Titolo originale: L’antiphilosophie de Wittgenstein
© Nous, 2009
Mimesis Edizioni (Milano – Udine)
www.mimesisedizioni.it
Collana: Semiotica e filosofia del linguaggio, n. 21
Isbn: 9788857551777
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Nota del traduttore
Le note a piè di pagina, non presenti nell’edizione francese, sono state inserite dal traduttore, che si è avvalso anche delle note all’edizione inglese di Bruno Bosteels.
Il termine forçage è stato tradotto con forzamento, seguendo l’uso di P. Cesaroni, M. Ferrari, G. Minozzi, curatori della nuova edizione de L’essere e l’evento (Mimesis 2018).
Per rendere Maître si è adottato il termine Padrone, in conformità con la scelta del traduttore italiano di Lacan, A. Di Ciaccia.
Si è scelto di tradurre il termine tableau, usato da Badiou in riferimento alla proposizione come Bild, con immagine (per una riflessione sulla soluzione adottata, rimandiamo alla Postfazione).
La scelta di rendere monstration con mostrazione, così come fa L. Boni nella traduzione di Inestetica (Mimesis 2007), viene discussa anch’essa nella Postfazione.
Le citazioni contenute nel testo sono state rese seguendo le traduzioni italiane di riferimento, segnalate nelle note.
I passi del Tractatus logico-philosophicus sono riportati nella traduzione italiana di A.G. Conte pubblicata da Einaudi. Quando la traduzione adottata da Badiou si discosta significativamente dal testo originale, la traduzione di Conte viene riportata in nota.
Prefazione all’edizione italiana
All’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, partendo da un concetto utilizzato da Lacan, ho proposto e illustrato una teoria piuttosto completa di quel che si dovesse intendere per antifilosofo. Ho dedicato cinque seminari consecutivi, tra il 1992 e il 1997, a grandi esempi di questa nozione.
In realtà, il mio progetto era ancora più ambizioso. Volevo innanzitutto esplorare l’antifilosofia moderna, quella che comincia verso la fine del XIX secolo. Le tappe principali erano Nietzsche, Wittgenstein e Lacan. Poi, per una retroazione storica, avrei trattato l’antifilosofia classica: san Paolo, Pascal, Rousseau e Kierkegaard. In questo modo avrebbero dovuto essere sette seminari. Ma alla fine ho parlato in maniera consequenziale solamente dei tre moderni e di san Paolo. Tutto questo materiale del resto è stato pubblicato sia nella forma diretta di un’edizione del seminario (Lacan, Ed. Fayard, 2013; Nietzsche, Ed. Fayard, 2015), sia sotto forma di libri più sintetici (Saint-Paul, la fondation de l’universalisme, Ed. PUF, 1997, e il presente libro, L’antiphilosophie de Wittgenstein, Ed. Nous 2009).
Si troverà una definizione precisa dell’antifilosofo e dell’antifilosofia fin dalle prime pagine del presente libro. Grosso modo si tratta della tesi secondo cui la speculazione concettuale delle filosofie classiche è un assemblaggio praticamente vuoto e privo di una sua specifica potenza di persuasione. Come già diceva Pascal – a proposito di Descartes –, tutta la metafisica è un discorso “inutile e incerto”. Come dirà violentemente Nietzsche, il filosofo è il “criminale dei criminali”. Rousseau disprezzerà tutto il clan dei filosofi, costituito a partire da Voltaire o da Diderot, e Kierkegaard si farà beffe di Hegel. Dopo di loro, Wittgenstein sosterrà che tutti gli enunciati della tradizione filosofica sono dei “non-sensi”, e Lacan dirà che la filosofia non serve che a “tappare il buco della politica”.
