Jim entra nel campo di basket
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«A soli tredici anni, Jim Carroll scrive meglio dell'89 per cento degli autori di romanzi attualmente in attività». Questo il parere che Jack Kerouac espresse alla prima lettura delle pagine di diario da cui nasce Jim entra nel campo di basket: un memoir che all'epoca della sua pubblicazione, nel 1978, fece immediatamente scalpore e che da allora è sempre rimasto un libro di culto per gli amanti delle fi gure letterarie più «irregolari » e ribelli. Nel 1995 ne è stato tratto un film (Ritorno dal nulla), in cui Carroll era interpretato da Leonardo DiCaprio. È il racconto di un'adolescenza newyorkese fra l'autunno del 1963 e l'estate del 1966, fatta in minima parte della normalità delle aule scolastiche e dei campetti di basket, ma nutrita soprattutto di scorribande per le strade, sperimentazioni con l'eroina e l'LSD, scoperta del sesso, contatti di volta in volta illuminanti o violenti con l'umanità più varia: preti, spacciatori, poliziotti, tossici, pervertiti, attivisti marxisti e piccoli campioni di pallacanestro – il tutto raccontato con la vitalità trascinante e l'ironia sferzante del miglior punk.Traduzione e prefazione di Tiziana Lo Porto.

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Informazioni

Anno
2013
ISBN
9788875215095

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Jim entra nel campo di basket

Autunno 1963

Autunno 63

Oggi ho giocato la mia prima partita nella Biddy League, in assoluto il mio primo torneo di pallacanestro serio. È stato così emozionante che adesso sono tutto entusiasta della vita. La Biddy League è un torneo per gli under 12. Io di anni ne ho tredici, ma Lefty, il mio allenatore, mi ha rimediato un certificato di nascita falso. Lefty è un tipo in gamba; ci passa a prendere per le partite con la sua station wagon e ci compra sempre un sacco di roba da mangiare. Sono troppo giovane per capirne di omosessuali ma credo che Lefty lo sia. Anche se gioca da dio ed è fortissimo, gli piace fare scherzetti tipo infilarti una mano tra le gambe e sollevarti. Quando l’ha fatto mi sono insospettito di brutto. Meglio se non lo vado a raccontare a mia madre. Non mi va di dilungarmi su questa prima partita; ho giocato male e comunque abbiamo perso. Ero nervoso, la partita era sulla 153esima, in una chiesa di neri che si chiama Minisink, e c’ho portato Joan, la mia ragazza. La nostra squadra è quella del Boys’ Club di Madison Square sulla Ventinovesima Est. Il quintetto base è formato da due italiani, due neri e me.
Finita la partita, mentre aspettavamo sulla banchina della metropolitana sulla 155esima, Tony Milliano ha iniziato a menarsi con Kevin Dolon. Tony è un mostro gigantesco che ama fare a botte; Kevin è uno stronzetto saputello. Hanno cercato di separarli ma Tony non ne voleva sapere e continuava a urlare: «Voglio il sangue!» Faceva paura ma era interessante; a me non piace fare a botte ma adoro guardare gli altri quando lo fanno. Kevin mi ha chiesto di saltare addosso a Milliano da dietro ma era troppo grosso per immischiarmi. E poi perché avrei dovuto aiutare quella testa di cazzo? Alla St. Agnes, la scuola dove andiamo, non fa che mettermi nei guai. Proprio oggi è andato a raccontare a suor Mary Grace che sputo a quelli del primo anno dalla finestra della mensa.

