Troppe puttane! Troppo canottaggio! Da Balzac a Proust, consigli ai giovani scrittori dai maestri della letteratura francese
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Troppe puttane! Troppo canottaggio! Da Balzac a Proust, consigli ai giovani scrittori dai maestri della letteratura francese

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Troppe puttane! Troppo canottaggio! Da Balzac a Proust, consigli ai giovani scrittori dai maestri della letteratura francese

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La letteratura come arte marziale nei consigli di sette grandi scrittori francesi: Balzac, Baudelaire, Flaubert, Gide, Maupassant, Proust e Zola. Suggerimenti, segreti svelati e lezioni esistenziali a beneficio di chi sogni di dare un giorno alle stampe il suo capolavoro. Dopo una vita di mondanità, Marcel Proust si ritirò in una camera insonorizzata per dedicarsi alla Recherche. Balzac trovava invece nel gran frastuono del mondo il contesto ideale per scrivere un romanzo dopo l'altro. Baudelaire faceva della misantropia una virtù, mentre Flaubert poteva ossessionarsi per giorni interi su una virgola da spostare. E tutti loro, con la generosità dei grandi, hanno messo i segreti della loro arte a disposizione di chi volesse farli propri: nelle lettere spedite ad apprendisti scrittori, in piccoli saggi, oppure disseminandoli come indizi nei loro stessi romanzi. Filippo D'Angelo ha raccolto il meglio di questo materiale, ha isolato i passi più utili e significativi, ma anche quelli più sorprendenti e scandalosi, regalandoci un prezioso manuale di scrittura e al tempo stesso il racconto appassionante di come gli autori di romanzi immortali inventarono se stessi.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788875216313

