Il condominio
eBook - ePub

Il condominio

  1. Italian
  2. ePUB (disponibile sull'app)
  3. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Marshall Preminger, trentasette anni, un infarto e una carriera fallita come conferenziere alle spalle, viene raggiunto improvvisamente dalla notizia della morte del padre. Con il lutto sembra arrivare per lui anche un'insperata svolta economica: in quanto figlio unico, Marshall si appresta a entrare in possesso di un ingente patrimonio. A Chicago, dove viveva il padre, lo attende però una realtà ben diversa: della ricca eredità non resta che un appartamento in un condominio del North Side, sul quale grava per di più un debito di svariate migliaia di dollari, relativo a «spese condominiali» mai pagate – piscina, aria condizionata e altri extra di lusso. Tra loschi uomini d'affari ebrei determinati a riscuotere gli arretrati, vicini di casa sfrontati e impiccioni, onnipresenti comitati di inquilini, il condominio si rivela una vera e propria microcomunità strutturatissima, repressiva e follemente autarchica. Per il malcapitato Marshall la nuova residenza si trasformerà in una prigione dalla quale le possibilità di evasione si assottiglieranno sempre più.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Il condominio di Stanley Elkin, Federica Aceto in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Letteratura e Classici. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2012
ISBN
9788875214586
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici

