Il commesso
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Pubblicato negli Stati Uniti nel 1957, Il commesso è considerato da molti il capolavoro di Bernard Malamud. La storia è quella di Morris Bober, umile commerciante ebreo che nel cuore di Manhattan conduce una vita misera e consumata dagli anni, e di Frank Alpine, un ladruncolo di origini italiane, deciso a riscattarsi e diventare un uomo onesto e degno di stima, aiutando Morris al negozio. Tuttavia il giovane Frank non resisterebbe dietro al bancone, sempre più assediato dalla concorrenza, se non si innamorasse di Helen, la figlia di Morris. La vicenda è straordinariamente intrecciata intorno alle emozioni, ai segreti, al destino di queste tre esistenze. Il ritmo quasi ipnotico della narrazione, la capacità di attenzione al dettaglio, lo stile limpido e ironico regalano al romanzo quell'atmosfera inconfondibile, a metà fra il tragico e il comico, che rende affascinante la narrativa di Malamud.Con una prefazione inedita di Marco Missiroli.

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Informazioni

Anno
2013
ISBN
9788875215750
Argomento
Literature
Categoria
Classics

/
Il commesso

Erano i primi di novembre e all’alba l’oscurità della notte durava ancora nella via, ma il vento, con meraviglia del negoziante, imperversava già. Gli sbatté con violenza il grembiule in faccia mentre si chinava a raccogliere le due cassette di latte dal bordo del marciapiede. Ansimando, Morris Bober trascinò fino alla porta i pesanti recipienti. Nel vano, un voluminoso sacco marrone pieno di panini di pasta dura e la testa grigia, il volto stizzoso della Poilisheh che se ne stava rannicchiata là ad aspettare di farsene dare uno.
«Come mai così in ritardo?»
«Sono le sei e dieci», disse il negoziante.
«Fa freddo», si lamentò lei.
Lui girò la chiave nella toppa e la fece entrare. Di solito riponeva le bottiglie del latte e accendeva i caloriferi a gas, ma la polacca era impaziente. Morris vuotò il sacco di panini in una cesta metallica sul banco, gliene scelse uno senza semi, lo tagliò a metà e lo avvolse in un foglio di carta bianca. La donna infilò il pane nella sporta di corda lasciando tre centesimi sul banco. Morris incassò la vendita nel vecchio e rumoroso registratore di cassa, ripiegò con cura e ripose il sacco del pane, finì di portare dentro il latte e sistemò le bottiglie nel frigorifero, in basso. Accese il calorifero a gas in negozio e andò nel retrobottega ad accendere l’altro.
Fece bollire il caffè in un bricco di porcellana annerita e lo sorseggiò masticando un panino senza nemmeno sentirne il sapore. Finì di far pulizia e si mise ad aspettare: aspettava Nick Fuso, l’inquilino del piano di sopra, un giovane meccanico che lavorava in un garage del quartiere. Nick veniva ogni mattina verso le sette a prendere venti centesimi di prosciutto e una pagnotta.
Invece si aprì la porta del negozio ed entrò, col viso arrossato e gli occhi allarmati, una ragazzetta di dieci anni. Morris non le diede, in cuor suo, il benvenuto.
«Dice mia madre», fece in fretta, «se può darle a credito fino a domani mezzo chilo di burro, una pagnotta di segale e una bottiglietta di aceto di sidro».
Lui la conosceva, la madre. «Non faccio più credito».
La bambina scoppiò in lacrime.
Morris le diede un etto di burro, il pane e l’aceto. Sul vecchio banco consunto, vicino al registratore di cassa, trovò un angolo con qualche scritta a matita e sotto la voce «ubriacona» aggiunse una cifra. Il totale ammontava ora a due dollari e tre. Non sperava più di riaverli, ma Ida lo avrebbe rimproverato se si fosse accorta di un’aggiunta, così ridusse il totale a un dollaro e sessantuno. La sua pace – la poca pace di cui disponeva – valeva bene quarantadue centesimi.
Si mise a sedere su una seggiola accanto al tavolo rotondo di legno del retrobottega, e scorse attentamente, con le sopracciglia inarcate, il giornale ebraico del giorno precedente che aveva già letto dalla prima all’ultima riga. Di tanto in tanto lasciava vagare lo sguardo attraverso il riquadro aperto nel muro a mo’ di vetrina, per vedere se per caso qualcuno era entrato in bottega. Qualche volta, alzando lo sguardo dal giornale, restava sorpreso dalla presenza silenziosa di un cliente davanti al banco.
Ora il negozio somigliava a una lunga galleria buia.
Il negoziante sospirò e attese. Non era bravo ad attendere, si disse. In tempi duri, era dura anche far passare il tempo. Mentre lui stava lì ad aspettare, le ore morivano e gli marcivano sotto il naso.