Bisogna distinguere l’antifilosofia dalla sofistica, così come la intende e la combatte Platone. La sofistica si presenta come una retorica dell’azione vincente, essa è in fondo una sorta di pragmatismo socializzato, non cerca né ciò che è vero né ciò che è giusto, bensì ciò che è reale e ciò che è efficace. L’antifilosofia invece contiene sempre una forte dose di morale soggettiva: essa funziona nel regime dell’imperativo, che sia tinto di religiosità, come nel caso di Pascal, Rousseau, Kierkegaard e dello stesso Wittgenstein, o che al contrario assuma il carattere di un comandamento laicizzato, come il “diventa ciò che sei” di Nietzsche o il “non cedere sul tuo desiderio” di Lacan.
Bisogna anche distinguere l’antifilosofia dallo scetticismo. Lo scetticismo fa parte, agli occhi dell’antifilosofo, della filosofia stessa. Lo scettico procede per mezzo di un’argomentazione sottile e di decorticature concettuali, proprio come il metafisico, di cui non è altro che il rovescio. Affermare astrattamente l’esistenza della Verità, o confutarla astrattamente, sono in definitiva due operazioni identiche: l’una come l’altra si svolgono sotto un imperativo astratto di tipo “ricerca razionale della verità”. E ciò è di per sé un’aberrazione, che la conclusione di questa pretesa “ricerca” sia positiva o negativa.
L’antifilosofia non rinuncia in realtà a nulla di ciò che sembra costituire la filosofia: la determinazione di ciò che si sostiene come vero, e una pratica orientata verso ciò di cui si ha ragione di pensare che sia giusto, o bene. La sua ostilità nei confronti della filosofia riguarda il metodo, il punto di partenza. Per l’antifilosofo è necessario partire dal movimento intimo della soggettività, dalla testimonianza evidente che essa dispensa. E con lo stesso movimento, bisogna anche diffidare del linguaggio, osservare la sua cadenza, adeguarla all’imperativo interiore del Soggetto. Il compito filosofico, quale è concepito dall’antifilosofo, parte dal Soggetto e vi ritorna, secondo un tragitto che combina una gradazione delle intensità soggettive e una critica serrata dei suoi mezzi d’espressione. Non ci si sorprenderà dunque se lo stile dell’antifilosofo oscilla tra un logicismo implacabile (Pascal e Wittgenstein ne danno testimonianza in special modo) e la costante tentazione di una confessione intima, del racconto di sé, perfino dell’autoflagellazione, come accade evidentemente in tutti, dalle macerazioni di Pascal alle confessioni di Rousseau, dalle disavventure amorose di Kierkegaard alle posture narcisistiche di Lacan, passando per le costanti autocritiche di Wittgenstein, che lo spingono a diventare un semplice maestro elementare nella campagna austriaca e a desiderare il perdono di tutti gli ex studenti che ha malmenato. E ci si stupirà ancor meno del fatto che in tutti loro un formidabile orgoglio è combinato a momenti depressivi: evidentemente nel cammino soggettivo del vero bisogna pagare di persona.
Nel presente libro, credo di esaminare tutto ciò con l’equanimità di un testimone che è anche un accusato, dal momento che io sostengo incondizionatamente di essere un filosofo. Certo, in controtendenza rispetto alla scolastica analitica che si è impadronita di Wittgenstein, saluto il Tractatus come un capolavoro, e non ne ritrovo la grandezza, successivamente, se non qua e là. Ma così facendo credo di essere più giusto verso il nostro antifilosofo moderno di quanto non siano i suoi “discepoli” accademici. Perché riconosco pienamente quella che fu la sua lacerazione, l’impazienza e la violenza della sua predicazione, senza cedere nulla riguardo alla serietà della sua sorveglianza sul linguaggio.
Mi rallegro per la pubblicazione di un’edizione italiana di questo ribaltamento che è la comparizione di un grande antifilosofo davanti a un giudice che si rifà, cosa estremamente rara oggigiorno, al “filosofo” per eccellenza: Platone.
Alain Badiou, Parigi, marzo 2018
Prefazione all’edizione originale
Tra i filosofi più interessanti vi sono quelli che, riprendendo Lacan, chiamo antifilosofi. Nelle pagine seguenti si vedrà la definizione che ne propongo. La cosa importante è che li considero degli agitatori che costringono gli altri filosofi a non dimenticare due ...