Autunno 63

Oggi è stata la giornata di ottobre più calda che abbia mai visto, e allora abbiamo deciso di saltare l’allenamento (io, Tony e Yogi) e di andarcene giù al molo e prendere il ferry boat per Staten Island. Ci siamo spazzolati un megapanino da LUCY’S, siamo saltati sul parafango posteriore dell’autobus che si fa tutta la Seconda Avenue e siamo arrivati al ferry boat. Una volta, in una curva stretta, sono caduto giù da un autobus tipo questo e quasi mi sfracellavo le palle sotto la ruota posteriore, ma stavolta è andato tutto liscio, siamo arrivati a destinazione, abbiamo infilato le monete nei tornelli e siamo partiti. Proprio mentre il traghetto si staccava dal molo, Tony ha cacciato fuori un flacone di detergente CARBONA e un po’ di stracci e ci ha chiesto se ci andava di sniffarne un po’ per sballarci. Io gli ho detto subito sì perché se non hai soldi il Carbona è una delle cose migliori con cui sballarti, meglio anche della colla da modellismo. Siamo sgattaiolati sul ponte superiore del traghetto, abbiamo inzuppato gli stracci e ce li siamo avvicinati alla faccia. Quattro sniffate profonde e siamo partiti per la tangente, con i campanelli che mi suonavano nelle orecchie e le lucine che mi lampeggiavano negli occhi. Mi vedevo che vogavo in un fiume di acqua nera, solo che la canoa invece di avanzare andava all’indietro, e le nuvole erano facce che ridevano sinistre come nelle case stregate dei luna park, e le risate non la smettevano di rimbombare. Altre sniffate e altre visioni da paura, e più mi riempivo i polmoni di quella roba, più forte suonavano i campanelli. Ho resistito per una decina di minuti, ma poi non ce l’ho più fatta perché mi girava troppo la testa, ho mollato lo straccio e sono corso al parapetto, stavo uno schifo. Ho iniziato a vomitare come un matto. Mi sentivo gli occhi come due bocce da bowling, mi lacrimavano a fiumi. Tony e Yogi erano fatti come me e sono corsi a unirsi al festino. A quel punto ci siamo ripresi quanto bastava da sentire le urla dal ponte di sotto e mentre eravamo lì che ci asciugavamo gli occhi ci siamo resi conto di avere centrato in pieno la testa di un tizio. La cosa più spiacevole era che il tizio era enorme e sembrava incazzato nero. In meno di un secondo siamo corsi a cercare il nascondiglio più vicino, sapendo che da un momento all’altro avremmo avuto il tizio alle calcagna. Siamo andati dall’altra parte del traghetto e abbiamo fatto un bel numero alla Steve McQueen, scavalcando la ringhiera e saltando giù sul ponte inferiore. Poi ci siamo infilati nei bagni, nel box più lontano, chiudendo a chiave la porta e sudando come maiali. Siamo rimasti lì dentro a leggere le porcate scritte in piccolo a matita fino a che il traghetto non ha attraccato. Una decina di minuti e abbiamo mandato Yogi a controllare che ci fosse via libera. Yogi è tornato, ci ha fatto segno di uscire e ci siamo fiondati giù dalla barca, abbiamo attraversato di corsa la stazione e siamo saltati sull’autobus più vicino. Siamo arrivati a un bel parco da qualche parte al centro dell’isola e abbiamo giocato tutto il giorno a pallacanestro con gli sfigati del posto, sfidando tutti, anche quelli che avranno avuto sedici anni. Quando abbiamo preso il traghetto per tornarcene in città era quasi buio, abbiamo controllato che non ci fosse il nostro amico dell’andata e abbiamo giurato che non avremmo mai più sniffato quella roba su un ferry boat.

Autunno 63

Finalmente oggi si sono portati via la vecchia signora McNulty. Era la donna totalmente fuori di testa che abitava dall’altra parte del cortile rispetto alla nostra finestra. Aveva l’abitudine raccapricciante di piazzarsi tutte le sere davanti al lavello in reggiseno e mutande e servire la messa come fosse il suo altare. Sapeva la messa a memoria, ma ci metteva dentro delle porcate assurde ogni volta che saltava fuori il nome della Vergine Maria, o anche quello di Gesù. Aveva tutta l’attrezzatura da messa, calice d’oro e via dicendo, ma quando arrivava alla parte che doveva essere l’equivalente della consacrazione nella messa cattolica, se lo infilava tra le gambe e urlava: «Succhiami, Dio, leccami la fica». Cose così. La roba peggiore la diceva su Maria, e io ero lì che vedevo tutto perfettamente e mi veniva la pelle d’oca; non perché sia credente né niente (di fatto ho smesso di credere a otto anni, il giorno in cui sono andato in chiesa per la prima volta e ho cercato di fare amicizia con Dio chiedendogli di venire a casa da me a guardare le World Series insieme), ma perché non riuscivo assolutamente a capire cosa cazzo potesse portare una persona a fare cose così pazze. E c’erano notti che ci dava dentro di brutto, urlando così forte che la sentiva tutto il palazzo. Quando lo raccontavo ai miei amici, molti volevano venire a vedere, pensando fosse tipo una cosa sexy. Ma era una vecchia, c’avrà avuto minimo sessantacinque anni, e vederla vestita a quel modo che dava di matto era talmente disgustoso che dopo un po’ mi giravo dall’altra parte. Mi sa che negli ultimi giorni qualcuno dev’essersi lamentato una volta di troppo e oggi, tornando da scuola, ho visto che la caricavano su un’ambulanza. Era calmissima.