Entrò un operaio a comprare una scatola di sardine norvegesi da quindici centesimi, marca King Oscar.
Morris si rimise ad aspettare. In ventun anni il negozio era cambiato poco. Due volte lo aveva ridipinto da cima a fondo, una volta aveva aggiunto una nuova scaffalatura. Un falegname aveva trasformato in un’unica ampia vetrina l’antiquata doppia finestra che dava sulla strada. Dieci anni prima l’insegna appesa fuori era caduta, ma Morris non l’aveva mai sostituita. Una volta che gli affari erano andati bene per un po’, aveva fatto installare al posto della ghiacciaia di legno una vetrina bianca refrigerata. Stava nella parte anteriore del negozio, allineata al banco di vendita, e lui vi si appoggiava spesso quando guardava fuori. Per il resto, era rimasto tutto uguale. Anni addietro aveva cominciato come negozio di gastronomia; ora, benché vendesse ancora un po’ di salumi, s’era ridotto a una botteguccia di alimentari.
Passò una mezz’ora. Non essendosi fatto vivo Nick Fuso, Morris si alzò e andò ad appostarsi alla vetrina, dietro il cartellone pubblicitario sistemato da quelli della birra nello spazio altrimenti spoglio. Poco dopo il portone si aprì e ne uscì Nick con indosso un pesante maglione verde lavorato a mano. Girò l’angolo e fu presto di ritorno con la sporta della spesa ricolma. Morris ora non si nascondeva più, lì dietro alla vetrina. Nick vide con che faccia lo guardava, ma distolse subito lo sguardo. Si precipitò in casa cercando di dare a vedere che era il vento che lo faceva andar di fretta. La porta gli sbatté alle spalle, una porta rumorosa.
Il negoziante guardò in strada. Desiderò per un attimo di poter essere di nuovo fuori all’aperto, come quando era ragazzo, che non stava mai in casa, ma il rumore minaccioso del vento lo spaventò. Pensò di nuovo di vendere il negozio, ma chi lo avrebbe comprato? Ida ci sperava ancora. Ogni giorno ci sperava. Quel pensiero gli strappò un sorriso amaro, anche se non aveva voglia di sorridere. Era un’idea assurda e cercò di scacciarsela dalla mente. Eppure c’erano dei momenti in cui si ritirava nel retrobottega, si versava un goccio di caffè e indugiava piacevolmente sull’idea di vendere. Ma se anche per miracolo ci fosse riuscito, dove sarebbe andato, dove? Per un attimo si sentì a disagio immaginandosi senza tetto. Si vide in balia delle intemperie, fradicio di pioggia, col capo coperto di neve gelata. No, era un secolo che non passava un’intera giornata all’aperto. Da ragazzo, sempre a correre per le strade del villaggio, fangose e piene di solchi, o nei campi, oppure a bagnarsi nel fiume con gli altri ragazzi; ma da adulto, in America, raramente aveva visto il cielo. Nei primi tempi sì, quando conduceva il carretto col cavallo, ma era finito tutto col suo primo negozio. In un negozio uno è sepolto.
Il lattaio si fermò col camion davanti alla porta ed entrò con l’impeto di un toro a ritirare vuoti a rendere. Ne trasportò fuori una cassa e tornò con due piccole confezioni di panna scremata. Poi fu la volta di Otto Vogel, il fornitore di carne, un tedesco dai baffoni folti, che portava una salsiccia affumicata di fegato e una sfilza di würstel nella cesta unta. Morris comprò in contanti la salsiccia di fegato, perché da un tedesco non voleva favori. Otto si portò via i würstel. Il garzone del panettiere, che faceva quel giro per la prima volta, cambiò tre pagnotte rafferme con tre fresche e uscì senza dire una parola. Leo, della pasticceria, data una rapida occhiata alla torta ancora incartata sul frigorifero, gridò: «Arrivederci a lunedì, Morris».
Morris non rispose.
Leo esitò. «Va male dappertutto, Morris».
«Qui è peggio che dappertutto».
«A lunedì».
Una giovane massaia del vicinato fece spese per sessantatré centesimi, un’altra per quarantuno. Aveva guadagnato il primo dollaro della giornata.
Breitbart, il venditore ambulante di lampadine, depose i suoi due enormi scatoloni ed entrò timidamente nel retrobottega.
«Vieni», lo invitò Morris. Fece bollire il tè e lo serví con una fettina di limone in un bicchiere dal vetro spesso. Il venditore ambulante si accomodò su una sedia tenendosi addosso cappotto e bombetta e trangugiò il tè caldo, col pomo d’Adamo che gli sussultava.
«E allora, come vanno le cose?», chiese il negoziante.
«Fiacche», rispose Breitbart con un’alzata di spalle.
Morris sospirò. «Come sta il ragazzo?»
