John Cassavetes. Un'autobiografia postuma
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John Cassavetes. Un'autobiografia postuma

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John Cassavetes. Un'autobiografia postuma

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John Cassavetes (1929-1989), attore poliedrico e regista di film quali Ombre, Volti, Mariti e Gloria (Leone d'Oro a Venezia), è considerato il padre del cinema americano indipendente. I suoi film, realizzati con budget minimi e la collaborazione, sia dietro le quinte che sulla scena, di amici e parenti – tra cui gli «attori feticcio» Seymour Cassel, Ben Gazzara, Peter Falk e Gena Rowlands – hanno inaugurato un nuovo modo di fare cinema lontano dall'egemonia degli studios hollywoodiani, libero da sceneggiature rigide e incentrato sulla massima improvvisazione degli attori. In questo libro, l'autore raccoglie e raccorda fra loro una quantità imponente di citazioni da interviste edite e inedite con il regista e i suoi amici e i collaboratori più stretti: dalle vicende personali ai dietro le quinte della realizzazione dei film, fino alle battaglie per la loro diffusione, quello che ne emerge è il ritratto completo, onesto e appassionato di uno dei cineasti più geniali e coraggiosi di sempre.

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Informazioni

1. GLI INIZI (1929-56)

Una storia alla Frank Capra.
Mio padre, Nicholas John Cassavetes, arrivò in America insieme al fratello e alla sorella quando aveva quattordici anni. Era nato a Larissa, in Grecia, nel 1893, e aveva sentito parlare di questo paese quando un giorno un missionario di passaggio in città aveva detto che in America c’era fratellanza, e che, se avevi voglia di lavorare e di imparare, il popolo americano ti avrebbe aperto le braccia e il cuore. Andarono prima in Bulgaria – dove depositarono mia zia presso dei parenti – e poi a Costantinopoli, dove lavorarono fino a risparmiare abbastanza per pagarsi il tragitto in nave. Il 1° gennaio 1908 mio padre e suo fratello Arthur arrivarono a Ellis Island. Quando gli chiesero chi conoscevano in America, mio padre, che aveva sentito parlare di Providence, nel Rhode Island, e al quale piaceva il nome, disse che conosceva qualcuno in quella città. Gliene fu chiesta una prova scritta, e lui rispose che non ne aveva, perché l’uomo, una persona molto ricca, era arrivato a New York sulla nave prima della loro. Poi sfoderò la sua battuta a effetto: «Voglio lavorare e voglio imparare».
Un funzionario dell’ufficio immigrazione diede a mio padre e a mio zio cinque dollari per il biglietto dell’autobus fino a Providence; quando arrivarono non conoscevano anima viva. Mio padre setacciò la città in cerca di greci, tentando di individuare il familiare incarnato olivastro, finché non si imbatté in altri immigrati che gli diedero lavoro. Poco dopo trovò un’occupazione nei dintorni di Boston, in una gelateria.
Negli anni dell’adolescenza e della giovinezza, il padre di Cassavetes lavorò per pochi soldi in caffetterie e ristoranti del New England. Risparmiò più che poté per l’università, e nel 1911 entrò a Harvard con una borsa di studio parziale (in seguito il figlio abbellì la storia di Harvard in svariati modi: per esempio, raccontò che il padre aveva conosciuto Franklin Delano Roosevelt e che gli chiedeva abitualmente in prestito i libri di studio, nonostante i due uomini non avessero frequentato nello stesso periodo. Cassavetes diceva anche che il padre aveva fatto studi classici, ma in realtà la sua materia principale era la chimica, sebbene avesse seguito corsi di francese, tedesco, greco e latino. Inoltre il regista raccontava che il padre era stato uno studente eccezionale, anche se in realtà i suoi voti erano quasi sempre B e C).
