Antonio Brancaforte
I.1.
La fondazione del realismo critico come assoluto realismo
Scritto pubblicato su:
«Teoresi», 1953, Anno VIII, n. 3-4, pp. 45-82.
Introduzione
Determinare l’essenza del problema critico è la premessa indispensabile alla questione di che cosa sia ciò che rende l’affermazione realistica strettamente critica, ciò che fonda e costituisce il realismo critico, ciò che fa essere insomma critico il realismo.
È opinione (non esiteremmo a dire illusione) di molti realisti che per instaurare il realismo critico strettamente detto basti affrontare il problema critico come il problema della indagine sulla conoscenza intesa come pura riflessione del soggetto conoscente sull’atto del conoscere per giudicare del valore oggettivo della conoscenza e delle possibilità e limiti del sapere umano, ammettendo però fin dall’inizio l’esistenza in sé della realtà extra-mentale come un dato di fatto indiscutibile di fronte al conoscere e disconoscendo o addirittura negando la razionalità e il valore della richiesta critica della filosofia moderna che è richiesta della fondazione dell’affermazione realistica in base e in ordine al fatto del conoscere.
Così ad esempio Régis Jolivet in
«Le Thomisme et la Critique de la connaissance» (<Desclée de Brouwer,> Paris, 1933) afferma: «De ce point de vue, indiscutable, on peut et l’on doit conclure que le réalisme thomiste n’est pas un réalisme critique, c’est-à-dire une doctrine qui pretende établir, à partir de la pensée, la réalité d’un univers indépendant de la pensée. On dirait avec plus d’exactitude que le réalisme thomiste n’est pas critique en ce sens. Or, si le réalisme thomiste n’est pas critique en ce sens, ce n’est pas seulement parce que, la critique étant ainsi conçue, il n’y a pas de réalisme possible, mais surtout parce que le problème critique n’est pas pour lui le problème de l’existence d’un univers extra-mental» (pag. ٣١).
Per il Jolivet, dunque, il probema «de l’existence de choses independantes de l’esprit» non può in alcun modo porsi: è contradittorio e assurdo perché ciò che noi conosciamo è necessariamente l’essere. Ma egli non scorge appunto che tutta la questione sta nel dimostrare perché l’essere, oggetto della conoscenza, sia l’essere reale e non l’essere ideale: dimostrazione che è poi in ultimo la fondazione del realismo. Egli conviene che la presenza dell’essere al pensiero ne è la condizione e la base necessaria, ma si lascia sfuggire proprio il valore e il significato del riconoscimento di tale necessità. Per lui il vero problema critico consiste non nel cercare l’esistenza, «mais le rapport du réel à la pensée, donnés tous deux dans la réflexion sur l’acte méme de connaitre»: che è precisamente ciò che noi intendiamo negare come problema.
Insomma, per il Jolivet e con il Jolivet per parecchi altri realisti neo-tomisti, ciò che distingue il realismo dal non realismo è il presupposto dell’esistenza della realtà extramentale: presupposto che in nessun modo va messo in discussione né come fatto né come valore di necessità. In altre parole il realismo per loro o è immediato in questo senso o non è realismo; e noi tradurremo forse più esattamente: il realismo per loro o è dogmatico o non è realismo.
Non si può dire infatti di avere superato, di essere usciti in qualche modo dal dogmatismo finché non si sia data la giustificazione dell’affermazione dell’esistenza della realtà in sé in base al riconoscimento della sua necessità assoluta perché si dia conoscenza. Noi concediamo, anzi insistiamo, che non si può mai e poi mai raggiungere la realtà partendo da un pensiero che sia puro pensiero ossia per meglio dire da un pensiero già a priori vuoto di essere, escludente l’essere. È chiaro infatti che un tal pensiero preso come punto di partenza non condurrebbe alla giustificazione dell’affermazione realistica, non potrebbe mai condurvi. Se dal pensiero non si esce, da un pensiero concepito come tutto vuoto di essere non si potrà uscire e quindi mai si potrà parlare di essere.
Ma è poi legittimo concepire il pensiero come un tale pensiero?
Non solo infatti un pensiero così concepito sarebbe un pensiero aprioristico (perché solo a priori, astrattamente, si potrebbe così concepire), ma – quel che è più – sarebbe un pensiero irreale, fantastico, non sarebbe il pensare autentico, il nostro attuale pensare. E finalmente poi sarebbe un nulla di pensiero, la negazione stessa del pensiero. Questo è il motivo fondamentale, il leit-motiv, se così si può dire, dell’autocritica dell’idealismo.
Ma non possiamo concedere per questo che l’essenza o l’oggetto formale della critica, come si esprime il Jolivet, «l’objet formel de la critique», sia il valore oggettivo della conoscenza, preso in un significato che esclude assolutamente il problema dell’esistenza della realtà indipendente dal pensiero. Noi neghiamo insomma che «la critique étant ainsi conçue, il n’y a pas de réalisme possible».
Non solo neghiamo, ma asseriamo addirittura che solo se la critica è così concepita si può fondare davvero criticamente il realismo.
Il problema critico quindi è per noi essenzialmente specificato da una questione più profonda e più radicale, una questione che involge poi quella appunto che molti, troppi realisti neo-tomisti hanno voluto escludere. E, sia detto fra parentesi, questa esclusione li ha separati, li ha radiati in un certo qual modo dal corso storico della filosofia, isolandoli e impedendo loro di influire attualmente direttamente sulla filosofia moderna e contemporanea.
Una posizione più radicale e, ci si lasci dire, più rischiosa del problema critico li avrebbe avvicinati ai moderni e immerso più profondamente nella nostra storia.
1.1. Critica del problema critico come problema del valore oggettivo della conoscenza in quanto rappresentazione
Per il Jolivet dunque e per gli altri che più o meno si avvicinano a lui bisogna presupporre come un dato di fatto indiscutibile l’esistenza della realtà extramentale e porre il problema critico come il problema del rapporto fra questa realtà e la nostra conoscenza, fra la realtà come è in sé e la realtà come è rappresentata da noi.
In altre parole il problema si dovrebbe porre in questi termini:
«Esiste la realtà in sé, indipendente dal pensiero. Noi la conosciamo. Ora la realtà come è conosciuta da noi in che rapporto sta con la realtà come è in sé? Qual è il valore oggettivo della nostra conoscenza intesa come rappresentazione?».
Ora il problema del valore oggettivo della conoscenza così come è posto e nei termini in cui è posto a noi sembra uno pseudo problema o meglio u...