L'eterna disarmonia
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L'eterna disarmonia

Suicidio e creazione dalla poesia a Lacan

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L'eterna disarmonia

Suicidio e creazione dalla poesia a Lacan

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Informazioni sul libro

Il gesto estremo del suicida, come quello del poeta, discrimina radicalmente il mondo umano da quello animale. Ma se nel primo la vita viene incenerita dal non senso, nel secondo si prolunga lo sforzo di riportare la vita dal suo abisso di non senso all'apertura misteriosa del senso. La poesia, come spiega con intensa profondità questo libro di Vincenzo Marzulli, si avvicina all'orrore della Cosa ma non si lascia pietrifi care da questo orrore. Lo trasforma in un dire che sa custodire il silenzio, senza ridursi al silenzio, che sa generare un atto senza desiderare la morte.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788857547596

Capitolo IV

Dall’angoscia all’atto creativo e ritorno



Sull’altra sponda della notte
l’amore è possibile

– portami –

portami tra le dolci sostanze
che muoiono ogni giorno nella tua memoria
Alejandra Pizarnik, L’oblio

4.1 - POESIA E REALE

Quello che si vuole tratteggiare in questo capitolo è come il tema della creatività sia fortemente antitetico alla spinta suicidaria.
Abbiamo visto come l’atto abbia qualcosa in sé del passaggio di un guado oltre il quale non si è più gli stessi di prima. Seguire la via della spinta suicidaria significa approssimarsi a qualcosa di totalmente abbagliante, il più delle volte privato di una vera soggettivazione, o almeno si fatica a reperirne una che non sia un rifiuto.
L’atto creativo invece si connota come qualcosa in linea con la soggettivazione perché punta alla circoscrizione di un vuoto, senza finirci dentro con tutte le scarpe, e soprattutto mette in gioco il desiderio di sfruttarne tutte le potenzialità rivoluzionarie, senza il bisogno di lasciarci la pelle, appunto. È la via del sapere, delle vette luminose di una significazione che punta a evidenziare quella scheggia di reale che non smette di affascinare nonché di solleticare l’intuizione ispirativa, di cui daremo una formalizzazione teorica che l’abbina al momento fecondo dell’angoscia.
Anche se di logica l’atto creativo e l’atto suicidario hanno delle corrispondenze biunivoche di rimando verso il reale, è l’etica che li divide, e, per una questione di diritto, non sono la stessa cosa.
Prenderemo dunque in considerazione l’atto creativo con un particolare accento sulla creazione poetica usufruendo delle coordinate della psicoanalisi che, come abbiamo visto, non sussiste senza etica.
La poesia è in grado di illuminare quel luogo oscuro da cui scaturisce ogni forma di creazione artistica, per il fatto che è in grado di oltrepassare le costruzioni immaginarie e simboliche per fare indicazione del reale, che più non aspira ma ispira.
La mia tesi è che questo luogo oscuro si apre quando si incontra il buco dell’angoscia e che, per farsi ispirare e creare qualcosa, bisogna rischiare di riavvicinarsi ad esso per calcolarne i confini e circoscriverne i limiti.
La poesia, quando riesce, è una vera e propria formazione della circoscrizione del reale e un facente-funzione del reale in grado di poterlo nominare, rendendo così negoziabile questo godimento con la manipolazione-passaggio (in quanto scambio) del significante che non rinvia ad altro che a se stesso nella sua materialità. L’effetto di nominazione di questo nulla, del reale che il poeta attua con l’uso della parola poetica è chiaramente un effetto di simbolizzazione che indica il reale, e funziona in un processo di andata e ritorno che provoca un cambio di prospettiva, una torsione topologica tipica delle fini analisi, dove ogni sapere un po’ si s-perde nella “moterialité200 dell’inconscio.
In questo punto di eccesso, dove le cose non si normalizzano mai, c’è uno scambio continuo tra ciò che è linguaggio e ciò che è stato perduto, si perde qualcosa per via del campo del linguaggio in cui siamo compresi/compressi e si acquisisce qualcosa di ciò che è stato perduto con la funzione della parola. Cosa abbiamo al posto di ciò che è stato perduto? Una parola, appunto, una nuova parola, una parola poetica. Una parola al posto della nostra infanzia, per esempio, per dirla con Leopardi.
L’indicibile della poesia può effettivamente mostrarsi simbolicamente perché è proprio quell’oggetto perduto, esterno al campo del linguaggio, che proprio per la sua assenza si espone nella sua concretezza reale, quindi in una ri-appropriazione poetica.