IL CONDOMINIO

«Non un sogno», avrebbe scritto, «non una visione, nemmeno una fantasticheria. Non un capriccio e neanche un’aspirazione. Non uno schifosissimo scopo né uno squallido fine. Qualcosa di più robusto, riconosciuto. Più reale di tutto ciò. Più reale come può esserlo una gallina domani in confronto a qualsiasi uovo oggi. Alla stessa stregua della morte e delle tasse.
«Un posto dove vivere, dove stare. Da quale vortice della storia è saltata fuori questa idea di seconda pelle? Da quale incipit, da quale gene essenziale della nudità è venuta, affaticata come un polmone, insistente come le sequenze logiche del battito cardiaco, i sillogismi del corpo, questa necessità di scorza, tegumento, pellame? (C’è poco da stupirsi se i nostri papà sono stati sarti, utilizzatori di ago e di filo, o se le nostre madri sul tavolo della sala da pranzo disponevano un’archeologia, prima il legno verniciato, lustrato e tirato a lucido con la cera, poi uno spesso panno imbottito, dopodiché il linoleum, poi una semplice tovaglia e poi un centrino all’uncinetto, e a coprire il tutto un telo di plastica con sopra una fruttiera, un piattino di caramelle, un vaso di fiori, e tutto questo non certo a scopo protettivo, men che meno ornamentale, ma solo come segno di devozione nei confronti del peso in quanto principio in sé, un tropismo innato nei confronti della massa e della pelle.) Quale spaventoso e traumatico senso di esclusione ha ingenerato questo bisogno, quale vile espulsione da quale caverna durante quale incredibile tempaccio infame?
«E giammai la terra, mai beni immobili, una concessione di terreno demaniale inaudita, impensabile, inutile (che te ne fai della terra?), persino l’idea di “terra promessa” pura religione, poesia. No. Nessuna grande distesa di una mosaica Compagnia delle Indie Orientali sullo sfondo, nessun tradizionale diritto di primogenitura su immobili, proprietà, licenze e sovranità. Nessuna terra o terreno, ma solo quello che terra e terreno vomitavano, legname, sabbie, argille, minerali, pietre: i loro ingredienti, come una ricetta per fare il cemento».
«Suo padre e sua madre», avrebbe scritto, «si erano conosciuti al “campeggio”. Le tende c’erano, ma forse questo è successo prima dell’epoca delle tende. Da qualche parte c’era la foto di un gruppo di ragazzi, suo padre e i suoi amici, avvolti nei sacchi a pelo, distesi in fila sotto il sole come vittime di un disastro. E le ragazze – Floradora, Gibson, Bloomer, o come si chiamava quel genere di donne negli anni Venti – già circonfuse da un alone di nostalgia virato seppia che gonfiava i loro pantaloni alla zuava, ispessiva i calzini, allargava i maglioni, intricava i riccioli. Associazioni ricreative maschili – i “Topi di fiume”, il “Club Crusoe”, il “Club Penisola” – e femminili – le “Cuor contento”, le “Sbarazzine”, le “Chissenefotte”? – gente del proletariato impiegatizio che nei fine settimana prendeva il treno da New York, la città, e andava nel New Jersey. Lì lui aveva trascorso gran parte delle sue estati, ma non ne aveva un ricordo nitido perché quel posto cambiava costantemente. Quando era ragazzino era come vivere su un set insonorizzato, in una città finta che veniva tirata su davanti ai suoi occhi. Aveva osservato i falegnami, gli operai del gas, gli scavatori di fosse biologiche, tutti gli elettricisti, tutti i bottegai che vendevano gelati Dugan e Breyer, latte Borden, bibite Nehi, gente che apriva nuove strade, si assicurava una clientela, portava la civiltà in quella landa desolata come i missionari e i conquistadores l’avevano portata nelle loro. Aveva assistito all’arrivo dell’elettricità, dell’acqua potabile, del servizio postale (le cassette campagnole la cui forma ricordava quella delle gallerie dei trenini elettrici, e su queste gallerie di latta, stampigliate come fossero i nomi dei treni, le scritte PATERSON MORNING CALL o BERGEN MESSENGER).
«E così, a un certo punto, scomparvero le tende (le tende, lui non le aveva mai viste, però le percepiva, o meglio, percepiva la loro assenza, consapevole di camminare non attraverso campi o terreni disboscati, bensì lungo lotti e parcelle fondiarie, in un luogo dove un tempo dovevano esserci stati dei campeggi) e al loro posto comparvero i bungalow, e ogni estate sorgeva un nuovo segmento della colonia, con nuovi bungalow costruiti in gruppi di due, quattro o sei, come se speculatori e costruttori fossero capaci di pensare solo in termini di numeri pari, e la loro insistenza sulla precisa disposizione geometrica degli edifici fosse analoga all’insistenza dell’architettura su un qualche principio di equilibrio, a mo’ di blanda recinzione militare tesa ad arginare il fallimento dell’impresa. Solo il suo bungalow e pochi altri, non in affitto, ma di proprietà, o ancora sotto mutuo, intestati ai suoi genitori e a una manciata di veterani di contorno, “pionieri” – alcuni imparentati fra di loro, tutti comunque amici – come amavano definirsi, erano stati costruiti autonomamente. (E quel suo rango di proprietario non gli conferiva forse un senso di distinzione che lo riempiva di un orgoglio per certi versi addirittura aristocratico?)
«Il numero dei bungalow cresceva e lui aspettava sulla collina l’arrivo dei treni del venerdì sera che portavano frotte di quelli che all’epoca venivano ancora chiamati campeggiatori e che andavano a trascorrere il fine settimana in campagna. Insieme al graduale sviluppo assistette anche alla comparsa dei favolosi “extra” – campi di pallamano, un campo da baseball completo in tutto e per tutto e con tanto di basi in legno, due o tre campi da tennis; e un’estate (era spuntata durante l’inverno) anche una vera e propria pista di pattinaggio a rotelle, che però poi i costruttori, una volta venduti tutti i bungalow, non si preoccuparono più di curare, e così lui la vide letteralmente risucchiata, la pedana dello shuffleboard inserita all’interno della pista ovale fu la prima a scomparire, i numeri dipinti, sempre più sbiaditi, alla fine svanirono come per effetto di una dissolvenza cinematografica, e tra le crepe nel cemento che l’anno prima non c’erano spuntarono erbacce inarrestabili, e il calcestruzzo un tempo bianco e liscio venne improvvisamente infestato da una vegetazione mannara; e la pista stessa infine cadde a pezzi, soffocata dall’edera, dalle ortiche, dai rovi e da alberi dall’aspetto velenoso. Alla fine non si salvò un solo campo di pallamano, nemmeno uno di quelli da tennis, nemmeno una banchina per le canoe, i pattini erano arrugginiti, le rotelle inceppate, come se gli affittuari, ormai diventati proprietari, non nutrissero il minimo interesse per le attività all’aria aperta, le avessero anzi ripudiate, come se fosse giusto vivere al chiuso e i giochi che facevano un tempo da scapoli e da nubili – i “Giovanotti in gamba”, le “Allegre fanciulle” – fossero ormai roba del passato, con i punteggi cristallizzati, più definitivi di record olimpici. (Ciononostante lui, i suoi cugini e gli amici continuavano a frequentare quei campi, anche se le loro prestazioni risentivano dello stato di abbandono delle strutture.)
