Esperimenti mentali in filosofia
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Esperimenti mentali in filosofia

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Spesso i filosofi paiono pensare di poter trarre conclusioni radicali sulla base di una semplice discussione di scenari immaginari, scenari che a volte sembrerebbero tratti da un racconto di fantascienza. Questo stile argomentativo lascia molti studenti (e anche alcuni filosofi di professione) perplessi: come può il semplice riflettere su di uno scenario immaginario permetterci di trarre conclusioni su come stanno le cose nella realtà? Questo volume cerca di giustificare l'uso di esperimenti mentali in filosofia, concentrandosi su due casi studio, entrambi tratti dalla letteratura sull'identità personale: la trasformazione di un essere umano in un'entità sintetica, e la divisione di una persona in due individui distinti.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788857562988

Introduzione

Quando mi è stato proposto di scrivere un breve libro divulgativo per il Museo della Filosofia di Milano, la mia prima reazione è stata – come del resto la mia prima reazione a quasi tutto – di dubbio. Non ho mai scritto un libro per un pubblico assolutamente non accademico, e ho sempre sospettato che fosse una cosa piuttosto difficile. Da una parte, infatti, il materiale va necessariamente semplificato, in modo da renderlo accessibile a lettori che, comprensibilmente, non hanno le basi necessarie a seguire un’esposizione non semplificata. Dall’altra, però, è chiaro che la semplificazione non può sfociare in una banalizzazione degli argomenti trattati, un po’ per rispetto verso il lettore e un po’ anche, ovviamente, per rispetto verso se stessi. E come se trovare un equilibrio tra queste due esigenze non fosse già, di per sé, abbastanza difficile, nel cercarlo bisogna anche tenere a mente che chi legge un libro di questo tipo lo fa, in senso lato, per piacere – e quindi il libro deve essere scritto in modo tale da mantenere vivo l’interesse di una persona che, alla fin fine, è alla ricerca di un intrattenimento.
Ovviamente, questi dubbi ho finito per superarli, e la mia reazione iniziale ha lasciato spazio ad un certo entusiasmo. Se dovessi riassumere quello che provo nei confronti della filosofia, direi che la trovo soprattutto divertente. Questo non vuol dire che non la prenda sul serio (anzi), e se mi venisse chiesto di elaborare ulteriormente è probabile che aggiungerei a “divertente” una lista abbastanza lunga di aggettivi; ma “divertente” sarebbe comunque il primo. E scrivere un libro per un pubblico non accademico mi è sembrata una buona occasione per rientrare in contatto con questo atteggiamento, che purtroppo – essendo la filosofia anche il mio lavoro – spesso devo mettere un po’ in un angolo.
Con queste idee che mi giravano per la testa, la scelta di concentrarmi sull’uso filosofico degli esperimenti mentali è stata, tutto sommato, piuttosto semplice. Riflettere seriamente su scenari bizzarri è spesso difficile – ma ciò non toglie che sia uno degli aspetti più divertenti, e affascinanti, del lavoro del filosofo.
La riflessione seria su scenari bizzarri è anche il punto di contatto tra la filosofia e la fantascienza. Certo, l’anima di molte opere di fantascienza è semplicemente un gusto per l’esotico portato all’estremo; ma dietro ad alcuni romanzi di fantascienza sta lo stesso identico atteggiamento di tanti libri e articoli di filosofia. L’obbiettivo di Philip K. Dick nel descrivere nei dettagli la prescienza di Jones o quello di Kurt Vonnegut nel descriverci un mondo in cui la meccanizzazione ha reso letteralmente inutile la maggior parte della popolazione non è quello di stupirci o di stimolare il nostro senso dell’esotico; il loro obbiettivo è quello di indagare idee filosoficamente interessanti. E per quanto la forma, narrativa, delle loro opere non sia quella tipica della filosofia penso sia difficile negare che tanto Piano meccanico quanto E Jones creò il mondo abbiano un’anima filosofica. Così come è semplicemente impossibile negare che l’umanità sterile di P. D. James e lo scenario del giorno del giudizio di Scheffler vogliano indurci a riflettere sulla stessa identica questione, ossia sul valore assolutamente peculiare che noi tutti attribuiamo all’esistenza di persone che nasceranno molto dopo la nostra morte.
I due esperimenti mentali protagonisti di questo libro sono dovuti, nelle loro linee generali, a due filosofi, Peter Unger e Derek Parfit, ma potrebbero venire tranquillamente da due racconti di fantascienza. Il primo è un caso di trasformazione di un essere umano in un’entità sintetica, il secondo è invece un caso di divisione, o fissione, ossia un caso in cui una persona diventa due. Le ragioni per cui ho scelto proprio questi due esperimenti mentali – entrambi tratti dalla letteratura sull’identità personale, storicamente la più ricca di esercizi di questo tipo – sono due. La prima, ovvia, è che trovo questi due casi particolarmente affascinanti e profondi. La seconda, meno ovvia, è che questi due esperimenti mentali esemplificano due usi particolarmente importanti degli esperimenti mentali in filosofia.
L’idea che sia possibile ottenere delle vere e proprie conoscenze semplicemente riflettendo su di uno scenario immaginario può sembrare assurda – come se cercassimo di scoprire il numero atomico dell’oro immaginando di contarne i protoni. I casi su cui si concentrano i prossimi due capitoli, però, mostrano che esistono utilizzi degli esperimenti mentali del tutto legittimi.