FLUABERT

LETTERE A GIOVANI SCRITTORI
di Gustave Flaubert

A Mademoiselle Leroyer de Chantepie11
Croisset, 18 maggio [1857]
Sono molto in ritardo con voi, mia cara consorella e lettrice. Non commisurate il mio affetto alla rarità delle mie lettere; prendetevela con le occupazioni della vita parigina, con la pubblicazione del mio libro e gli studi archeologici ai quali mi dedico in questo momento.12 Ma eccomi ritornato in campagna, ho più tempo per me e oggi passeremo la serata insieme; parliamo di noi, innanzitutto, poi dei vostri libri e infine di alcune idee sociali e politiche sulle quali dissentiamo.
Mi chiedete come ho fatto a guarire dalle allucinazioni nervose che subivo una volta. In due modi: 1°, studiandole scientificamente, ossia cercando di rendermene conto, e, 2°, con la forza di volontà. Ho spesso sentito la follia sopraggiungere. C’era nel mio povero cervello un turbinio di idee e di immagini nel quale mi sembrava che la mia coscienza, che il mio io affondasse come un vascello nella tempesta. Ma mi aggrappavo alla ragione. Essa dominava tutto, sebbene fosse assediata e vinta. Altre volte cercavo, con l’immaginazione, di infliggermi fittiziamente quelle orribili sofferenze. Ho giocato con la demenza e il fantastico come Mitridate coi veleni. Ero sostenuto da un grande orgoglio, e ho sopraffatto il male a forza di combatterlo corpo a corpo. Esiste un sentimento, o piuttosto un’abitudine, di cui mi sembrate difettare: l’amore della contemplazione. Dovreste cercare di prendere la vita, le passioni e voi stessa come un soggetto per esercizi intellettuali. Vi rivoltate contro l’ingiustizia del mondo, contro la sua bassezza, la sua tirannia e tutte le turpitudini e sozzure dell’esistenza. Le conoscete bene però? Avete studiato tutto? Siete forse Dio? Chi vi dice che il vostro giudizio umano sia infallibile? Che il vostro sentimento non vi inganni? Come possiamo, coi nostri sensi limitati e la nostra intelligenza finita, giungere alla conoscenza assoluta del vero e del bene? Coglieremo mai l’assoluto? Se vogliamo vivere, dobbiamo rinunciare ad avere un’idea netta delle cose. L’umanità è così, non si tratta di cambiarla, ma di conoscerla. Pensate meno a voi. Abbandonate il miraggio di una soluzione. Essa è in seno al Padre; lui solo la possiede, e non la comunica. Ma nell’ardore dello studio ci sono gioie ideali fatte per gli animi nobili. Unitevi con il pensiero ai vostri fratelli di tremila anni fa; appropriatevi di tutte le loro sofferenze, di tutti i loro sogni, e sentirete allargarsi a un tempo stesso il vostro cuore e la vostra intelligenza; una simpatia profonda e smisurata avvolgerà, come un manto, tutti i fantasmi e tutti gli esseri. Cercate dunque di non vivere più in voi. Fate vaste letture. Adottate un piano di studi che sia rigoroso e coerente. Leggete della storia, soprattutto quella antica. Costringetevi a un lavoro regolare e faticoso. La vita è una cosa talmente orrenda che il solo mezzo per sopportarla è evitarla. E la si evita vivendo nell’Arte, nella ricerca incessante del Vero reso attraverso il Bello. Leggete i grandi maestri cercando di cogliere il loro modo di procedere, di avvicinarvi al loro animo, e riemergerete da questo studio con entusiasmi che vi renderanno gioiosa. Sarete come Mosè quando scese dal Sinai: aveva dei raggi intorno al volto per avere contemplato Dio.
Che cosa parlate a fare di rimorsi, di colpe, di vaghe apprensioni e di confessioni? Lasciate perdere tutto questo, povera anima! Per amor vostro. Poiché vi sentite con la coscienza totalmente pura, potete porvi davanti all’Eterno e dire: «Eccomi». Che c’è da temere quando non si è colpevoli? E di cosa gli uomini possono essere colpevoli? Manchevoli come siamo per il male come per il bene! Tutti i vostri dolori provengono da un pensiero ozioso in eccesso. Era vorace, e non avendo di che cibarsi all’esterno si è gettato su se stesso e si è divorato sino al midollo. Bisogna ricostituirlo, ingrassarlo e soprattutto impedirgli di vagabondare. Faccio un esempio: vi preoccupate molto delle ingiustizie di questo mondo, del socialismo e della politica. Sia! Ebbene, cominciate col leggere tutti quelli che hanno avuto le vostre stesse aspirazioni. Approfondite gli utopisti e gli aridi sognatori. Poi, prima di permettervi un’opinione definitiva, dovrete studiare una scienza abbastanza recente, di cui si parla molto e che si coltiva poco: l’Economia politica. Rimarrete molto stupita nel vedervi cambiare opinione, di giorno in giorno, così come si cambia camicia. Ma non ha importanza: lo scetticismo non avrà niente di amaro, perché vi troverete di fronte alla commedia dell’umanità e vi sembrerà che la Storia sia trascorsa nel mondo per voi sola.