«Ma – nel periodo di transizione, prima che gli affittuari diventassero proprietari – i costruttori erano l’aristocrazia. Uomini come Klein e Charney, che raramente si vedevano in giro e che, come imperatori del Giappone, erano avvolti da un alone di magia e potere non solo in virtù dei soldi e della forza (aveva visto Charney, un vecchio milionario sciancato, su una limousine guidata da un autista nero che fumava il sigaro, fermo davanti ai suoi otto bungalow per riscuotere i soldi dell’affitto che gli inquilini infilavano timidamente attraverso il finestrino aperto solo di quel tanto che bastava per farci passare una mano) ma in virtù del fatto stesso di essere proprietari: uomini che possedevano case e il potere di sfrattare. Il fatto che molti dei bungalow fossero rimasti sfitti durante la guerra non aveva intaccato per nulla questo potere, lo aveva semmai rafforzato, come se i proprietari di case vuote fossero più potenti di quelli che invece avevano degli inquilini. (Aveva visto anche Klein, un uomo grasso come Capitan Cocoricò di Bibì e Bibò, con tanto di baffoni da tricheco, e sempre addosso una camicia color cachi.)»
(«E comunque, detto per inciso», avrebbe annotato a margine, «che senso hanno queste fesserie, questi tuffi nel passato? A me, della mia infanzia, non me ne fregava un accidente, ero più colpito dall’infanzia degli altri – di chiunque altro. Diamine, io ero il ragazzino che andava a letto presto, la cui madre lo metteva a nanna alle sette di sera, anche d’estate, il ragazzino a cui l’ora legale sembrava criminale, perché con il sole alle otto e mezza di sera gli dava la sensazione – e stiamo parlando di cose avvenute in gran parte in tempo di guerra, non dimentichiamolo – di aver fatto i turni di notte, di aver lavorato fino a tardi, rendendolo – rendendomi – refrattario, forse a vita, alla luce».)
«In seguito, a guerra ormai finita, i bungalow furono resi abitabili anche per l’inverno. I tetti furono rivestiti di materiale isolante. Furono chiuse verande, aggiunte stanze, le docce spostate all’interno, furono spesi dei soldi. Di scapoli e nubili non c’era quasi più traccia, ma pure ai tempi in cui ancora ne circolavano parecchi, lui aveva già iniziato a dimenticarsi chi stava con chi, perché quando tornava, l’estate successiva, vedeva le solite facce accoppiate però in modo diverso (e solo in seguito si era reso conto del motivo – l’intimità dell’inverno favoriva i tradimenti – e come la luce per lui rappresentava un fattore ostile, il freddo cominciò a sembrargli qualcosa di misterioso). Solo la casa dei suoi, una delle prime a essere costruita, era rimasta intatta, mentre i bungalow che un tempo sembravano minuscoli al confronto con il suo apparivano ora giganteschi, e, straripando oltre i loro confini, avanzavano verso la strada in una specie di architettonica corsa ippica, assumendo forme complesse che cancellavano completamente il nucleo originario, fagocitato all’interno di seconde e persino terze aggiunte. Eppure d’inverno il posto era disabitato, rimanevano soltanto una manciata di persone. Gli altri erano ormai diventati a loro volta dei piccoli Klein e Charney, locatori che gettavano la rete per pescare tra gli abitanti in sovrannumero di Pompton Lakes (zona dove per strani motivi stavano sorgendo attività alquanto violente: una fabbrica di munizioni, una cava, un campo di addestramento per pugili professionisti, locande che si diceva ospitassero bische) tirando a riva però solo tipi dall’aria zingaresca, sedicenti lavoratori stagionali che si spostavano per seguire raccolti non meglio identificati, buzzurri del New Jersey dai nomi italiani. Come se – ma lui lo capiva cosa stava succedendo: quarantenni che programmavano, una volta andati in pensione, di lì a venticinque anni, di trasferirsi nel posto dove avevano vissuto quando ne avevano trenta – dare in affitto una casa fosse il primo passo per diventarne davvero proprietari, proprio come conoscere i nomi dei presidenti e la durata dei loro mandati era il primo passo per chi volesse diventare cittadino americano. Nei tre mesi estivi in cui vivevano nei loro bungalow imparavano a fronteggiare eventuali problemi con la caldaia, la lavatrice, il tritarifiuti, un periodo di rodaggio prima di avere a che fare con queste cose per periodi più lunghi. Intanto, d’inverno, continuavano a vivere in appartamenti, segnando il passo, raccogliendo i soldi dell’affitto, traslocando addirittura da un appartamento all’altro come se anche questo servisse a fare pratica.
«I suoi genitori a un certo punto smisero di andare lì per l’estate, o al massimo ci trascorrevano solo un paio di settimane ogni tre o quattro anni. L’attività edilizia era cessata. E ormai, con tutto quel guazzabuglio di tetti compositi e facciate variamente sintetiche – mattoni finti, tegole, rivestimenti in alluminio – il posto dava l’idea di una vaschetta di caratteri tipografici eterogenei che stavano per essere fusi. L’opera era stata completata. E il risultato era orribile. Il diamante del campo da baseball era infestato da erbacce alte e pericolose, la parte esterna una terra di nessuno, l’acqua del fiume troppo bassa per poterci nuotare, le Ramapo Mountains, che si ergevano alle spalle e che un tempo si potevano guardare, erano ormai tutte spoglie per le troppe esplosioni nella cava. I bungalow, diventati nel frattempo una sorta di villette, erano vittime di uno squallore perenne che nessuna mano di vernice e nessuna pensilina metallica, per quanto appariscente, poteva dissimulare».
«E a un certo punto», avrebbe scritto in seguito negli appunti preliminari, «nei primi anni Sessanta, fece la sua comparsa una nuova parola: CONDOMINIO.
«All’inizio c’era chi pensava che si trattasse di una lega metallica, o di un nuovo elemento. Un qualcosa che magari veniva usato nella fabbricazione di diamanti sintetici. C’era chi pensava che avesse a che fare con l’alta finanza, gli affari internazionali: concentrazioni, cartelli. Altri ancora pensavano che fosse un tipo di profilattico. Era strano che proprio le persone destinate in futuro ad avere una maggiore dimestichezza con quel termine avessero all’inizio un’idea così vaga del suo significato. Il paziente conosce...

Indice dei contenuti

  1. Cover
  2. Il condominio
  3. Prefazione
  4. Profilo bio-bibliografico
  5. Bibliografia
  6. Il condominio