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Una squadra di giornalisti provenienti dalle principali realtà d'informazione del nostro paese – da "Report" a "Piazzapulita", da "Presadiretta" a "Nemo", dal "Corriere della Sera" a "L'Espresso" – racconta in questo volume i casi che hanno segnato l'Italia degli ultimi anni. Gli integralisti di casa nostra, i ciarlatani della salute, le infiltrazioni mafiose e molto altro. Ogni capitolo del libro riapre una pagina di attualità, ricostruita come nella miglior tradizione del giornalismo d'inchiesta.

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Informazioni

Editore
Meltemi
Anno
2018
ISBN
9788883538469
Categoria
Sociologia

Meltemi editore
www.meltemieditore.it
Isbn: 9788883538469
© 2018meltemi press srl
Sede legale: via Ruggero Boscovich, 31 – 20124 Milano
Sede operativa: via Risorgimento, 33 – 20099 Sesto San Giovanni (MI)
Phone: +39 02 22471892 / 22472232

Prefazione
di Riccardo Iacona




Non c’è intervista che mi abbiano fatto che non sia terminata con la fatidica domanda sul futuro del “giornalismo di inchiesta”: sta morendo, se ne fa troppo poco, è troppo scomodo e per questo lo praticano in pochi? Io rispondo sempre che il “giornalismo di inchiesta” è in splendida forma e questo grazie ai suoi tanti egregi interpreti. Non solo. Dovunque si palesi, all’interno di programmi televisivi, nelle pagine dei giornali, persino nei telegiornali e nei flussi comunicativi paralleli dei social, è sempre solo il “giornalismo di inchiesta” che fa la differenza, che dà spessore al racconto e aggiunge contenuti, conoscenza al racconto della realtà, riconsegnandocela in tutta la sua ricchezza, nei mille colori che la disegnano, più vera del vero. Sì, perché questo succede quando una storia viene attraversata dal giornalismo di inchiesta: la capiamo come non avremmo mai potuto prima, ma soprattutto la viviamo, come se fosse la nostra storia, la storia di tutti. Ecco perché lavorare nelle fabbriche e nelle botteghe artigianali che ancora producono inchieste e reportage significa stare nella Formula 1 del giornalismo, interpretarlo nel più alto modo possibile. Le storie che seguono sono, da questo punto di vista, un esempio straordinario di quanto in profondità si possa andare con il metodo dell’inchiesta. A raccontarle sono giovani “inchiestisti di professione”, ostinatamente attaccati al giornalismo di inchiesta, anche se si lavora a partita iva, senza contratto giornalistico e comunque legati a un editore con contratti a termine. Andateli a leggere i loro curriculum, alla fine del libro, notate le redazioni per cui hanno lavorato, i temi che hanno affrontato, i premi che hanno vinto e capirete subito che è gente che questo mestiere se l’è conquistato sul campo, con le unghie e con i denti. Molti di loro li conosco di persona, li ho visti crescere nella mia e nelle redazioni dei programmi giornalistici. Hanno la stessa mia radicale passione per un racconto esteso, che ti riconsegni alla fine qualcosa in più della semplice cronaca dei fatti; amano i contesti, lo spazio che attraversano; guardano al tempo prima, al contesto storico dove i fatti prendono vita, ma sanno gettare uno sguardo anche verso il futuro; pensano che le persone che incontrano non siano delle semplici comparse, utili al racconto, ma il corpo e il sangue delle nostre vicende, senza il quale il nostro lavoro perde di senso. Preparatevi quindi a una profonda ed emozionante immersione dentro il nostro Paese. Attraverserete i grandi quartieri di edilizia popolare di Napoli, dove a sostituire lo Stato e le sue amministrazioni è la camorra; vivrete nelle corsie degli ospedali le storie di chi ha preferito morire per seguire le cosiddette “cure alternative”, un fenomeno per nulla minoritario che sta mettendo a rischio nel Primo mondo il rapporto di fiducia tra scienza, medicina e opinione pubblica; sentirete per la prima volta le parole di un cittadino italiano che è diventato un islamista radicale per nulla “riluttante”; entrerete dal basso dentro le segrete stanze della massoneria, che tanto inquinano il sistema democratico del nostro Paese; scoprirete gli incredibili dettagli dell’opera pubblica più faraonica e più discussa del Paese, quella del Mose; valuterete l’efficacia delle politiche economiche di assistenza alle imprese che negli ultimi quindici anni hanno riempito di soldi le imprese private, in cambio di un segno più sull’occupazione che non si è avverato; leggerete nelle sentenze di assoluzione quanto sia diventato difficile nel nostro Paese indagare e condannare per mafia i nuovi protagonisti dell’universo mafioso nazionale e internazionale; e a proposito di mafia vivrete da vicino gli orrori perpetrati dalla mafia nigeriana in Italia e infine avrete la possibilità di comprendere quanto gli affari e gli interessi geopolitici abbiano interferito nell’accertamento della verità sul caso Regeni, con uno sguardo internazionale prezioso per comprendere una vicenda così terribile nella sua dinamica, ma così complessa da decifrare. Insomma, preparatevi a una bella ventata di aria fresca, piena di colori e contenuti. Precisamente, niente di più e niente di meno che “giornalismo di inchiesta”!