Autunno 63

Tutti noi teppistelli del Lower East Side abbiamo una specialità in comune: scippare borsette alle signore. Hanno cominciato i tossici all’ultimo stadio ma adesso lo facciamo noi, i «banditi col pannolino» (come ci ha chiamato il giornale in un articolo di ieri sera). Fare gli scippi nelle nostre strade sarebbe da idioti. È un quartiere di pettegoli dove tutti conoscono tutti. E allora in piccoli gruppi ce ne andiamo uptown dalle parti della 60esima Est e nei quartieri fighetti, ci sparpagliamo al buio e lavoriamo in squadre o, magari dopo un po’, da soli. Uno avvicina la signora chiedendole dov’è la fermata della metro e se ti dice bene lei indica e tende il braccio con la borsetta al polso, l’altro gliela sfila e ve la svignate veloci come il vento. Se così non funziona ti dai cinque secondi (il tempo massimo prima che quella chiami gli sbirri) per strattonarla, poi la dai per persa e sparisci. Solo i tossici veramente strafatti si mettono a menarle se reagiscono, ma io ho già paura così senza passare a una vera aggressione. Stasera lo scrivo sul diario perché è stata la mia giornata migliore. La tizia a cui abbiamo fatto il numero della fermata della metro aveva in borsa 123 dollari e qualche spicciolo, che è una bella sommetta. Poi aveva un libretto di traveler’s cheque che noi non ce ne facciamo niente ma che il fratello maggiore di Yogi ci ha comprato per cinque dollari. Dice che valgono come i contanti. Di solito la gente pensa che prendiamo di mira solo le vecchiette ma con la tizia di stasera ti ci potevi fare tranquillamente una sega. E mi sa che era anche lei un po’ fuori di testa, perché nella borsa c’aveva un sacco di foto di donne nude, che non erano nemmeno di quelle che trovi sui giornaletti porno. In queste non si vedevano solo le tette ma anche le fiche. Erano autoscatti fatti con la Polaroid. In una c’erano due donne che se la leccavano tra loro e poi ce n’era tutta una serie con delle ragazze che facevano pompini a degli uomini. Ce n’era una con sette persone che facevano porcate incredibili. Ma il massimo era quella di una troia brutta e cicciona su un tavolo che si faceva scopare, giuro, da un asino... al Boys’ Club ha spaccato. Il fratello maggiore di Herb dice che roba del genere lui la vedeva in un nightclub in Messico quand’era in marina. Noi, io e il mio socio Carson, ci siamo messi a vendere le foto per tre dollari l’una e le abbiamo piazzate tutte e dieci, tranne quella di una tizia sexy su un letto che ti sbatte in faccia la fica pelosa. Ha un sorriso che sembra dire: «Va tutto alla grande». Quella foto mi faceva arrapare troppo. Così ci siamo smezzati l’incasso e ce ne siamo tornati a casa – i banditi col pannolino colpiscono ancora.

Autunno 63

Oggi pomeriggio Lefty ci ha portati nel Bronx a giocare contro una scuola cattolica per un’amichevole della Biddy. Alcuni dei nostri erano malati, troppi in realtà, così all’inizio in campo eravamo solo in cinque e quando a fine partita Carson è uscito per somma di falli, siamo rimasti in quattro. Chi se ne frega, tanto non s’era mai visto un simile branco di pappamolle in campo, parlo di quelli dell’altra squadra, li abbiamo stracciati con almeno quaranta punti di distacco. Certo che Lefty li sa scegliere bene. Così dopo la batosta che gli abbiamo dato abbiamo scoperto che oltre alla vittoria ci aspettava un altro premio... Dopo l’espulsione Carson s’era intrufolato negli spogliatoi degli avversari e li aveva ripuliti di tutta la roba di valore. Lo abbiamo costretto a dividere il bottino e ci siamo infilati i vestiti sopra le uniformi, senza doccia né niente, è chiaro, e ce la siamo svignata di corsa.
Arrivati a Fordham Road in fondo all’isolato, abbiamo fatto fermare Lefty al parcheggio di un posto dove vendono hamburger e gli abbiamo spillato i soldi per mangiare. Abbiamo tenuto la bocca cucita sul saccheggio dell’altra squadra perché ci sono due cose che Lefty ha vietato: usare l’espressione figlio di troia e rubare all’altra squadra se sono bianchi. Dentro il locale ha ordinato un hamburger a testa ma l’abbiamo mandato tutti affanculo perché gli hamburger erano dei cosi striminziti da dodici centesimi che te ne devi mangiare minimo otto per sfamarti del tutto, ed è esattamente quello che abbiamo fatto. Lefty l’ha presa malissimo perché il conto è salito a tipo nove dollari e lui aveva solo una banconota da cinque. Alla fine quelli del locale ci hanno fatto una piazzata con grande imbarazzo di Lefty, che ha dovuto lasciare l’orologio al direttore del locale fino a quando non tornerà a portargli il resto dei soldi. A ridere per ultimo però è stato Lefty, che s’è chiuso nella sua station wagon incazzato nero e si è rifiutato di riportarci nel Lower East Side. A noi c’è preso il panico, visto che i tizi che avevamo appena derubato erano nel parcheggio che venivano verso di noi armati di spranghe e cazzi vari, pronti a romperci il culo. «Godetevela, stronzi», ha detto allegramente Lefty, e nel partire sgommando s’è lasciato dietro i copertoni e anche noi, che ci siamo messi a correre con il fuoco al culo su per Fordham Road dove ci ha detto bene e siamo riusciti a beccare un taxi e a filare verso la fermata della metro più vicina, inseguiti da una folla di giocatori di pallacanestro cattolici indemoniati e di loro amici, capeggiati da un prete italiano con l’aria da duro e la tonaca svolazzante.

