Autobiografie immaginarie
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Fiction e cura di sé

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Cosa significa raccontare? Cosa accade quando diciamo "io"? Prendersi cura di sé attraverso la scrittura è possibile solo in prospettiva autobiografica? L'immaginazione è pura evasione o può aiutare la persona a conoscersi meglio? Nel libro si risponde a queste e ad altre domande, evidenziando le potenzialità curative della scrittura "trans-autobiografica", un tipo di narrazione che prende spunto da snodi autobiografici, da eventi reali che vengono utilizzati dall'autore per costruire storie d'invenzione. Alla prospettiva centripeta e seria del pensiero autobiografico si intreccia quella centrifuga, giocosa, ispirata alla fantasia, alla creatività e alla leggerezza. Osservarsi da un punto di vista decentrato, attivare la logica del "far finta" e del "come se", essere consapevoli della finzione, giocare con la propria storia trasformandola in un romanzo apre uno sguardo inedito su di sé, orientato non solo in direzione di ciò che è stato, ma anche del possibile. Tutto ciò dà voce al desiderio, non mirando a un'evasione e a una fuga dalla propria storia, dalla propria identità reale, dai propri dolori, ma mettendo a disposizione dell'autore una serie di strumenti che lo aiutano a guardarsi dentro in modi nuovi e sorprendenti.

