Corpo, potere e malattia
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Antropologia e AIDS nei Grassfields del Camerun

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Antropologia e AIDS nei Grassfields del Camerun

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Con meno dell'8% della popolazione mondiale, l'Africa subsahariana comprende circa i due terzi dei casi globali di AIDS. Eppure, in Africa si sostiene che l'AIDS non esista: la sindrome è considerata un'invenzione dell'Occidente per controllare la crescita demografica del continente; oppure come nulla di diverso da condizioni sempre esistite e afferenti al campo delle violazioni dei tabù sessuali. Per comprendere i significati veicolati da tali modalità locali di costruzione culturale della realtà della sindrome occorre adottare un approccio capace di cogliere il ruolo dell'azione umana nella sua elaborazione e diffusione. A tal fine è necessario prendere le distanze dalla concezione biomedica della sindrome, mettendo in luce come essa stessa rappresenti un prodotto culturale. La malattia è sempre una realtà semantica, un fenomeno socio-culturale, e come tale impone di esaminare i processi della sua costruzione. È con questo spirito che qui si intende proporre un'analisi dettagliata delle pratiche interpretative attraverso cui l'AIDS è stato culturalmente costruito a Nso' (provincia del Camerun). Combinando un approccio interpretativo con una prospettiva storiografica e politico-economica, la malattia viene apprezzata come una specifica forma di pratica culturale in cui il personale e il collettivo, il presente e il passato, il locale e il globale sono intrecciati nell'immediatezza dell'esperienza di sofferenza. Quest'ultima emerge come l'incorporazione individuale di più ampi processi socio-politici la cui analisi rappresenta il filo rosso dell'intero volume.

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Informazioni

Editore
Meltemi
Anno
2019
ISBN
9788855191470
Categoria
Sociologia
Parte seconda
Le politiche della malattia