La trasformazione descritta nel primo capitolo solleva la questione di che cosa siamo, per così dire, davvero e, parallelamente, quella del concetto, dell’idea, che abbiamo di noi stessi. Questo parallelo, tra la questione di che cosa siamo davvero e quella del concetto che abbiamo di noi stessi, è controverso e riflette la mia personale posizione su di un problema filosofico abbastanza tecnico, ossia quello della natura di quelle che a volte i filosofi chiamano “proprietà essenziali”. Cercherò di giustificare brevemente questo legame più avanti. Per il momento, invito il lettore a pensare all’esperimento mentale del primo capitolo esclusivamente come un modo per fare chiarezza sull’idea che abbiamo di noi stessi. Ora, non c’è dubbio che quale sia il numero atomico dell’oro non è una questione che possa venire risolta semplicemente per mezzo di un uso sapiente della nostra immaginazione. Ma fare chiarezza sul nostro stesso apparato concettuale, sulla grammatica dei nostri concetti, è una questione completamente diversa e non c’è ragione di pensare che essa non possa venire affrontata, almeno a volte, con un esperimento mentale. La discussione del primo capitolo mostra quindi, discutendo un esempio concreto, un primo modo in cui un esperimento mentale ci può offrire delle vere e proprie conoscenze – anche se non conoscenze su come è fatto il mondo esterno, bensì solo sulla natura delle nostre idee.
Un discorso analogo può venire fatto in relazione alla fissione del secondo capitolo. Anche in questo caso, l’idea non è quella di utilizzare la nostra immaginazione per acquisire conoscenze intorno al mondo esterno alla nostra mente. L’idea è, piuttosto, di fare chiarezza sui nostri valori, su ciò a cui teniamo veramente. E non c’è alcuna ragione di pensare che una simile chiarezza non possa venire raggiunta riflettendo con attenzione sull’esperimento mentale giusto.
Come notavo sopra, il parallelo tra la questione di che cosa siamo davvero e quella del concetto che abbiamo di noi stessi è controverso e cercherò di giustificare brevemente la mia posizione in merito più avanti. Vista la natura di questo libro, però, la mia discussione della questione non potrà, ovviamente, essere particolarmente approfondita. In generale, è il caso di notare esplicitamente che molte delle cose che dirò nei prossimi due capitoli sono – alcune più, alcune meno – controverse (come del resto quasi tutto in filosofia); cercherò sempre di spiegare il senso delle mie assunzioni, e soprattutto di chiarire quali siano queste assunzioni, ma è importante che il lettore tenga ben presente che quanto dirò sarà spesso soltanto la proverbiale punta dell’iceberg.
Questa avvertenza si applica, in particolare, al problema che dà al libro il suo titolo. Questo è un libro divulgativo. Il suo obbiettivo è quello di avvicinare delle persone alla filosofia. Il tema dell’uso degli esperimenti mentali in filosofia è, però, parecchio discusso, e a chi fosse interessato ad approfondire le questioni metodologiche che stanno sullo sfondo di queste pagine consiglio i libri di Adriano Angelucci e Daniele Sgaravatti e l’articolo di Margherita Arcangeli elencati alla fine del volume. A chi fosse invece più interessato ai problemi intorno all’identità personale discussi nei prossimi due capitoli, consiglio i libri di Parfit e Unger a cui devo i miei esperimenti mentali, così come quelli di Olson e Tomasetta citati nella bibliografia – dove il lettore può trovare i dettagli di tutti i lavori a cui faccio riferimento.
Infine, è importante sottolineare che questo è un libro intorno all’uso degli esperimenti mentali in filosofia. Esistono celebri esperimenti mentali anche in altre discipline, in particolare in fisica, e quello di capire quale sia il rapporto tra gli esperimenti mentali che popolano la letteratura filosofica e quelli di queste altre discipline è un interessante problema metodologico. Non è, però, un problema che verrà discusso in questo libro.
Prima di iniziare a presentare il nostro primo esperimento mentale, ci sono delle persone che voglio ringraziare. Innanzitutto, Paolo Spinicci (che mi ha incoraggiato a scrivere il libro; non era nei miei programmi, ma sono contento di averli cambiati) ed Anna Ichino (che non solo ha ospitato il libro nella sua collana, ma mi ha anche dato molti commenti utili sulla sua prima versione). In secondo luogo, Pietro Guardo e Carla Caddeo, che non solo mi hanno dato commenti dettagliati sull’intero manoscritto ma si sono anche prestati a farmi da cavie, dandomi l’opportunità di mettere alla prova la mia abilità di spiegare in maniera accessibile questioni a volte piuttosto complicate; se non fosse per loro, questo libro sarebbe molto meno chiaro di quello che è. In terzo luogo, Leonardo Maglione (i cui commenti mi hanno convinto ad essere più esplicito circa le mie idee sulla metodologia degli esperimenti mentali), Elena Bastia (per avermi convinto a cambiare il tono generale della prima parte del primo capitolo e per avermi dato l’occasione di chiarirmi le idee sul modo migliore di meccanizzare un essere umano) e tutti gli studenti che hanno partecipato attivamente al corso di filosofia teoretica che ho tenuto alla Statale di Milano nell’autunno 2018. Infine, grazie agli amici che, in varie occasioni, mi hanno ascoltato parlare di persone che si dividono: Daniela Vaccaro, Claudia Dei, Gian M...

Indice dei contenuti

  1. MIMESIS / Le scintille
  2. Introduzione
  3. Bibliografia
  4. Le scintille