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Informazioni

Capitolo 1

La narrazione.
Osservazioni preliminari
1.1 La mente e le storie
Guardo fuori dalla finestra del mio studio. Ecco cosa vedo:
Una bambina cammina sul marciapiede. Alla sua destra una donna di circa trent’anni, molto elegante. Regge con la mano destra una borsa di pelle marrone dall’aspetto professionale. A tracolla ha una borsetta in tinta con le scarpe. La bimba ha uno zainetto colorato sulle spalle. La donna guarda l’orologio, poi prende per mano la bambina e accelera il passo.
Questo è ciò che percepisco con la vista. Il mio pensiero però non si ferma alla semplice immagine, ma va alla ricerca di dettagli che si trasformano in indizi. Così l’osservazione si arricchisce:
È lunedì mattina, mancano pochi minuti alle 8. Quasi certamente la bambina sta andando a scuola. La donna è sua madre. La fretta si spiega perché la campanella suona alle 8 e la mamma non sopporterebbe un nuovo sguardo di disapprovazione della bidella. Quella bidella che non sorride mai, con il suo grembiule azzurro sempre sciupato e i capelli trascurati. “È piena di rancore con il mondo. La capisco, ma mica ne ho colpa io. Forse mi invidia, e ha ragione, poveretta”, starà pensando la mamma. Lo zainetto della bambina contiene i quaderni, un astuccio… e poi la merenda. La mamma, magrissima e nervosa, impone di sicuro a sua figlia dei biscottini biologici integrali e la bambina vorrebbe invece le merendine ripiene di nutella o marmellata che hanno alcuni suoi amici… Il padre, benché con accortezza, sta dalla parte della figlia e ogni giorno cerca di far capire alla moglie che di nutella e di marmellata non è mai morto nessuno. La mamma, a giudicare dall’aspetto, potrebbe essere un avvocato, più che un medico… Le borse dei medici non hanno quella forma…
Cos’ho fatto? Da una semplice immagine ho iniziato a costruire una storia assegnando ruoli, immaginando personaggi che non vedo, plasmando i loro caratteri, attribuendo loro dei pensieri… È normale travalicare il semplice dato oggettivo isolato per collocarlo in una trama possibile. La mente può essere considerata un apparato generatore di narrazioni e l’importanza di questa sua funzione si spiega con un’evidenza: senza narrazioni che connettano tra loro i dati di realtà, il mondo non avrebbe un senso coerente, sarebbe costituito da semplici fenomeni privi di significato. In tal modo anche noi, senza storie da osservare o di cui essere parte, ci troveremmo smarriti.
Se con le nostre storie diamo forma al mondo, o creiamo mondi possibili, di riflesso anche noi assumiamo una forma, un ruolo, acquisiamo un’esistenza effettiva, un senso grazie alla rete di relazioni narrative in cui collochiamo noi stessi e gli altri. La nostra identità viene costruita con narrazioni che coinvolgono persone, luoghi, situazioni e anche oggetti7.
Non solo per il romanziere, lo sceneggiatore, il giornalista, l’avvocato le narrazioni sono fondamentali, ma se ci soffermiamo ad ascoltare i discorsi delle persone sedute al tavolino di un bar, nella sala d’aspetto di un medico, in treno, dal barbiere, per la strada, ci rendiamo conto che l’uomo non solo non può fare a meno delle storie, ma non esiste al di fuori delle storie che si racconta, che racconta agli altri, che gli vengono raccontate.
1.2 La vita è un romanzo
Narrare significa semplicemente “raccontare storie”. L’etimologia della parola introduce però una sfumatura semantica importante; il verbo narrare deriva da gnarigare, la cui radice gna- significa “conoscere”, “rendere noto” (Arrigoni, Barbieri, 1998). La narrazione implica quindi la trasmissione (e simmetricamente la ricezione) di una conoscenza. Presuppone quindi una transitività, in quanto si racconta qualcosa, ma anche una finalità, dato che si racconta per qualcosa (Pianigiani, 1991. Battisti, Alessio, 1952. Cortelazzo, Zolli, 1983).
Due riferimenti preliminari per inquadrare il concetto di narrazione. Cesare Segre, nell’ottica della pragmatica della comunicazione, definisce la narrazione “una realizzazione linguistica mediata, avente lo scopo di comunicare a uno o più interlocutori una serie di avvenimenti, così da far partecipare gli interlocutori a tale conoscenza, estendendo il loro contesto pragmatico”8. Umberto Eco, da una prospettiva strutturalistica e semiologica, identifica la struttura minima di base di qualunque narrazione con quanto proposto “dalla Poetica aristotelica: dove è sufficiente individuare un agente, uno stato iniziale, una serie di mutamenti orientati nel tempo e prodotti da cause, sino ad un risultato finale, anche se transitorio o interlocutorio”9. Incrociando le due affermazioni, si può dire che ogni narrazione consiste nel comunicare a uno o più destinatari, in un determinato contesto di enunciazione, una storia che connette personaggi ed eventi in trame sulla base di legami di ordine temporale (prima-dopo) e logico (causa-effetto).
Da altri autori possiamo ricavare ulteriori osservazioni interessanti che riguardano gli aspetti cognitivi ed emotivi della narrazione. Giuseppe Martini sostiene che “raccontare e raccontarsi sono tra le più antiche e universali attività dell’uomo” e che l’importanza di queste due dimensioni del narrare, intrecciate al punto da risultare inscindibili, consiste nel fatto che “il costituirsi dell’individuo in quanto soggetto separato dal mondo circostante ha sollecitato l’esigenza di riappropriarsene, raccontandolo”10. Dunque comprendere se stessi e comprendere il mondo sono due necessità complementari; non possiamo conoscerci senza conoscere ciò che ci circonda, e viceversa. E ciò è possibile proprio grazie alla narrazione. Giovanni Starace afferma che “fino a quando l’esperienza non viene espressa attraverso il linguaggio e non prende la forma di un racconto, resta a noi inaccessibile”11. Va anche considerato che tale conoscenza non è puramente strumentale, ma, come sottolinea ancora Martini, “sembra rispondere a istanze molto profonde” e funge da “principio organizzatore e costitutivo dell’esistenza stessa”12. Un’altra funzione importante della narrazione consiste nel “frapporre uno spazio tra l’irruenza delle emozioni e il Sé che le deve sì vivere, ma anche pensare e ordinare, per non rimanerne sommerso”13. In sostanza, costruire storie ci consente di comprendere e di dare un senso a noi stessi e a ciò che ci circonda, ma ci aiuta anche a rendere pensabili le emozioni e a elaborarle.
Stern (1985) aggiunge un altro aspetto fondamentale: la narrazione è un’espressione intrinseca al modello della mente umana. L’uomo si distingue dagli altri animali perché è il solo in grado di raccontare storie. Queste si basano su intrecci o “trame”, che secondo Brooks “sono le principali forze ordinatrici di quei significati che cerchiamo, attraverso una vera e propria battaglia, di strappare al tempo”14. Raccontare storie ci permette quindi di dotare di significato gli eventi connettendoli in una struttura ordinata e di fissarli nel tempo, sottraendoli all’oblio e inserendoli in una catena significante destinata ad arricchirsi ed espandersi progressivamente. Ong (1982) sostiene un concetto analogo quando afferma che la conoscenza umana emerge dalla temporalità e che il racconto è un modo di trattare il fluire del tempo.
Le narrazioni ci permettono di ricercare i significati delle esperienze nostre e altrui, di dare loro una consistenza, ma anche di ri-significare continuamente la nostra vita, attribuendole sensi molteplici e quindi evitando di congelarla in una forma immodificabile. In una prospettiva per alcuni aspetti simile, Flavia Ravazzoli considera la mente conscia e inconscia dell’uomo un “testo perpetuo”, in perenne metamorfosi che, attraverso il linguaggio, trasforma il mondo in una dimensione verbale e semantica che permette all’individuo di “non soccombere materialmente, di socializzare coi suoi simili […] e nel contempo di dare un senso a ciò che gli sembra incomprensibile, incluso il fatto di esistere”15. Questa metamorfosi è intrinseca anche al fatto che la realtà non è data una volta per tutte, non ha un senso intrinseco preesistente, infatti tale senso possibile si plasma e si modifica in relazione ai significati che di volta in volta attribuiamo a quella realtà quando le diamo forma nel nostro pensiero e quando la raccontiamo.
Abbiamo riportato solo alcuni punti di vista all’interno della sterminata letteratura sul tema della narrazione. Aggiungiamo che la galassia di ...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione Il potere dello sguardo
  2. Capitolo 1 La narrazione. Osservazioni preliminari
  3. Capitolo 2 La narrazione autobiografica
  4. Capitolo 3 La narrazione trans-autobiografica
  5. Capitolo 4 Narrazioni trans-autobiografiche nel cinema e nella letteratura
  6. Capitolo 5 Esperienze di scrittura trans-autobiografica in diversi contesti
  7. Capitolo 6 Prendersi cura di sé scrivendo storie di altri
  8. Capitolo 7 L’umorismo
  9. Appendice
  10. Allegato 1 Un modello di analisi dei testi trans-autobiografici
  11. Allegato 2 Le osservazioni di alcuni autori
  12. Allegato 3 Un esempio di umorismo trans-autobiografico
  13. Bibliografia