Capitolo quarto

Waame: la costruzione culturale della malattia

Waame

Quando giunsi a Nso’ e iniziai la mia ricerca sull’AIDS, mi trovai di fronte a una presa di posizione interpretativa da parte degli attori locali che rischiava di mettere in discussione le mie intenzioni: l’AIDS a Nso’ non esiste, mi veniva ripetuto ogni giorno. I capitoli che seguono si preoccuperanno proprio di mostrare le ragioni in virtù delle quali gli nso’ motivano un’affermazione così perentoria.
Se, inizialmente, le dichiarazioni ufficiali parlavano di una insignificante presenza dell’AIDS nel paese (come vedremo meglio nel capitolo settimo), oggi questa malattia si è fatta strada nella sfera del discorso e della coscienza pubblica. Un po’ per esorcizzarlo, un po’ forse anche per addomesticarlo, l’AIDS è stato oggetto di un creativo processo di appropriazione linguistica in Camerun: nel Nord-Ovest esso diviene seven plus one, come no go, eights nines and tens ecc. Questi sono solo alcuni dei fantasiosi risultati di questo processo di localizzazione terminologica, incentrati molto spesso sull’assonanza che in inglese si ha tra l’acronimo della sindrome e il numero otto. A Nso’ il gioco di parole viene semplicemente evocato attraverso la sua traduzione letterale e, nel dialetto locale (lamnso’), l’AIDS diventa waame, che significa, appunto, otto. È opportuno sottolineare come waame non costituisca altro che la traduzione di AIDS, e non una categoria medica locale.
In modo ancora più significativo, a Nso’ l’acronimo “AIDS” viene riformulato per rievocare un ben diverso processo patogeno, inerente alle relazioni e alle disparità fra mondo occidentale e Africa. In questo senso l’AIDS è tradotto come: American Initiative to Discourage Sex1. Le due versioni, per quanto differenti, sembrano, tuttavia, condividere una comune intenzionalità: quella di privare di fondamento l’esistenza della sindrome di immunodeficienza acquisita attraverso l’ironia o attraverso il suo inserimento in un più complesso quadro di riferimento politico.
Il primo motivo che viene solitamente invocato a Nso’ per argomentare la tesi della non esistenza dell’AIDS è quello secondo cui la sindrome non costituirebbe una novità: waame, si argomenta, è sempre esistito a Nso’, solo che veniva chiamato in modi differenti. A questo proposito il terreno si fa incerto e scivoloso: non ci troviamo di fronte a un sistema medico con le sue categorie e i suoi quadri interpretativi stabili. Siamo, piuttosto, in presenza di un processo sempre in fieri, imperniato su una condizione che pone interrogativi ineludibili e che gli attori locali cercano di riportare all’interno di una cornice di senso. Non deve stupire dunque una certa inconsistenza nelle varianti interpretative locali, indice della processualità stessa della cultura, del suo continuo creare e rivedere scenari significativi. È rispetto a questa processualità che l’etnografo deve interrogarsi, non tanto e non solo nei termini di una strategia narrativa capace di renderne conto a livello testuale, ma anche, e soprattutto, nel tentativo di cogliere i temi cui essa afferisce, le realtà vissute in cui essa è radicata e rispetto alle quali i significati sono creati nel loro incessante lavoro di costruzione di una presenza significativa in un mondo dotato di senso2. È con questo spirito che ci accingiamo ad affrontare l’analisi delle locali interpretazioni dell’AIDS, intese come strategie di costruzione, contenimento e addomesticamento della realtà nel tentativo di garantire un orizzonte rispetto al quale i soggetti umani siano capaci di essere al mondo.
Le locali categorie, mobilitate per dare realtà all’AIDS, non vanno viste come elementi di un sistema cui gli attori sociali attingono per dare senso alle circostanze storiche che si trovano ad affrontare; piuttosto, esse vengono forgiate, caricate di senso, modificate, create ex novo, in un continuo processo interpretativo radicato tanto nell’esperienza storica e sociale del regno, quanto nell’esperienza vissuta dei soggetti. Sostenere che l’AIDS non è nulla di nuovo non significa rispolverare categorie locali note al fine di rendere conto di un fenomeno, apparentemente nuovo, ma significa attivare un sapere sedimentato nell’esperienza storica, un sapere che proprio nella sua attivazione viene incessantemente (ri-)creato.
Al fine di iniziare a esplorare il locale universo simbolico dell’AIDS, in questo capitolo utilizzerò il materiale prodotto durante la ricerca a fianco tanto dei medici tradizionali (anngaashiv) di Kumbo quanto dei giovani, principale bersaglio delle accuse dei primi, come vedremo. Come emergerà in modo assai più chiaro nei capitoli successivi, le prospettive offerte da questi informatori non sono socialmente neutre. Al contrario, esse mettono in scena una visione assai parziale del fenomeno: nel caso degli anngaashiv parleremo dell’ideologia palatina dell’AIDS, nella misura in cui le loro interpretazioni della malattia sono riconducibili agli interessi sociali di quella gerarchia tradizionale che vede nel fon il suo centro di riferimento e la fonte ultima del proprio potere. Gli anngaashiv, infatti, possono essere definiti come i tecnici dell’egemonia, nella misura in cui il loro intervento mira esplicitamente a ristabilire quell’ordine morale dalla cui lacerazione, a loro detta, deriva ogni forma di sventura a Nso’. Nel caso dei giovani invece le dimensioni politiche si andranno a declinare nella loro visione del fenomeno in modo antiegemonico, configurandosi come veri e proprio atti di accusa nei confronti del potere, nelle sue diverse dimensioni: locali, nazionali e internazionali.

