfetto. «Barry, perché quel coglione non lo lasci mai a casa sua?»
«Non saprei», le ha risposto Barry.
«Chrissy, succhiami il cazzo o levati dai coglioni», ha detto Ivan.
«Sei veramente uno stronzo», ha detto Chrissy. «Uno stronzo pallido». Ivan era veramente pallido.
«Succhia cazzi», ha detto Ivan, e tutti quelli che bevevano whisky si sono messi a ridere perché Ivan aveva in sospeso una questione con Chrissy per cui la odiava e le diceva le cose peggiori. Il suo ragazzo, Jerry, non c’era, per cui ci sentivamo liberi di prenderla per il culo.
Dopo un po’ mi sono ubriacato e le cose hanno cominciato a ondeggiare. Mi sentivo in grado di parlare con April. Mi sono alzato e ho vagato per la casa. Era ancora giorno e alla festa non c’era tanta gente. Alcuni erano sui divani a bere birra. Sono passato dalla stanza di Barry e sono uscito dalle porte a vetri scorrevoli che davano sul cortile sul retro. Lì fuori, in veranda, c’era Ed seduto su una panca di legno. Era chino su un pezzo di carta stagnola con l’esterno di una penna Bic. Stava scaldando il fondo della stagnola e cercava di inspirare il fumo. Fuori non c’era nessun altro.
«Che stai facendo?», gli ho chiesto.
Ha inspirato per un po’, poi s’è fermato, trattenendo il fumo. «Eroina», m’ha risposto.
Prima di allora non avevo mai visto nessuno farsi di eroina.
«Hai visto April?», ho detto, e ho guardato altrove. Il cortile era vuoto ma ho dato comunque un’occhiata in giro.
«Eccola lì», ha detto Ed. Stava indicando dietro di sé, dentro casa, al di là della porta a vetri. In fondo alla stanza, April e Barry erano in piedi davanti alla porta della sua camera, si tenevano per mano. Poi le teste si sono piegate da un lato e si sono baciati.
Sono andato sul davanti della casa. Fred era seduto sul gradino di mattoni davanti all’ingresso, fumava una sigaretta.
«Andiamocene da questo posto del cazzo», gli ho detto.
Ha detto ok e ci siamo incamminati lungo il vialetto verso la mia macchina.
«Dove andiamo?», ha chiesto Fred.
«Da nessuna parte, cazzo», gli ho risposto, e ho accelerato.
Ero a uno stop a un incrocio con Middlefield Road, che era una strada abbastanza trafficata, per cui ho aspettato un po’. Ero ancora arrabbiato. Poi sono ripartito e ho visto la macchina bianca affondare dritto sulla fiancata anteriore della mia macchina. È andata a sbattere vicino alla ruota davanti, e s’è sentito rumore di ferraglia, e la mia macchina ha ruotato a destra, e poi mi sono ritrovato dritto lungo la Middlefield. Per un istante sono rimasto fermo lì. Era tutto fermissimo, più che fermissimo. E poi ecco che stavo guidando di nuovo, veloce. Dallo specchietto retrovisore ho visto la station wagon bianca con il muso accartocciato che aspettava al centro della Middlefield, in diagonale rispetto alla strada. Si stavano fermando altre macchine. Ho lasciato la Middlefield sterzando su una strada laterale con le gomme che stridevano e slittavano, e quando ho rimesso la macchina dritta sono ripartito a tutta velocità.
Fred ha detto: «Che cazzo sta succedendo?»
«Come cazzo facevi a saperlo?», gli ho urlato.
«Che? Sapere che?»
«Come facevi a sapere che avrei fatto un cazzo di incidente?»
«Non lo sapevo! Che? Di che parli?»
«Fanculo, Fred! E se? E se?»
Poi ha detto a bassa voce: «Non mi stai dando sul serio la colpa, giusto?» Sono rimasto zitto; riuscivo solo a guidare. Poi Fred ha detto, calmo e a bassa voce: «Posso scendere?»
Mi sono fermato di botto, facendo stridere e slittare le gomme un’altra volta. Ci siamo fermati nel bel mezzo di una strada ma in giro non c’era nessuno. Non lo guardavo. Ha aperto lo sportello ed è sceso, e prima di richiuderlo ha detto: «Ci si vede».
Ho ripreso a guidare, poi ho girato un angolo e un altro angolo, e ho proseguito.
Sono passato davanti casa di Nana. Poi mi sono ritrovato su El Camino e sono passato davanti a Stanford. Ho imboccato una traversa e sono passato davanti alla mia scuola elementare. Mentre guidavo mi schiarivo le idee. Avrei detto a mio padre che ero andato a sbattere contro un albero. Gli avrei detto che avrei pagato io il danno.
Poi la macchina ha iniziato a sferragliare, la gomma anteriore destra stava strusciando su qualcosa. Poi il cofano s’è messo a vibrare. Ho guidato verso Colorado Avenue e poi El Dorado Avenue, e poi ho girato a sinistra su South Court e sono arrivato al mio isolato.
Casa nostra era in fondo a un vicolo cieco. Le macchine dei miei non c’erano.
Entrando nel vialetto, ho visto una macchina della polizia sul vialetto della signora Bachman, accanto a casa nostra. Mentre parcheggiavo, ho visto il poliziotto della volante. Veniva verso di me. Sono sceso educatamente dall’auto.
Il poliziotto era bassino. Aveva un taglio di capelli alla Bob Kennedy, e gli occhi sembravano quelli di un cretino.
«Salve», ha de...