Il disegno selvaggio
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Il disegno selvaggio

Un'antropologia del grafismo infantile

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Il disegno selvaggio

Un'antropologia del grafismo infantile

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Un antropologo studia sul campo una strana tribù: i bambini di una scuola dell'infanzia. In particolare, cerca di capire come questi utilizzino spontaneamente e per i propri scopi uno strumento di comunicazione a loro congeniale, il disegno. Evitando estetiche primitiviste e valutazioni psicologico-cognitive, l'analisi fa emergere, con uno sguardo relativista, come i bambini attraverso il disegno agiscano in modalità peculiari, con precise intenzioni, nel loro mondo sociale: comunicare la propria identità, mettersi in relazione con il contesto, dare vita a giochi che nascono nell'immagine, negoziare e stabilire relazioni sociali. Per cogliere quindi il significato di un disegno è necessario valutarne le condizioni di produzione e comprenderne l'uso all'interno del gruppo. In questo testo, si propone una selezione di strumenti interpretativi per analizzare la complessità e il significato del disegno infantile colto nel suo stato "selvaggio".

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Informazioni

Editore
Meltemi
Anno
2019
ISBN
9788855191685
Categoria
Antropologia
Capitolo primo
L’identità nel disegno
I.1. Verso una pragmatica del disegno infantile
Per noi il significato di ogni parola, frase o espressione significativa è l’effettivo cambiamento determinato dall’espressione nel contesto della situazione a cui è legata.
Bronislaw Malinowski, Coral Gardens and Their Magic31
Matteo (5 anni) mi regala questo disegno: una piccola casetta situata su un bel prato verde, sovrastata da un limpido cielo azzurro. Indica con il dito il prato e dice che “le case stanno per terra, dove poi ci camminano i bimbi.”
La spessa linea verde che rappresenta il prato e quella azzurra che sta per il cielo delimitano e, contemporaneamente, creano il mondo d’immaginazione nel quale quella casa esiste e dove “i bimbi” cammineranno. Conferiscono concretezza a un luogo esistente solo nel rapporto tra il disegno e la fantasia del bambino. Forniscono i riferimenti attraverso il quale potranno trovare un orientamento le azioni che si svolgeranno all’interno della narrazione prodotta dal bambino a partire dal suo disegno. La delimitazione visiva di un regno di fantasia nel quale il bambino muoverà i suoi personaggi costruisce il contesto all’interno del quale il disegnatore conduce chi osserva il suo disegno. Nello spazio immaginato, i partecipanti a questo viaggio fantastico dispongono di mezzi di orientamento. Il riferimento a un alto, un basso, una destra, una sinistra o ad azioni, direzioni e posizioni,32 può derivare dall’inserimento nel disegno di riferimenti, come nel caso di Matteo; o viene inferito dal modo in cui gli oggetti stanno all’interno dello spazio del foglio; oppure si posiziona tramite la relazione che intercorre tra le parole pronunciate mentre l’immagine viene prodotta o fruita e l’immagine stessa; o ancora è definito da una serie di regole costitutive, consce e inconsce, che reggono il “gioco” del disegno. In qualsiasi modo questo avvenga è sempre necessaria una proiezione di un corpo o, meglio, di un’immagine corporea tattile33 all’interno dell’immagine per cui l’orientamento, l’indicazione di direzioni e posizioni, e lo svolgimento di azioni assumono significato. Il filosofo e psicologo Karl Bühler definisce questa modalità d’indicazione come deissi fantasmatica, ovvero quel tipo di posizionamento che avviene all’interno di immagini mnestiche (i ricordi) o nei mondi di fantasia (ad esempio i romanzi).34 Per situare le azioni di un personaggio di un romanzo occorre disporre di riferimenti fantasmatici che si riferiscano alle direzioni relative alla proiezione del corpo di chi legge nel mondo narrativo creato dall’autore. Solo proiettando la propria immagine corporea sulla strada percorsa dal protagonista del romanzo possiamo capire cosa significhi udire un rumore di passi sempre più incalzante alle proprie spalle e correre per cercare un nascondiglio laggiù tra gli alberi.
Il posizionamento e l’inquadramento in un contesto non procede solo all’interno del campo immaginario del disegno, ma anche nell’evento concreto del disegnare. Il soggetto che indica qualcosa nel mondo del disegno o fornisce i riferimenti per orientarsi al suo interno è esso stesso inserito in un contesto fatto di atti locutori e grafici (il parlare e il disegnare) situati e in relazione con altri soggetti e l’ambiente circostante. Questo è lo spazio in cui si esplicano l’azione comunicativa e i processi cognitivi e sociali insiti nel disegno, in cui i procedimenti di indicazione, di riferimento, di identificazione o di rappresentazione presenti nel disegno hanno luogo e in base al quale traggono validità. Karl Bühler propone di chiamare questo spazio il campo d’indicazione: “qualcosa di più dei gesti o dei termini d’indicazione, in quanto ne è la base comune, il ‘campo’ appunto nel quale essi possono germogliare e svilupparsi”.35 A conferire un ordine e un parametro di riferimento a questo campo è l’atto comunicativo compiuto da un soggetto, in un dato momento, in un certo luogo.
Due linee perpendicolari intersecantisi tra loro ci indicano un sistema di coordinate, in cui O costituisce l’origine, il punto da cui si dipartono le coordinate.
Sostengo che si deve sostituire la O con tre termini d’indicazione, se si vuol rappresentare con questo schema il campo d’indicazione del linguaggio umano. Tali termini d’indicazione sono: qui (hier), ora (jetzt) e io (ich).36
Così Bühler posiziona l’origine di un sistema di riferimento cartesiano centrato sul parlante (o, nel nostro caso, sul bambino che disegna). Ogni atto deittico, ossia ogni riferimento al posizionamento di se stesso, degli altri, delle cose o delle azioni assume senso, di volta in volta, a partire dall’origine degli assi che organizzano il campo d’indicazione: io, qui, ora.
È proprio attraverso...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione
  2. Capitolo primo L’identità nel disegno
  3. Capitolo secondo Grafismo infantile e teorie del dono
  4. Capitolo terzo I fragili mondi possibili del disegno: grafismo e gioco
  5. Capitolo quarto Il disegno come mediatore delle relazioni sociali
  6. Conclusioni
  7. Ringraziamenti
  8. Bibliografia