La signora Armitage
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La signora Armitage

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La signora Armitage è la storia di un matrimonio fuori dal comune: quello fra un giovane sceneggiatore cinematografico in ascesa e una donna passionale e vitale (alter ego dell'autrice) che ha avuto uno sciame di figli da quattro uomini diversi, e non sa rassegnarsi a condurre una vita borghese fatta di elegante normalità di facciata e trasgressioni taciute. Fra squarci di intimità familiare, flashback sul passato e scene di dialogo dal ritmo serrato, si dipana un memorabile ritratto di nevrosi femminile, e una dolorosa riflessione sul tema della maternità e della monogamia condotto con affilata ironia e senza un filo di vittimismo. Pubblicato originariamente nel 1962, trasformato poi in un film (Frenesia del piacere) sceneggiato dal premio Nobel inglese Harold Pinter, che valse ad Anne Bancroft una candidatura all'Oscar come miglior attrice protagonista, questo romanzo torna dopo cinquant'anni in una nuova traduzione che ne esalta la sferzante modernità. Fra lo sguardo spietato di Revolutionary Road e la finezza psicologica di Virginia Woolf, La signora Armitage è una riscoperta destinata a incantare i lettori.

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Informazioni

Anno
2014
ISBN
9788875216221
Argomento
Letteratura
Categoria
Classici

1

«Allora» dissi, «ci provo. Cercherò in tutta onestà di essere onesta con lei, anche se in effetti suppongo che le interessi di più il mio non essere onesta, non so se mi spiego».
Il dottore accennò un sorriso.
«Quand’ero piccola mia madre aveva un cassetto delle lane. Era l’ultimo cassetto del comò in sala da pranzo, e lei ci teneva tutti i suoi rimasugli di lana. Sa, scarti di matasse vecchi come il cucco, avanzi di maglioni che mi aveva fatto ai ferri quando avevo due anni. Certi non arrivavano a dieci centimetri. Insomma questo cassetto era pieno di lane, di tutti i colori, e appena capitava un pomeriggio di pioggia lei me lo faceva riordinare. Perché glielo stia raccontando è del tutto ovvio: riordinare quel cassetto era inutile. Quella lana non serviva a niente, non ne sarebbe venuto fuori neanche un copriteiera, a meno di avere una pazienza infinita. Mamma mi diceva di riordinarla tanto per tenermi occupata, come ai detenuti quando gli fanno scavare le buche e poi gliele fanno riempire un’altra volta. Non so se mi spiego... mi spiego?»
«Le piacerebbe essere una cosa utile» disse lui tristemente. «Magari un copriteiera».
«Non sarà mica così facile».
«Ah, no, non è facile per niente. Ma con la lana si possono fare anche altre cose».
«Tipo?»
«Rivestimenti per le borse dell’acqua calda» disse subito.
«Noi non le usiamo, le borse dell’acqua calda. Qualche palla, ci si può fare, per i bambini piccoli. O dei pupazzetti».
«Quel che cercava di dire è che riordinare la lana è un compito inutile e fors’anche impossibile?»
«Sì».
«Lei però è un essere umano. Gli effetti della sua... confusione sono più gravi. L’analogia, vede, non funziona».
«Be’, la mia sensazione è questa» dissi.
«Quando piange ha questa sensazione? Disperata?»
«Voglio solo aprire la bocca e piangere. Voglio piangere, e non pensare».
«Ma non può passare il resto della vita a piangere».
«No».
«Non può passare il resto della vita in preda all’ansia».
«No».
«Che cosa le mette ansia, signora Armitage?»
«La polvere» dissi.
«Mi perdoni?»
«La polvere, ha presente? La polvere».
«Ah» disse, e per qualche istante prese appunti su un lungo pezzo di carta. Poi si accomodò contro lo schienale, giunse le mani e riprese: «Mi racconti».
«Molto semplice. Jake è ricco. Porta a casa sulle cinquantamila sterline l’anno, direi che possiamo definirlo ricco. Solo che c’è polvere dappertutto».
«Continui, la prego».