Mio padre arrivò qui a sedici anni. Due anni dopo si era già praticamente sistemato: aveva imparato l’inglese, da affiancare al greco e al francese che già conosceva; aveva passato sei mesi alla Mount Hermon School con una borsa di studio; e aveva vinto un’altra borsa di studio parziale per gli studi classici alla Harvard University. Era nella classe del 1915, ma non si laureò. Durante gli studi si mantenne lavorando, e un paio di volte fu quasi costretto a lasciare. Ogni volta andò dal preside, e in un modo o nell’altro riuscì sempre a ottenere il denaro che gli serviva per continuare gli studi. Ogni volta che si trovava in difficoltà economiche, diceva: «Voglio lavorare e voglio imparare», e lavorava e imparava.
Il denaro fu un problema costante per il padre durante gli anni universitari. Come aveva fatto alla Mount Hermon School, oltre a frequentare i corsi svolgeva lavoretti dalle sei di sera fino a mezzanotte sei giorni la settimana, per guadagnare abbastanza da mantenersi e mandare soldi ai genitori nel­l’Epiro. Inoltre faceva grande affidamento su una serie di borse assegnate direttamente da Harvard. Il fascicolo dello studente Nicholas Cassavetes è pieno di lettere grazie alle quali, anno per anno, il ragazzo riusciva a persuadere il preside a concedergli un finanziamento ad hoc dopo l’altro, permettendogli di continuare gli studi. Le audaci insistenze, le abilità di negoziatore e la fede nella fondamentale bontà delle persone e nella loro capacità di comprendere i bisogni del prossimo manifestate in seguito dal figlio sono in parte visibili tra le righe delle minuziose perorazioni del padre.
Dopo aver lasciato l’università nel 1915, avendo completato l’equivalente di tre anni di corsi, Nicholas Cassavetes servì brevemente nell’esercito americano come interprete, e dal 1915 al 1922 fu prima segretario onorario e poi direttore dell’Unione pan-epirotica d’America. In tale veste scrisse The Question of Northern Epirus at the Peace Conference, pubblicato dalla Oxford University Press nel 1919. Si tratta di una richiesta appassionata e personale al popolo americano di aiutare gli epiroti (di cui Nicholas Cassavetes faceva parte) nella liberazione dal dominio albanese. Il testo sviluppa l’argomentazione facendo leva non solo sui problemi umanitari, ma anche su parallelismi storici e culturali tra la repubblica greca e quella americana. Per dirla con la lettera personale che era inclusa in ciascuna copia: «[Questa pubblicazione] descrive il caso di una razza che per tremila anni ha lottato in favore della Libertà, della Democrazia e dell’ideale della Bellezza». Attorno ai venticinque anni il giovane scrisse anche una serie di lettere a funzionari americani, in cui ribadiva le proprie richieste di assistenza alla causa dell’Epiro. Mentre si dedicava a questi progetti, si manteneva con una serie di lavori umili e poco pagati nelle cucine di ristoranti e caffetterie.
Il 24 aprile 1926 Nicholas sposò Katherine Demetri, di circa quindici anni più giovane, e la coppia ebbe due figli: Nicholas John, che in seguito divenne broker azionario a Wall Street, nato il 21 dicembre 1927, e John Nicholas, nato il 9 dicembre 1929. Il padre era passato a lavori leggermente più remunerativi, ma tutti di breve durata, e le finanze di famiglia fluttuavano di anno in anno. L’eufemismo che Cassavetes usava nelle interviste era che nel corso della vita suo padre aveva «guadagnato e perso milioni». Metaforicamente era vero, ma per gran parte dell’infanzia del regista il padre non ebbe nessun milione da perdere. La sua famiglia era decisamente povera.