Breitbart fece un cenno distratto col capo, poi prese il giornale ebraico e si mise a leggere. Dopo dieci minuti si alzò, si grattò da tutte le parti e, caricatisi sulle spalle magre i due scatoloni legati insieme con una corda da bucato, se ne andò.
Morris lo guardò uscire.
Il mondo soffre. Ed era lui a sentirne tutto lo schmerz, la pena.
All’ora di pranzo scese Ida. Aveva pulito tutta la casa.
Morris se ne stava in piedi accanto al divano stinto, a guardare dalla finestra che dava sul cortile. Aveva pensato a Ephraim.
Sua moglie gli vide gli occhi umidi.
«Smettila una buona volta, per favore». Anche i suoi occhi si inumidirono.
Morris andò all’acquaio, si versò dell’acqua fredda nelle mani a coppa e vi immerse il viso.
«L’Italyener», disse mentre si asciugava, «stamattina è andato a comprare nel negozio di fronte».
Ida si irritò. «Tu gli dai cinque camere per ventinove dollari, per farti sputare in faccia».
«Non c’è l’acqua calda», le ricordò.
«Ci hai messo dei radiatori a gas».
«Chi dice che mi sputa in faccia? Non ho detto questo».
«Gli hai forse detto qualcosa di brutto?»
«Io?»
«Allora perché è andato nel negozio di fronte?»
«Perché? Vallo a chiedere a lui», disse rabbioso.
«Quanto hai incassato fino adesso?»
«Una miseria».
Lei gli voltò le spalle.
Morris sfregò distrattamente un fiammifero e accese una sigaretta.
«Smettila di fumare», lo rimproverò Ida.
Aspirò in fretta una boccata, staccò l’estremità accesa con l’unghia del pollice e ficcò svelto il mozzicone sotto il grembiule, nella tasca dei pantaloni. Gli venne da tossire per il fumo. Una tosse rauca che lo fece diventar rosso in viso come un pomodoro. Ida si turò le orecchie. Alla fine, Morris tirò su un grumo di catarro: si passò il fazzoletto sulla bocca e poi sugli occhi.
«Sigarette», disse lei amaramente. «Perché non dai retta a quel che ti dice il dottore?»
«Eh, i dottori», disse Morris.
Poi notò il vestito che lei aveva indosso. «È festa?»
Ida, imbarazzata, disse: «Ho pensato che magari oggi verrà il compratore».
Aveva cinquantun anni, nove meno di lui, i capelli folti ancora quasi tutti neri. Ma il viso era segnato e le gambe le dolevano quando stava troppo a lungo in piedi, benché ora portasse scarpe con i supporti ortopedici. Quella mattina si era svegliata con dentro un rancore verso il negoziante che, tanti anni addietro, l’aveva trascinata lì, lontano dal suo quartiere ebraico. Ancora oggi sentiva la mancanza dei loro vecchi amici e compatrioti, perduti per inseguire il miraggio della parnusseh, di una prosperità che non s’era realizzata. Già questo era motivo sufficiente di dispiacere, ma l’avere oltre all’isolamento preoccupazioni economiche continue la esasperava. Condivideva malvolentieri la sorte del negoziante, benché non lo desse a vedere e la sua insoddisfazione si manifestasse soltanto sotto la forma del rimbrotto domestico. La sua colpa era d’averlo indotto a comperare un negozio di alimentari quando frequentava il primo anno della scuola superiore serale per prepararsi, le aveva detto, a studiare farmacia. Col passar degli anni lui diventava sempre più difficile da smuovere. In passato le riusciva qualche volta di tenergli testa, ma ora la sua testardaggine superava le forze di Ida.
«Un acquirente», brontolò Morris. «Verrà alla prossima Purim».[1 ]
«Non fare lo spiritoso. Karp gli ha telefonato».
«Karp», disse con disgusto. «Da dove gli ha telefonato, quel pidocchio?»
«Da qui».
«Quando?»
«Ieri. Mentre dormivi».
«Cosa gli ha detto?»
«Che c’è un negozio in vendita, il tuo, a buon prezzo».
«Come sarebbe a dire a buon prezzo?»
«La licenza non vale più nulla. Per la merce e gli infissi, che non valgono niente neanche quelli, tremila o meno ancora».
«A me è costato quattromila».
«Ventun anni fa», rispose lei stizzita. «Non vendere, allora, fa’ mettere all’asta».
«Vuole anche la casa?»
«Karp non lo sa. Può darsi».
«Fanfarone. Figurati, un uomo che hanno rapinato quattro volte negli ultimi tre anni e ancora non ha fatto mettere il telefono. Quello che dice non vale un soldo bucato. Mi aveva giurato che non mi avrebbe messo un negozio di ali...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Colophon
  3. Frontespizio
  4. Prefazione di Marco Missiroli
  5. Bernard Malamud: uno scrittore di storie | profilo bio-bibliografico
  6. Bibliografia
  7. Il commesso