a. Poetica e poesia

Quando si parla di poetica si comprende la concezione delle peculiarità, degli strumenti e dei fini del produrre poesia o, in genere, letteratura, elaborata da un autore, da una scuola o da un movimento culturale. Se l’inconscio è strutturato come un linguaggio allora anche la poetica è strutturata come un linguaggio, perché l’inconscio è poetico. La poetica dunque è come l’inconscio, quell’inconscio strutturato come un linguaggio con le sue leggi, regole e formazioni retoriche. Per tale motivo la poetica e l’inconscio sono collocabili nella decifrabilità. L’inconscio interpretabile e la poetica hanno addirittura la stessa caratteristica omosessuale, nel senso che lavorano e si mostrano per tentare di coprire, velare e otturare una faglia al livello del linguaggio in cui operano.
L’inconscio interpretabile e la poetica hanno la funzione di supplire alla mancanza simbolica e ne rivelano inefficacemente e irreparabilmente la faglia dell’Uno inteso come illusione di fusionalità, continuando però nell’inciampo idealistico. L’inconscio è appunto omosessuale perché supplisce alla mancanza fallica, al rapporto sessuale che non c’è, e fa eco alla deriva dell’Uno fusionale in quanto tutto fallico.
Per dirla diversamente, l’inconscio interpretabile inventa delle soluzioni perché non sa fare altrimenti. Nell’inconscio non c’è iscrizione di un sapere che può dire come fare con l’altro sesso e, al posto di questa non iscrizione, si fa sorgere un simbolo, il fallo appunto significante del desiderio. Questo è ciò che del godimento sessuale può essere articolato dal lato del senso, così l’inconscio metabolizza il godimento per darne un senso tramite il fantasma nevrotico per esempio, che “è il significato accordato al godimento attraverso uno scenario. Ma anche quando questa significazione di godimento viene evacuata, il godimento resta”201, d’altronde.
C’è pertanto anche un altro ordine dell’inconscio, inteso come “taglio in atto”202, che pertiene più alla dimensione del reale, da cui sorge la spinta all’atto creativo della poesia, per esempio. Meglio poetare che ricordarsi, diceva Lacan, e questo “poetare” fa parte dell’inconscio come reale, mentre il “ricordarsi” è più dell’ordine dell’inconscio interpretabile e della sua poetica omosessuale. Le persone, dice Lacan, si orientano “verso la consanguineità, la parentela, […] il fantasma, la fissazione del godimento dell’esperienza infantile”, e si domanda: “Al posto di ricordarsi, perché le persone non diventano invece poeti?”203.
È chiaro quindi che ci si aspetta che la poesia sveli anche il suo fuori-senso, che lo sveli mascherandolo naturalmente, provando quella faglia insita nel simbolico, quel non tutto-significante che fa esperienza di un reale ispirativo.
Sfrondare questo velo del linguaggio è trovare il reale, ogni poesia è una rivisitazione-destrutturazione del linguaggio e, a questo punto, mentre l’inconscio interpretabile e la poetica tendono al ripristino del vivente che non può tirarsi indietro ed escludere la perdita, allo stesso tempo il “poetare”, dal reale ritrovato, è ciò che spinge alla creatività ex nihilo continua, ne sfrutta la perdita e, dalla cenere che ne resta, arriva a ricavare quella scintilla creativa dell’inesprimibile dell’intuizione.
L’inconscio in quanto reale, così come la poesia in quanto reale, non si preoccupano di produrre un senso né di concludere arrivando alla chiusura di una significazione. L’inconscio reale e la poesia vanno intese come inconscio nel suo prodursi e poesia nel suo svolgersi, creazione che parte, facendone parte, dal reale del taglio in atto, per continuare a farsi ispirare e soprattutto per contribuire a spargere il seme dell’intuizione ispirativa.