«In parte sono le demolizioni, ovvio. Tutt’intorno a noi stanno buttando giù case, quindi un po’ di polvere va messa in conto. Casa nostra, mio padre ce l’ha presa in affitto quando ci siamo sposati, cioè tredici anni fa».
«Lei quindi è sposata da tredici anni» disse lui, e se l’annotò.
«Con Jake, sì. Mio padre ha firmato un contratto per tredici anni. Ci ha messo 1500 sterline di anticipo e d’affitto noi paghiamo un’inezia, perciò come vede siamo molto fortunati. Ad ogni modo, stavo cercando di raccontarle della polvere».
«Dunque l’affitto vi scade quest’anno».
«Direi di sì. Al momento stiamo costruendo una torre in campagna».
«Una torre?»
«Già».
«Vale a dire... una casa?»
«No. Una torre. Certo, forse possiamo definirla anche casa. Però è una torre».
Il medico posò attentamente la penna, con tutte e due le mani, come se fosse una cosa fragile. «E dove si trova, questa... torre?» chiese.
«In campagna» dissi.
«Sì, ho capito, ma...»
«Sta su una collina, e più a valle c’è una casa colonica, dove abitavo prima di sposare Jake. Ci siamo conosciuti lì. Adesso però torniamo alla polvere, dato che...»
«Ma certo» disse lui, e riprese la penna.
Cercai di concentrarmi. Lo guardavo, stagliato contro la finestra con le tendine traforate dello studio. Sentivo il ticchettio dell’orologio e il sibilo del caminetto a gas. «Non mi ricordo più cosa volevo dire».
Lui aspettava. L’orologio faceva tic-tac. Io guardavo il caminetto.
«Jake non vuole altri figli» dissi.
«A lei piacciono i bambini, signora Armitage?»
«Che domanda, come faccio a rispondere?»
«Può darsi che sia una domanda a cui non desidera rispondere?»
«Credevo che mi sarei dovuta sdraiare su un divano, e che lei non avrebbe detto una parola. Invece qui pare l’Inquisizione spagnola. Sta cercando di convincermi che sbaglio? Perché guardi che ci penso già da sola».
«Lei pensa che sia sbagliato, non voler bene ai bambini?»
«Non saprei. Sì. Sì, penso di sì».
«Perché?»
«Perché i bambini non fanno male a nessuno».
«Non direttamente, forse. Ma indirettamente...»
«Forse lei non ha figli» dissi.
«Sì, invece. Tre. Due maschi e una femmina».
«Di quanti anni?»
«Sedici, quattordici e dieci».
«E le piacciono?»
«In genere, sì».
«Bene, allora. Ecco la mia risposta. Anche a me piacciono in genere».
«Ma lei ne ha già...» Diede un’occhiata all’elenco e si accontentò di: «...un bel numero. E sembra turbata all’idea che suo marito non ne voglia altri. Il che non fa proprio pensare che le piacciano “in genere”. Semmai fa pensare che nutra...»
«Un’ossessione?»
«Non userei questo termine. Una convinzione, forse, sarebbe più preciso».
«Credevo di dovermi sdraiare su un divano e parlare di qualunque cosa mi passasse per la testa».
«Io non sono uno psicanalista, signora Armitage. Voglio solo capire come lei debba essere curata».
«Curata per cosa?»
«Questo non lo sappiamo ancora, giusto?»
«Perché voglio un altro figlio? È per questo che Jake mi ha mandata da lei? Vuole che lei mi persuada a non avere altri figli?»
«Non sono qui per persuaderla di nulla. È venuta da me liberamente».
«Se è per questo, tutto quel che faccio lo faccio liberamente. Piangere, angosciarmi per la polvere. Addirittura fare figli. Solo che lei non ci crede, giusto?»
«Non sono qui per crederle, signora Armitage. Non è quello il punto».
«Continua a dire che non è qui per questo, per quello e per quell’altro. E allora, per cosa
«Forse» disse con un altro sorrisetto dei suoi «per scoprire come mai al momento lei mi detesta così intensamente. Certo, non dico che detesti me in persona. Ma c’è qualcosa che lei non sopporta, vero... a parte la polvere?»
«Non è così per tutti?»
«Qual è stata la prima cosa che ha detestato, se lo ricorda?»
«Non era una cosa, era un uomo. Il signor Simpkin...»
«Sì, e poi?»
«E una mia compagna che si chiamava... Ireen Douthwaite, quand’ero ragazza. E una tizia di nome Philpot. Non ricordo...»
«E i suoi precedenti mariti?»
«Uh, no, loro no, mi erano simpatici».