Mio padre si occupava di import-export. Per un certo periodo detenne un’importante quota azionaria della Cunard White Star Line, ma lo costrinsero a cederla. Durante la Depressione andò a lavorare in una fabbrica di gelati. Ricordo l’effetto che questo ebbe su di noi. Non avevamo niente da mangiare; mia madre ci portava in un ristorante, una specie di caffetteria, e il proprietario ci regalava del cibo. Mia madre lo dava tutto a me e a mio fratello maggiore. Me lo ricordo il proprietario di questo ristorante, perché quando ce ne andavamo io vedevo delle caramelle – non sapevo che fossimo poveri – perciò dicevo: «Vorrei le Life-Savers» – quei pacchetti misti, una alla ciliegia, una al limone eccetera. E lui rispondeva: «Toh, tieni». Mia madre allora diventava molto tesa, ma io le prendevo e mi ci buttavo sopra, come fanno i bambini con le caramelle.
I genitori erano molto orgogliosi e proteggevano i figli dalla realtà della loro situazione.
C’era la Depressione e tutti erano poveri, ma non aveva importanza. Non abbiamo mai saputo di essere poveri. Non avevamo un soldo, ma non ce ne preoccupavamo mai. Non abbiamo mai saputo cosa fosse la povertà. A un certo punto, durante la Depressione, ricordo che entrò in casa questo commerciante armeno di tappeti turchi, che voleva comprare tutte le tappezzerie e i merletti di mia madre. Per le tovaglie damascate le offrì 25 centesimi ciascuna. Senza battere ciglio lei vendette tutto quello che avevamo per procurarci da mangiare. La fece sembrare una cosa allegra e spensierata, in modo che noi non ci preoccupassimo. Più avanti nella vita si comincia a capire: ti ritornano in mente le persone che vendono le cose, e il modo in cui lo fanno. Mio padre e mia madre non erano mai spaventati da nulla. Hanno sempre pensato di dover affrontare la vita con gioia e senza paura, e lo hanno fatto. E questo fu un gran bene per me e mio fratello.
All’inizio degli anni Trenta il padre riportò la famiglia in Grecia per sei anni. John aveva due anni.
La mia famiglia ritornò in Grecia quando ero piccolo, e rientrammo in America che avevo otto anni. Mi dicono che all’epoca a scuola non sapevo parlare inglese, solo greco. Ma per me le barriere linguistiche non significano nulla. Il linguaggio è solo un mucchio di simboli. Le emozioni delle persone sono fondamentalmente le stesse ovunque.
Mentre i due bambini erano alle elementari la famiglia traslocò spesso, passando da un appartamento all’altro e di quartiere in quartiere: da Forrest Hills a Kew Gardens a Jackson Heights ad altre zone. Con alcune eccezioni, la maggior parte delle abitazioni in cui vivevano erano appartamenti popolari senza acqua calda. Cassavetes esagera la frequenza dei trasferimenti, ma solo di poco.
Cambiavamo casa ogni trenta giorni. I proprietari erano così ansiosi di trovare inquilini che offrivano un mese di affitto gratis a chi si trasferiva. Una volta che il mese era finito, ce ne andavamo. Ma durante quel periodo di fluttuazioni, nel corso del quale probabilmente avremo traslocato venticinque volte – passando da appartamenti lussuosi alle casette di arenaria a schiera di Woodside, a Long Island – nella mente dei miei genitori non c’è mai stato un solo momento di dubbio. Mio padre era un giocatore d’azzardo – e giocava insieme a noi.
Negli anni Cinquanta e Sessanta la situazione economica dei genitori del regista migliorò, e la coppia si stabilì in un appartamento al 90 di Riverside Drive, Sutton Place, nell’East Side di Manhattan. La madre gestiva una boutique chic nell’Upper East Side e il padre l’agenzia viaggi Olympic al 203 della Quarantaduesima strada Ovest, a pochi isolati di distanza da dove fu girato gran parte di Ombre. Nei primi anni Settanta, dopo che il padre andò in pensione, la coppia si trasferì a Studio City, in California, per stare vicino al figlio.