b. Il mistero e la poesia

L’angoscia è rivelatrice di un buco sicuramente, come vedremo, e da questo strappo del linguaggio può prendere avvio l’atto poetico che è la mobilitazione dell’angoscia nel desiderio. Dal desiderio parte lo slancio per trasmutare l’irrappresentabile di questo reale sotto una forma di beltà vestuta con gli artifici del simbolico, senza escludere il reale come buco ma, ri-creandolo, farsi ispirare in maniera continuativa.
Etimologicamente l’origine della parola “poesia” viene dal verbo greco “poièin” e significa “fare”, nel senso di inventare, produrre e creare. Ma fare cosa? Probabilmente saper fare, saper fare con le parole. Inventare e creare nuovi rapporti col mondo, nuove relazioni col simbolico per far uscire ciò che ne spariglia le carte, ricombinandole continuamente a partire dall’illuminazione misterica iniziale.
La poesia si esclude di per se stessa da ciò che comunemente fa parte del campo delle conoscenze stabilite, essa vi sfugge, anche perché le risulterebbe letale mettersi sullo stesso piano, per esempio quello della scienza o della religione. La poesia, come la psicoanalisi, è mossa dal desiderio di sapere, sapere su ciò che del mondo e del soggetto è accordato di sapere, prendendo le distanze dalla conoscenza, che possiamo dire supporto dell’io inteso come il già-conosciuto.
Essa costeggia con la parola ciò che non si può dire, la lettera come liminare dell’inesprimibile, affinché si arrivi ad istituire e restituire quel legame col mistero e il divino, quel pulsare all’unisono che li connette col reale da cui farsi ispirare.
La scienza, non tutta, ma una parte storica di essa, si dimostra insufficiente a sondare questi aspetti, tanto che in certi periodi, per esempio durante il positivismo e l’illuminismo, la parola mistero risultava cinta di superstizione, ignoranza o addirittura prendeva il senso di un qualcosa assolutamente da rigettare. Le cose misteriose in quell’epoca erano appunto tutto ciò che non poteva essere compreso dalla coscienza razionale, venivano quindi messe al bando e calunniate. Invece, come dice Mario Luzi, il mistero è proprio l’habitat del poeta, la conoscenza attraverso il buon uso del mistero è pari a “una elargizione della fede”204, che esclude l’impossibilità di un sapere per rivolgersi al sapere come impossibile.
La poesia si fonda su un ad-venire che prende slancio da un desiderio delle origini che è possibile inquadrare nel mito di Orfeo, la cui prima figura è quella del cantore supremo in grado di riunire sotto il suo canto e la sua lira tutti gli esseri presenti sulla terra, sia il mondo animale sia il mondo vegetale, e indurli a deporre ogni discordia per abbandonarsi all’incanto dell’ascolto e al pulsare del divino. Sempre Mario Luzi dice che

in ogni poesia c’è questo senso di vacanza, questo senso non di immobilità su sé stessa, ma di movimento per il rimpianto e verso qualcosa che le manca. […] rimpianto di qualcosa che non è più, […] attesa invece di qualcosa che non è ancora.205

Non più e non ancora: rimpianto e malinconia per il non più, aspetti che indagheremo rispettivamente nella poesia di Verlaine e Baudelaire per esempio; invece attesa e reinvenzione poetica, per il non ancora, le vedremo all’opera nella poetica e nella poesia di Mallarmé e Rimbaud.

c. I ritrovamenti dell’oggetto

Lacan parla di un luogo mitico identificandolo con das Ding, la Cosa nel senso freudiano, il cui oggetto è da sempre perduto e proprio per questo motivo non si tratta che di ritrovarlo.

Das Ding è proprio al centro nel senso che è escluso. Vale a dire che in realtà deve essere posto come esterno, questo Das Ding, questo Altro preistorico impossibile da dimenticare, di cui Freud afferma la necessità della posizione originaria, sotto forma di qualcosa di entfremdet, di estraneo a me pur stando al centro di me, qualcosa che a livello dell’inconscio, soltanto una rappresentazione rappresenta.206

Ritrovamenti che si tratteggiano sempre con un che di nostalgico per un’unità fantasmatica che in realtà non c’è mai stata, perché l’oggetto perduto freudiano non è mai stato perduto.

L’oggetto è per sua natura un oggetto ritrovato. Che sia stato perduto, è la conseguenza – ma a posteriori. Quindi, esso viene ritrovato, senza che vi sia per noi a...

Indice dei contenuti

  1. Prefazione
  2. Prima parte
  3. Capitolo I
  4. Capitolo II
  5. Capitolo III
  6. Seconda parte
  7. Capitolo IV
  8. Capitolo V
  9. Ringraziamenti
  10. BIBLIOGRAFIA
  11. Altro Discorso