Le persone superficiali, limitate, gli spiriti presuntuosi ed entusiasti vogliono una conclusione in ogni cosa; cercano lo scopo della vita e la dimensione dell’infinito. Prendono nella loro piccola mano un pugno di sabbia e dicono all’oceano: «Conterò i granelli delle tue rive». Ma siccome i granelli gli colano fra le dita e il calcolo è lungo, scalpitano e piangono. Sapete cosa bisogna fare sulla sabbia? Bisogna inginocchiarsi o passeggiare. Passeggiate.
Nessun grande genio ha tratto delle conclusioni e nessun grande libro ne trae, perché è l’umanità stessa a essere sempre in marcia e a non trarne mai. Omero non ne trae, né Shakespeare, né Goethe, e nemmeno la Bibbia. Così, questa espressione tanto alla moda, il Problema sociale, mi rivolta profondamente. Il giorno in cui sarà trovato, sarà l’ultimo del pianeta. La vita è un eterno problema, e anche la storia, e tutto il resto. Si aggiungono senza sosta cifre alla somma. Com’è possibile contare i raggi di una ruota che gira? Il diciannovesimo secolo, nel suo orgoglio da schiavo affrancato, s’immagina di avere scoperto il sole. Si è soliti dire, per esempio, che la Riforma è stata la preparazione della Rivoluzione. Ciò sarebbe vero se tutto dovesse fermarsi lì, ma quella Rivoluzione è essa stessa la preparazione di un altro stato. E così di seguito, e di seguito. Le nostre idee più avanzate sembreranno ridicole e arretrate quando le si guarderà da lontano. Scommetto che, fra cinquant’anni soltanto, le espressioni «problema sociale», «moralizzazione delle masse», «progresso e democrazia» saranno passate allo stato di tiritera e sembreranno altrettanto grottesche di quelle come: «sensibilità», «natura», «pregiudizi» e «dolci legami del cuore», tanto alla moda verso la fine del diciottesimo secolo.
È perché credo all’evoluzione perpetua dell’umanità e alle sue forme incessanti, che odio tutti gli scomparti in cui la si vuole chiudere per forza, tutte le formule con cui la si definisce, tutti i progetti che si sognano per essa. La democrazia non è la sua ultima parola più di quanto non lo sia stata lo schiavismo, di quanto non lo sia stata il feudalesimo, di quanto non lo sia stata la monarchia. L’orizzonte scorto dagli occhi umani non è mai la riva, perché al di là di questo orizzonte ce n’è sempre un altro! Cercare la migliore fra le religioni, o il migliore fra i governi, mi sembra quindi una stupida follia. Il migliore, per me, è quello che agonizza, perché lascerà il posto a uno diverso.
Vi serbo un po’ di rancore per avermi detto, in una delle vostre precedenti lettere, che desiderate «l’istruzione obbligatoria per tutti». Io ho in orrore tutto ciò che è obbligatorio, ogni legge, ogni governo, ogni regola. Chi siete dunque, o società, per forzarmi a fare una cosa qualsiasi? Quale Dio ha fatto di voi il mio padrone? Notate che in questo modo ricadete nelle vecchie ingiustizie del passato. Non sarà più un despota a premiare l’individuo, ma la folla, la salute pubblica, l’eterna ragion di Stato, parola d’ordine di ogni popolo, e massima di Robespierre. Preferisco il deserto, me ne torno dai beduini che sono uomini liberi.
Come si accumulano i fogli, cara lettrice, conversando con voi. Ma prima di chiudere la mia lettera bisogna che vi parli dei vostri due libri.
Ciò che mi ha sorpreso e che, secondo me, domina nel vostro talento è l’unione della facoltà poetica e dell’idea filosofica, nei momenti in cui si conforma alla grande morale eterna, ossia quando non parlate a nome vostro. C’è un uomo di cui dovreste nutrirvi, e che vi calmerebbe: Montaigne. Studiatelo a fondo, ve lo ordino, da medico. Così, in Cécile (pagina 18), ecco una frase che mi piace: «È invano che osiamo dare il cambio» ecc. La pagina 45: «Il cielo mi sembrava più blu, il sole più brillante» è incantevole. Un effetto di sole sul mare a Dieppe (pagina 103) mi ha conquistato: in quel genere di effetti eccellete. La lunga lettera di Cécile è una buona cosa. Lo stesso vale per il carattere di Julia e per la passione sfrenata che lei ispira. Ma mi è capitato spesso di biasimare la trasandatezza dello stile, le frasi fatte, come quando parlate dei «notabili della società» (pagina 85); o quando dite «Il destino gettò un nuovo pomo della discordia» (pagina 87), «Abbeverarmi del suo sangue» (pagina 91). Cose simili si dicevano in una tragedia, e non si devono più dire, perché non furono mai pensate. Sono lievi pecche, è vero; ma uno spirito distinto come il vostro dovrebbe astenersene. Lavorate! Lavorate!
Ecco invece un tratto di scrittura che trovo eccellente (pagina 114): «Con un terrore tale come se avesse ignorato i fatti che cont...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Colophon
  3. Frontespizio
  4. Introduzione di Filippo D’Angelo
  5. TROPPE PUTTANE! TROPPO CANOTTAGGIO!
  6. Balzac
  7. Baudelaire
  8. Flaubert
  9. Maupassant
  10. Zola
  11. Gide
  12. Proust
  13. Postfazione di Filippo D’Angelo
  14. Nota editoriale