«E il suo attuale consorte... Jake?»
«Ma no!»
«Mi parli di lui».
«Come, di lui...?»
«Ma sì, forza, mi parli di Jake». Pareva volesse sfidarmi. Risi e allargai le mani, guardandomele.
«Be’, ma cosa... cosa vuol sapere?»
«Quel che le va di dirmi».
«Allora, Jake... È impossibile parlarle di Jake».
«Ci provi».
Feci un respiro profondo. Mi pareva che avrei potuto aprir bocca e buttare fuori parole per sempre; che avrei potuto aprire il cuore, proprio far scattare la serratura e spalancarlo. Era il momento della verità. Invece mi finì il fiato. Non dissi nulla. Lui aspettava.
«La casa dove abitiamo» attaccai. «Il soggiorno è esposto a sud, e ha delle finestre enormi, a ghigliottina, perciò quando esce il sole diventa una serra, caldissimo, giuro. E ovviamente il sole fa risaltare la polvere. Quando la gente entra nel mio soggiorno per la prima volta dice sempre che è una stanza meravigliosa, ma basta un attimo e li vedo che notano certe cose. Soprattutto le donne, ovvio, ma anche gli uomini. Una volta hanno scritto un articolo su Jake; dicevano che lui compra libri, anziché panfili. Be’, ovviamente non compra né gli uni né gli altri. Non compra niente. Le cose che la gente nota sono le bruciature sulla moquette e i segni sul muro. Jake una volta beveva molta birra in lattina, e lei sa come spruzza, quando si buca la lattina. Poi ci sono i bambini. Insomma, com’è e come non è, quei muri nessuno li ha mai lavati: da quando li abbiamo ridipinti, intendo, un paio d’anni fa.
«Sì certo, la stanza è meravigliosa. Ormai ci passo quasi tutto il mio tempo, praticamente ci vivo. La conosco benissimo. Sulla parete di lato c’è un quadro, di qua, appena si entra, un coso atroce, giallo e verde, astratto. Appartiene a Jake. Quindi non si butta, anche se è il quadro più orrendo di tutti i tempi. Poi ci sono pile di riviste. Noi non buttiamo mai nulla. Nel capanno abbiamo ancora le bici che ci siamo portati anni fa dalla campagna. Non servono a niente, e non c’è posto per metterci quelle nuove.
«Ad ogni modo. Jake ha uno studio al pianterreno, e finché non si è preso un ufficio ci lavorava parecchio. L’ufficio è a St. James’s, lui adesso lavora lì. Io non ci entro da un sacco di tempo. Lavorare nello studio di casa però non gli è mai piaciuto, si sentiva solo. Veniva sempre di sopra per parlare con qualcuno, coi bambini, con me, o chiunque ci fosse in casa. Poi si faceva da mangiare, aveva sempre fame, gli piaceva stare in cucina. A proposito, Jake è figlio unico. Come me. Abbiamo otto stanze da letto, ma un bagno solo. Non saprei che altro dirle».
Seguì un lungo silenzio. Mi dissi che forse si era addormentato. Il caminetto a gas farebbe venir sonno a chiunque; il dottore avrebbe dovuto metterci davanti una bacinella d’acqua.
«Vado avanti?»
«La prego».
«Ma non è ora di smettere?»
«Solo se lei lo desidera».
«Sa che dovrebbe metterci una bacinella d’acqua, davanti a quel caminetto?»
«Sente troppo caldo?»
«Il problema è che poi la gente ci butta i fiammiferi, che restano a galleggiarci dentro per giorni. E poi l’acqua evapora».
«Lei detesta il... casino, giusto?»
«Sì. È una cosa che odio».
«La spaventa».
«Forse mi spaventa anche».
«E questo...» diede un’altra occhiata alle sue carte «...signor Simpkin, era un casino?»
«Sì» dissi. «A me sembrava veramente un casino. La cosa le è d’aiuto?»
Lui si alzò, poggiandosi alla scrivania come chi debba tenere un discorso dopo una cena ufficiale. «Faremo, ritengo, dei progressi» disse.

2

«Immagino sappiate il fatto vostro» disse il padre di Jake. «I bambini cosa dicono?»
«Be’, con loro...»
«Be’, con loro in effetti non ne abbiamo discusso» disse Jake. «Sono bambini, appunto. Non è che dobbiamo chiedergli il permesso, no?»
«Al contrario» disse suo padre, «avrei detto che fosse la cosa più importante.
«Non capisco perché tu voglia sposare Jake» proseguì, ...

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