Casa Nostra
di Antonio Crispino




È la primavera del 2014. Carmine e Maria si sono sposati da poco. Lei diciassette anni, lui ventuno. Aspettano il primo figlio. I pochi soldi nel portafogli sono quelli che guadagna lui. Fa il fruttivendolo ambulante. Con l’Ape calessino di suo zio (l’uomo che l’ha adottato dopo la morte dei genitori) gira per i rioni popolari dell’area orientale di Napoli.
La cerimonia nuziale è stata spartana, il massimo che si potevano permettere. Bouquet di fiori all’ingresso del palazzo, tre guantiere di pasticcini per gli amici e i vicini, bomboniera con i confetti al cioccolato, come impone la moda degli ultimi anni. Vestito bianco lungo con un accenno di scollatura lei, completo blu luccicante lui. Fotografo, batteria di fuochi d’artificio e cantante, rigorosamente neomelodico, sono state le spese maggiori. Dopo i festeggiamenti ognuno è tornato a casa sua. Dallo zio lui, dai genitori lei. Il letto matrimoniale lo hanno visto solo nel breve periodo che lo zio è stato ricoverato per un infarto in ospedale. E in quei giorni è stato concepito Antonio, sanno già che lo chiameranno così. È il nome del papà di Carmine, faceva il muratore, è precipitato da un’impalcatura. Ironia della sorte, stava costruendo case popolari. Sperava che in una di queste case potesse entrarci il figlio. Quattro chiacchiere con l’imprenditore, la promessa che avrebbe parlato con l’assessore, poi il direttore dell’Istituto delle case popolari e chissà…
Dal giorno del funerale Carmine si è messo l’animo in pace.
“C’arranggiamm Marì, in una maniera o in un’altra la troviamo una casa”.
Carmine è cliente fisso in Comune, ufficio Politiche per la Casa. E anche del sindacato degli inquilini.
Il sindacato dell’Unione Inquilini di Napoli non è solo un sindacato. È un circolo, una sagrestia, un confessionale. Si trova in uno stanzino al piano terra in un palazzo di periferia, a Mianella, un fortino della camorra. Non ci sono arredi, non ci sono sedie intere, non ci sono scaffali, se non qualche mensola traballante. Non c’è il bagno.
In un angolo, anche d’agosto, c’è un presepe con i pastori di plastica. Su una parete, tutta rossa, la scritta “Unione Inquilini”. Appoggiati ai muri decine di fascicoli e cianfrusaglie. In parte sono gli avanzi delle manifestazioni di piazza. È facile rinvenirli nelle poche fotografie appese alle pareti. Tutti cortei per l’emergenza abitativa. Il resto del locale è umidità, crepe e una finestrella che affaccia sul cavedio. Sono venti metri quadri con solo una scrivania, se si può chiamare così, e un computer portatile. A batterci le nerborute dita sopra c’è Domenico Lopresto, per tutti è Mimmo. Mani da operaio, non da impiegato. Davanti a quella scrivania ogni sera, dalle sei a notte inoltrata, passa tutta un’umanità sconosciuta alle statistiche. Sfrattati, abusivi, protestati, occupanti, disperati, vedove, vessati, analfabeti, tossici. Tutti con il solito rosario di richieste finalizzate a trovare un modo ...

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