Marito e moglie avevano personalità complementari. Il padre era amante della lettura, intellettuale e idealista. Instillò nel giovane John un amore per i classici che sarebbe durato per tutta la vita, leggendogli Platone e Sofocle in greco, mentre il ragazzino curava il giardino di famiglia. (Cassavetes aveva una memoria eccezionale per tutto tranne che per i nomi delle persone, e da adulto era in grado di citare a volontà lunghi brani delle tragedie greche, gran parte di Aristofane – tra i suoi preferiti per via della licenziosità – e ampi passi di Shakespeare.)
Mio padre era un uomo silenzioso, serio e pensoso – molto artistico, creativo e originale, ma lavorava per conto suo. Scrisse due libri che non furono mai pubblicati. Per il primo, Il Sinedrio, andò in Israele a fare ricerche sul processo a Gesù. Dopo Ombre, volevo lavorare con Dreyer per trarne un film. La sceneggiatura si intitolava Trenta denari d’argento. Poi ne scrisse un altro, Sangue e petrolio, che attaccava la Standard Oil. Quando lo terminò, nel 1939, sapeva che non sarebbe riuscito a farlo pubblicare, ma voleva dire la verità sulle malefatte della compagnia. Era un idealista e un vero intellettuale. Come popolo ammirava i britannici, perché hanno fatto così tanto con così poco. Avevano poche risorse naturali, ma hanno costruito una cultura che ispira il mondo.
Nicholas Cassavetes fu un serio studioso della storia e della cultura mondiali che vedeva l’America, almeno potenzialmente, come una nuova Atene. Aderiva agli ideali della civiltà greca classica, e giudicava gli Stati Uniti in base a quanto avevano realizzato – o non erano riusciti a realizzare – tali ideali. Come capita a molti immigranti provenienti da culture meno democratiche, ed essendo di suo profondamente conservatore, tradizionalista e sostenitore dei valori del «vecchio mondo», aveva idee ben precise sui motivi per cui gli americani non erano riusciti a essere all’altezza degli ideali su cui era fondata la loro cultura. Riteneva che l’America venisse erosa dall’interno da divisioni sociali, gretti interessi personali, immoralità nella vita privata e dalla mancanza di ciò che lui chiamava «disciplina». Secondo le sue parole: «per sfuggire al destino della Grecia e di Roma» l’America aveva bisogno di tornare agli «ideali tradizionali di disciplina, patriottismo e valore morale». Durante gli anni Venti e Trenta il New York Times pubblicò più di venti sue lettere su svariati argomenti, e nel 1944 Nicholas diede alle stampe un pamphlet di trentaquattro pagine intitolato Near East Problems («I problemi del Vicino Oriente»). Il giovane John Cassavetes crebbe in una casa immersa in ideali storici e politici sostenuti con vivacità e passione, in cui i valori culturali americani venivano continuamente paragonati, favorevolmente o sfavorevolmente, con quelli della Grecia classica. Al ragazzo venivano descritti sia la grandezza potenziale sia le effettive manchevolezze della società degli Stati Uniti, e gli veniva ricordato che il background da cui proveniva avrebbe dovuto permettergli di essere migliore della maggior parte degli americani.
Negli anni Trenta il padre fu un democratico rooseveltiano. In seguito si impegnò in diverse battagl...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Colophon
  3. Frontespizio
  4. Dedica
  5. Una vita nell’arte
  6. John Cassavetes
  7. 1. Gli inizi (1929-56)
  8. 2. Ombre e Johnny Staccato (1957-59)
  9. 3. Blues di mezzanotte e Gli esclusi (1960-62)
  10. 4. Volti (1963-68)
  11. 5. Mariti (1969-70)
  12. 6. Minnie e Moskowitz (1971)
  13. 7. Una moglie (1972-74)
  14. 8. L’assassinio di un allibratore cinese (1975)
  15. 9. La sera della prima (1976-77)
  16. 10. Gloria (1978-80)
  17. 11. Love Streams – Scia d’amore (1981-84)
  18. 12. Gli ultimi anni (1985-89)
  19. Ringraziamenti