Autunno 63

Stasera tutto un gruppo di noi stava rimediando uno strappo aggrappandosi dietro agli autobus della Terza Avenue per arrivare alla Decima e andare a vincere a mani basse una partita fuori casa al Boys’ Club di Tompkins Square. Siamo in quattro dietro un autobus e quattro dietro quello dopo & va tutto liscio fino alla Quattordicesima. Lì gli sbirri ci vedono e noi ci disperdiamo per la strada. Non si scomodano a inseguirci per cui tiriamo dritto, e all’improvviso Herbie punta il dito dall’altra parte della strada dove ci sono le puttane e urla a Pedro che lì in mezzo c’è sua madre e tutti iniziamo a prenderlo per il culo. Il bello arriva quando scopriamo che Herbie non lo sta prendendo per il culo e che la madre di Pedro è veramente lì a battere, con un piede appoggiato al muro e tutto il resto. A quel punto Tony si avvicina e mi bisbiglia: «Senti questa, l’altra sera mentre ascoltavo di nascosto ho sentito mia sorella grande che diceva alla mia vecchia che il padre di Pedro spaccia giù al bar e che si fanno tutti e due di eroina; e ora senti quest’altra, il padre ha mandato la madre a battere per strada». Quando l’abbiamo visto tutti che era veramente sua madre abbiamo smesso di prenderlo per il culo ma Pedro era sparito. Non si è presentato nemmeno alla partita ma dopo che abbiamo battuto quegli sfigati per dieci punti e stavamo tornando a casa, l’abbiamo beccato seduto davanti a casa sua sulla Ventisettesima. È scappato dentro, e mi sa che piangeva. Dev’essere uno schifo avere una famiglia così, cazzo. Ma a Herbie non gliene fregava un tubo e ha continuato a urlare fuori dalla finestra di Pedro: «Sai perché piange lo scarpino? Perché suo padre è una vecchia ciabatta & sua madre una zoccola!»

Autunno 63

Oggi pomeriggio il fratello grande di Pedro ha beccato Herbie mentre tornava da scuola e l’ha picchiato a sangue per le cose che aveva urlato ieri sera sulla mamma e il papà di Pedro.

Autunno 63

Stanotte sulla Seconda Avenue c’è stato un incendio gigantesco che ha fatto fuori tre palazzi all’angolo con la Venticinquesima. Quelle cazzo di fiamme erano così alte che bruciavano le nuvole, alte il doppio degli stessi palazzi. E chi l’aveva mai visto un incendio così. Tutto un gruppetto dei nostri s’è sganasciato dal ridere a vedere il tizio della pizzeria in strada, giuro, che supplicava in ginocchio i pompieri di non rompere la nuova facciata tutta di vetro che aveva fatto mettere il mese scorso. Il cretino piangeva; la pizzeria era completamente bruciata e lui pensava che un qualche miracolo gliel’avrebbe rimessa a posto o chissà che. Ben gli sta allo stronzo, non faceva mai credito e nemmeno faceva mai usare il bagno del locale. Ed eccolo grande e grosso in ginocchio in mezzo a una strada. Devono averci messo cinque ore per spegnerlo. Le fiamme a un certo punto erano più alte delle finestre della mia stanza.
E comunque: ho sentito che il fratello grande di Herbie e i suoi hanno pestato a sangue il fratello grande di Pedro perché ieri aveva menato Herbie. ’Sta storia tra un po’ diventerà una guerra tra bande.

