Capitolo secondo
Mappe
La descrizione topologica della dialettica centro-periferia nel sistema letterario contemporaneo pone un fondamentale problema metodologico: se l’adozione del metalinguaggio spaziale consente di basare la comparazione sul riconoscimento di dinamiche isomorfiche ricorrenti, a diverse scale e contesti, la rappresentazione di questa struttura relazionale corre il rischio di ridurre “una complessità multidimensionale in un insieme bidimensionale”, nel quale si perde l’oggetto per inseguire il modello.
L’introduzione, a partire dalla fine degli anni Ottanta, di strumenti propri della geografia negli studi culturali e letterari ha comportato l’apertura di “una finestra di collegamento transdisciplinare, che elude l’occhiuta vigilanza delle guardie confinarie delle discipline accademiche tradizionali”. Questo consente da un lato un fertile scambio di informazioni, agevolato dall’adozione del metalinguaggio spaziale, dall’altro però espone al rischio di un’entusiastica accettazione delle forme, che finisce per trascurarne i processi morfogenetici.
La sovrapproduzione di mappe e atlanti che spazializzano i fenomeni culturali, oltre alle numerosissime pubblicazioni sull’argomento fondate sulla metafora geografica, non giova alla comprensione dell’oggetto di studio, se non accuratamente inserita in riflessioni sul metodo cartografico sviluppate in altri ambiti disciplinari. Più che un’apertura transdisciplinare che sorvoli l’impostazione epistemologica di diversi paradigmi di ricerca, occorre quindi incoraggiare il dialogo interdisciplinare che integri punti di vista differenti nella ricostruzione del fenomeno indagato.
La scelta della cartografia come strumento di rappresentazione dei rapporti spaziali non è infatti priva di conseguenze sul piano descrittivo e deve pertanto innestarsi nel processo in atto di revisione critica della “ragion cartografica”.
Franco Farinelli ha sottolineato infatti come la scrittura della carta non sia solo un’operazione analogica, che attraverso una precisa simbologia mette in corrispondenza diretta lo spazio fisico di rappresentazione (una tavola, un panno, un foglio) con quello reale rappresentato, ma anche anatomica: “l’immagine cartografica […] funziona solo in quanto immobilizza il soggetto della conoscenza”. In questo modo, si costruiscono rassicuranti imagines mundi, fondate su oggettivi rapporti di scala, percorribili attraverso traiettorie rettilinee, attraversate da confini netti e costellate di nomi propri, “frutto di una sistematica falsificazione”.
Non è un caso che l’affermazione della “ragion cartografica” coincida con lo sviluppo storico degli stati nazionali e degli imperi coloniali operando una “finzione estetica che disciplina lo spazio” oggettivandolo. La riduzione della Terra a superficie piana, attraversata da linee di connessione sempre più numerose e discretizzata dai limiti giuridici di proprietà, individuale o collettiva, procede infatti da un lato alla rimozione della differenza, “sulla carta la contiguità diventa continuità e questa si trasforma in omogeneità”, dall’altro all’istituzionalizzazione dell’alterità, sancita dalla definizione di confini: “cartografare significa disegnare frontiere”. La fissazione e oggettivazione cartografica genera la “dimensione ontologica della frontiera” che da segno grafico sulla mappa diventa limite fisico, geografico e cognitivo che separa mondi percepiti come irriducibilmente diversi.
La metafora ontologica che consente di individuare porzioni di spazio sulla base della proprietà e appartenenza a una determinata “comunità immaginata”, rappresentandole sulla mappa come superfic...