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A-dualità o trinità radicale
Forse conviene prendere direttamente le mosse, per iniziare a chiarire il senso di questo nuovo orientamento come nuovo umanesimo interculturale, dal classico problema dell’Uno e dei Molti, che si è presentato agli esordi stessi del pensiero occidentale. Se ne esaminiamo brevemente gli sviluppi storici, possiamo subito osservare che le soluzioni date, nel corso dei secoli, a questo problema e, in concreto, alla questione del rapporto tra esigenze di unità (culturale, politica, etica, economica, religiosa) e le innegabili diversità umane (interne a una stessa cultura o relative a culture differenti), sono sostanzialmente due, ed entrambe oggi non più praticabili, nonostante i pugni sul tavolo battuti dai sostenitori dell’una o dell’altra.
Monismo
Solo l’Uno (inteso monoliticamente) è vero; i molti sono l’errore. Allora occorre tentare a tutti i costi di ridurre e infine annullare le differenze: deve vincere il più forte, il più progredito, la vera religione, l’economia più efficace, certo, con pazienza e tolleranza, cercando di convincere e convertire.
Casi paradigmatici di monismo sono stati la Chiesa cattolica (oggi con papa Francesco si sta assistendo a un vero e proprio “mutamento di paradigma”, ovviamente osteggiato dai settori più retrivi e ottusi della gerarchia ma anche da una parte dei fedeli che identificano la fede con credenze e dottrine storicamente condizionate innalzate a verità eterne), indubbiamente con moltissime sfumature che vanno dall’intransigenza dottrinale o morale ad atteggiamenti più “aperti” e duttili o anche a vere aperture dialogiche ed ecumeniche in tutte le direzioni (la grande stagione del Vaticano II né è una prova), ma poi interpretate riduttivamente e messe in atto solo come strada più opportuna per la reductio ad unum; i partiti politici ispirati da dottrine totalitarie (in passato i partiti comunisti, fascisti ecc.); la scienza occidentale, quando dà ad intendere, per es. in medicina, che l’agopuntura o l’omeopatia siano ciarlatanerie, tutt’al più da sopportare; le mitologie di un nuovo ordine mondiale gestito da una superpotenza, per es. gli Stati Uniti (oggi forse da duumvirati o triumvirati…). L’elenco potrebbe ovviamente continuare.
L’espressione religiosa di questa attitudine è il monoteismo delle religioni abramiche, che si radicalizza nell’Islam; espressioni politiche sono fra le altre colonialismo e imperialismo, culturali il razionalismo e lo scientismo.
In una parola: uno e molti sono in conflitto, ma alla fine prevale l’uno.
Dualismo
Qui impera la dialettica, perché si riconosce che la realtà è sempre duale e occorre cercare di ricondurre ad un equilibrio o, se riesce, ad una sintesi le differenze e i conflitti, non una volta per tutte ma a seconda delle situazioni e del divenire storico. Ognuno deve battersi perché le sue idee, programmi ecc. si impongano; sarà il libero gioco dialettico, in uno scenario di coesistenza e di libertà, il criterio ultimo. Chi è sconfitto si ritira, per poi magari riproporsi. È la scena delle società laiche moderne: democrazia, maggioranza, liberismo, mercato sono le parole chiave.
Il dualismo di questa soluzione non è però coerente fino in fondo, ed è praticabile solo in una situazione di equipotenza delle forze in conflitto.
Quando l’altro, cioè la visione del mondo, l’opzione, il programma diversi dai miei, mettono a rischio la mia esistenza e quello che io ritengo sia la verità, la giustizia ecc. (io, cioè la civiltà occidentale, il cristianesimo, la scienza, il mercato ecc.), allora il più forte s’impone di nuovo monisticamente sul più debole, con la guerra o altri mezzi coercitivi).
Nel mondo attuale queste strade ormai si sono logorate, e non fanno che aumentare la conflittualità ed esasperare gli animi.
L’autentico pluralismo è negato per principio nel monismo e addomesticato nel dualismo.
A-dualità
C’è però una terza possibilità, l’a-dualità, prospettiva presente nelle tradizioni sapienziali orientali (conosciuta nel pensiero hindu come advaita) e praticata in passato da pochi saggi, ma che oggi diventa sempre più realistica: è appunto una consapevolezza che conduce ad una positiva accettazione della diversità, senza tentare né una artificiosa reductio ad unum né una forzata integrazione (Aufhebung, nel linguaggio hegeliano) dialettico-democratica.
In questo tentativo di soluzione si affronta il conflitto senza né sacrificare un’alternativa all’altra, imponendo con la forza del potere quella giudicata vera, giusta ecc., né cercando di realizzare un equilibrio dinamico spesso precario che alla fine implica per es. una forte limitazione dello spazio effettivo della prospettiva minoritaria, e quindi di fatto una dittatura della maggioranza e un pluralismo più virtuale che reale.
Qui si cerca invece di superare le tensioni con un riconoscimento del carattere “ontologico” costitutivo della polarità, della differenza, senza distruggere i valori positivi.
Che vuol dire in pratica?
Il problema del pluralismo sorge quando siamo in presenza di un conflitto insolubile di valori essenziali; per dirla in termini filosofici, quando siamo in presenza di un conflitto tragico.
Il mito che lo illustra al meglio è il mito greco di Antigone, ripreso in una tragedia sofoclea, che rappresenta il conflitto apparentemente inconciliabile fra la consapevolezza della necessità morale (la legge dell’amore e la pietà familiare), incarnata da Antigone, di dover seppellire il fratello nonostante fosse un traditore, e la coscienza di dover seguire la legge dello Stato, impersonata da Creonte, che nega umana sepoltura all’aggressore.
Da un punto di vista monistico vince o Antigone o Creonte; da un punto di vista dualistico-dialettico (cfr. la lettura hegeliana di questo mito, che ne tenta una razionalizzazione) entrambi, nella loro individualità, devono venir sacrificati all’emergere di una prospettiva universale superiore, la sintesi etica, che però semplicemente cancella la realtà esistenziale della lacerazione tragica e non rispetta pluralisticamente le due posizioni diverse.
Se guardiamo a questa vicenda da un’ottica a-dualista, forse ci rendiamo conto che occorre accettare la compresenza contraddittoria delle due prospettive e dei due valori senza tentarne alcuna sintesi, e cioè occorre accettare il fatto che la realtà come tale è pluralistica, che l’incommensurabilità di visioni del mondo, miti, convinzioni e comportamenti è irriducibile e che si può solo entrare in dialogo affinché la tensione, la polarità, non si trasformi in conflitto devastante.
Ritenere, per es., che le coppie di fatto o le unioni civili o gli omosessuali siano l’errore dinanzi alla verità supposta naturale della famiglia eterosessuale monogamica e del matrimonio, che sono solo prodotti storici, è monismo; cercare un equilibrio sul piano politico della dialettica democratica o sul piano della coesistenza di culture e morali differenti, finché riesce...