Kinjuume e kinsenin

A detta di molti, dunque, l’AIDS non costituisce qualcosa di nuovo: esso rappresenterebbe solamente il termine occidentale per descrivere una serie di afflizioni da sempre presenti a Nso’.
P. A. J. (Ngashiv): Ciò che voi bianchi chiamate AIDS è sempre esistito a Nso’ con il nome di kinsenin. Kinsenin indica la situazione in cui una persona inizia improvvisamente a dimagrire, si asciuga e si secca fino a morire.
S. W. T. (Ngashiv): A Nso’ l’unico modo di spiegare l’AIDS è che esso non è altro che kon e kinsenin, i loro sintomi sono infatti identici: si diventa sempre più magri, sempre più magri.
M. (Ngashiv): Prima che l’AIDS esistesse a Nso’ c’erano molte altre malattie che gli assomigliavano. Quando una persona era affetta da queste malattie, rispettivamente kon e nsela’, diventava magro magro e sempre più debole, ossia sviluppava kinjuume. Kinjuume dunque non sarebbe altro che la conseguenza di kon e nsela’.
L’AIDS non sarebbe altro che kinjuume o kinsenin, a seconda degli informatori. Questi termini si riferiscono, rispettivamente, alla consunzione del corpo e al suo indebolimento (spesso associato con l’età avanzata o con il persistere di condizioni croniche). Kinjuume e kinsenin sembrerebbero essere mere descrizioni sintomatiche, considerate equivalenti ai sintomi tipici dell’AIDS. La logica offerta da questa particolare lettura istituisce, quindi, un nesso esplicito fra la similitudine dei sintomi e l’identità delle malattie di cui sono espressione. A guidare il pensiero medico locale è pertanto una logica assai differente da quella biomedica, dove un’equivalenza di tal fatta non è certo sostenibile. Tuttavia, anche a Nso’, gli stessi sintomi possono afferire a quadri eziologici differenti: kinjuume, infatti, rappresenta semplicemente il processo di consunzione del corpo e può essere causato da una molteplicità di processi, così come kinsenin. Nel caso di waame, tuttavia, l’eziologia si configura nei termini della rottura dei tabù sessuali: kon e nsela’ sarebbero all’origine di queste afflizioni3.
S. S. (Ngashiv): Se si hanno rapporti sessuali con parenti si sarà certamente colpiti da kinsenin e kon. Allo stesso modo se un uomo ha rapporti con una donna con cui anche suo padre ha già avuto contatti, svilupperà kinsenin a sua volta, e diventerà magro, sempre più magro fino a sparire, e questo processo di essiccamento va sotto il nome di kinjuume.
P. A. J. (Ngashiv): L’origine di kinsenin è legata al fatto che si sono avuti rapporti sessuali con una sorella, oppure che si sono avuti rapporti con molte donne senza preoccuparsi di verificare con chi si stava scambiando il sangue. Queste sono le due forme in cui ciò che voi ora chiamate AIDS è sempre esistito a Nso’.
A. (Ngashiv): Nel parlare di AIDS si parla del nocciolo della tradizione, ovvero dei rapporti che regolano le relazioni familiari. A Nso’ è assolutamente proibito per un uomo avere rapporti sessuali con la moglie di suo fratello, ma se una cosa del genere dovesse accadere il responsabile morirebbe e, a meno che i dovuti rituali di purificazione non vengano fatti in tempo, il sangue si corromperà e farà ammalare i suoi figli. In questi casi, infatti, la prima cosa da fare è allontanare i bambini dall’area, fino a che i riti non siano stati eseguiti. Questo è il motivo per cui così tanti figli vanno via dai rispettivi compound e la ragione è molto semplice: la rottura del giuramento, a causa dell’atto incriminato, colpirà lo stesso sangue per cui quel giuramento era stato fatto. In questi casi kon rappresenta la malattia che colpirà le persone coinvolte, facendole dimagrire e prosciugare, e nsela’ costituisce l’atto incriminato. Per rimuovere kon dal compound bisogna eseguire un rito che pure va sotto il nome di nsela’. In altre parole kon emerge da nsela’ attraverso la secchezza del corpo e la morte dei figli del compound, così come il rituale di purificazione va sotto il nome di nsela’, perché questo è il nome del crimine da correggere.
Se per kon l’etimologia è abbastanza incerta, nel caso di nsela’ essa appare invece molto chiara: avvelenare (nser) la famiglia (la’)4. Kon e nsela’, infatti, possono essere tradotti, a seconda dei casi, tanto come incesto, quanto come adulterio, così come gli stessi termini rappresentano sia la violazione dei tabù che le sue conseguenze, nonché, nel caso di nsela’, anche il rituale con cui rimuovere la contaminazione prodotta dalla violazione.
La tipologia di rapporti descritti attraverso i termini di kon e nsela’ rinvia, principalmente, al contatto di fluidi identici: è da questa sovrapposizione di identità che emerge la contaminazione e deriva il disfacimento fisico dei responsabili e dei loro rispettivi gruppi di parentela. L’incontro di sostanze interdette produrrebbe, dunque, le condizioni che oggi a Nso’ sono considerate equivalenti ai sintomi dell’AIDS. La necessità di allontanare i bambini dai compound dove kon e nsela’ hanno avuto luogo è indice del fatto che tali atti sono forieri di sventura (lon), e quest’ultima a Nso’ è contagiosa, intacca la sostanza ancestrale dell’intero gruppo di appartenenza del colpevole: avvelenare (nser) la famiglia (la’) rinvia precisamente a questo processo di contaminazione che coinvolge tutti coloro che sono legati ai colpevoli, in virtù del fatto che condividono lo stesso sangue. Il sangue, in questo contesto, rappresenta il simbolo dell’unità familiare, e costituisce quindi un vettore di sëm, della sostanza ancestrale che fonda l’identità e l’unità del gruppo di parentela.
S. F. T. (Ngashiv): Il sangue è il simbolo di una famiglia: un compound, un lignaggio condividono lo stesso sangue, così come a un altro livello l’intera tribù ha lo stesso sangue.
Kon e nsela’ rappresentano violazioni di quell’ordine morale al cui interno è radicata la sostanza ancestrale che fonda il potenziale umano, simbolico e materiale dei gruppi di discendenza e le relazioni fra di...

Indice dei contenuti

  1. Linee
  2. Introduzione
  3. Parte prima Corpi e Storia
  4. Parte seconda Le politiche della malattia
  5. Glossario
  6. Linee