Autunno 63

È un sabato freddo e il Boys’ Club è chiuso per lavori e allora mi sa che vado a fare un giro nella parte più alta di Manhattan, dove abita mio cugino, e così lo vado a trovare. Che poi io lo odio quell’ambiente perché è un posto pieno di certe vecchie galline cattoliche e irlandesi che una volta m’hanno squadrato dalla testa ai piedi perché m’ero portato dietro un gruppetto di tizi neri per fare una partita nel parco contro gli amici di mio cugino, che tra l’altro odiano i neri e che con la birra ci vanno giù pesante. Anche se poi un sacco di loro sono brava gente quando li conosci e comunque faccio bene se m’abituo perché tra un po’ mi trasferisco lì con tutta la famiglia e passerò la seconda metà dell’anno scolastico nella scuola dove vanno tutti questi tizi.
E allora mi verso una grossa lattina di limonata rosa in una caraffa e bevo tutto il litro per colazione, poi vado verso il West Side a prendere la linea A per uptown. È un cazzo di viaggio arrivare fino a lì, fino al capolinea sulla 207esima. Praticamente è come andare ad Albany e meno male che mi sono portato dietro un giornaletto di sport che sennò sai la noia. E allora sto leggendo quest’articolo su come Bill Russell vuole fare il culo a «Wilt the Stilt» e va tutto bene fino alla 125esima quando sale sul treno un vecchio irlandese ubriacone che non si regge in piedi e viene a sedersi proprio accanto a me, puzza come una fabbrica di birra e mi vomita addosso un piagnisteo incomprensibile: da sparargli. Che io poi li odio questi vecchi rompicoglioni, ma sembra che salgano sui treni apposta per cercare me, perché se tipo c’è un vagone mezzo pieno loro ignorano tutti gli altri e vengono dritti da me a imprecare cose senza senso, a scroccare soldi o peggio di tutto vomitandomi addosso piagnistei. Il mio problema è che non ho mai la prontezza di mandarli affanculo, o di andarmi a sedere da un’altra parte, così va a finire sempre che più o meno due fermate dopo sono totalmente preso dal pistolotto assurdo che mi ha attaccato il tizio (anche se non riesco a capire metà delle cose che dice) e ho anche iniziato a rispondergli cose tipo: «Sì, la capisco, è successo anche a uno che conoscevo e ha finito per diventare un ubriacone e bla bla bla».
Cioè, lo prendo veramente sul serio come se dicesse cose che hanno un qualche senso. Questo di stasera è un caso estremo. Continua a chinarsi su di me col grugno che gli sbava raccontandomi di come ha ucciso sua moglie per sbaglio facendole cadere un grosso specchio in testa mentre lo stavano appendendo o una storia del genere e ogni dieci secondi mi appiccica in faccia una bottiglia di Twister chiedendomi di prenderne un sorso. Così finisce come al solito che arrivati alla 181esima sale la polizia ferroviaria e lo fa scendere a calci dal treno e mentre il treno s’allontana il tizio mi fa un patetico triste cenno di saluto come se pensasse: «Adesso chi mi ascolta?» e io mi sento vuoto e triste come dopo ogni volta che capita.

Autunno 63

Oggi non c’è stata scuola perché domani è Halloween. Sono andato in giro con gli altri del Boys’ Club sulla Ventinovesima e ho beccato Herbie e il resto della comitiva al piano di sopra che giocavano a biliardo. Sapevo già che a uscire con loro stasera avremmo potuto fare lo scherzo del secolo così siamo passati dalla palestra e davanti alle case lì vicino e abbiamo raccattato qualche altro cazzone, ci siamo spalmati il lucido da scarpe sulla faccia e abbiamo strappato le maniche delle camicie quanto basta per creare l’effetto barbone. Buddy, uno dei pochi afroamericani che esce con Herbie e i suoi, ovviamente non ha bisogno né del lucido né delle maniche strappate, perché è a modo suo un barbone nella vita quotidiana, Halloween o meno. Poi abbiamo preso i calzettoni lunghi del vecchio di uno dei nostri che ha le vene varicose, li abbiamo riempiti di farina e abbiamo iniziato ad attaccare le ragazze coi loro vestiti scuri della scuola mentre andavano al ballo della chiesa, lasciandogli grandi macchie bianche di farina sulla schiena. Era uno spasso vederle correre via minacciando di andarlo a dire alle suore e tutto. Che poi chi cazzo se ne fotte di quello che pensano...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Indice
  3. Il poeta della pallacanestro - di Tiziana Lo Porto
  4. / Jim entra nel campo di basket