I.
Vero e non-vero in Adorno
fra critica, ideologia, musica, utopia
So you rely on my faith in your kind
Or rather continue to pretend that I’m blind. […]
I’ve been blessed with eyes to see this
Behind the unwhole truth you hide.
Mad Season
I’m Above
1.
Come si è già accennato nell’Introduzione, l’idea che fenomeni, momenti o aspetti della realtà non-veri (o, più precisamente, non completamente veri, non interamente veri) possano cionondimeno essere dotati di un senso, di un valore e, soprattutto, di un contenuto di verità, di un Wahrheitsgehalt, rappresenta una delle tesi fondamentali del pensiero di Adorno. Là dove, usando l’espressione “tesi fondamentali”, non voglio certamente alludere qui a una sorta di radicamento della concezione filosofica adorniana in un qualsivoglia fondamento ontologico, cosa che sarebbe quanto mai azzardata e, anzi, inappropriata nel caso del pensatore forse più strenuamente anti-ontologico di tutto il Novecento. Un pensatore, Adorno, che mirava proprio a sviluppare “una critica al concetto di fondamento” e che forse più di ogni altro si è sforzato di trarre le conseguenze ultime e più radicali dall’assunzione di un atteggiamento anti-fondazionalista (e, per questo, anche anti-fondamentalista), rifiutando sempre e a qualsiasi livello l’idea stessa di dover fondare il pensiero su un qualsivoglia primum, ma senza per questo scivolare mai nel relativismo, anzi combattendo con egual tenacia anche quest’ultimo e facendosi dunque carico con coerenza del senso di vertigini filosofiche che una tale dinamica speculativa non può non suscitare.
Né tantomeno, usando la succitata espressione “tesi fondamentali”, è mia intenzione alludere qui a un qualche contenuto ben preciso e ben delimitato della filosofia di Adorno. Piuttosto, usando quell’espressione s’intende qui far riferimento a ciò che definirei una sorta di forma o struttura di pensiero di base (in questo senso “fondamentale”) che, a ben vedere, è dato ritrovare a vari livelli in molti aspetti della vasta, poliedrica e multiforme produzione intellettuale di Adorno. Adorno che, com’è noto, oltre che filosofo fra i più importanti del Novecento, è stato anche sociologo, musicologo, compositore egli stesso, e poi critico della cultura e della letteratura, e molto altro ancora, con una capacità di sviluppare conoscenze e competenze specialistiche in campi diversi fra loro, e di sviluppare poi un’acuta compenetrazione fra tali conoscenze e competenze in un quadro di pensiero unitario, che è davvero rara in un mondo, come quello contemporaneo, incessantemente tendente a una progressiva settorializzazione del sapere.
Sintetizzando molto ciò che avremo modo di esaminare e discutere in modo approfondito più avanti in questo capitolo, e che avremo modo poi di esemplificare in modo concreto attraverso precisi riferimenti a singoli temi o autori negli altri capitoli, possiamo anticipare già qui che nel caso di Adorno la polarità tra vero e non-vero può essere tradotta – perlomeno a un primo livello di analisi e, dunque, senza pretendere di ridurre l’intera tematica della verità solo a questo – nei termini della dicotomia fra il critico-negativo e l’ideologico-affermativo. O, più precisamente, nei termini della loro relazione oppositiva, intesa in senso dialettico – il che vuol dire non come contraddizione astratta, in cui i due poli si annullano l’un l’altro, ma come compartecipazione reciproca dei contraddicentesi. Là dove, sulla base di quella che possiamo chiamare la concezione adorniana della verità, la sua concezione in quanto autentico “teorico della verità” (concezione abbastanza chiaramente desumibile dai suoi scritti pur mancando in Adorno uno scritto specificamente intitolato al problema della verità, a differenza che in molti altri filosofi del Novecento: da Heidegger a Jaspers, da Austin a Dummett, da Davidson a Rorty e tanti altri ancora), va aggiunto che il livello o momento critico nel proprio modo di comportarsi e atteggiarsi nei confronti della realtà non può essere disgiunto in Adorno dal livello o momento utopico. E là dove quest’ultimo, per parte sua, va inteso come essenziale, ineliminabile elemento aggiuntivo (il tema dell’“aggiuntivo”, del das Hinzutretende, essendo in sé di fondamentale importanza per la sua dialettica negativa) del pensiero genuinamente e radicalmente critico in quanto tale. Ciò, perlomeno, se quest’ultimo vuol evitare il pericolo, magari solo recondito ma in ogni caso esiziale, di fossilizzarsi, chiudersi e accontentarsi di una qualche “datità”, di un qualsiasi “già-dato”, di soffocare o anche solo sopire la propria spinta alla critica incessante dell’esistente, del vigente, di ciò che è, e di soffocare per questo la propria intima tendenza a pensare in modo aperto, in direzione del non-ancora-esistente ma purtuttavia possibile, fosse pure mantenendosi per ciò in un precario e oscillante equilibrio come un acrobata sul filo del paradosso.
Com’è stato notato in relazione a ciò, e precisamente in relazione al ricco e sfaccettato (e non sempre del tutto chiaro, ma non per questo banalmente confuso) concetto di verità di Adorno, la conoscenza da un lato deve certamente cogliere “ciò che è” ma dall’altro non deve accontentarsi di questo, o meglio deve operare un tale coglimento di ciò che è “alla luce di ciò che potrebbe essere”, del potenziale implicito e ancora inespresso presente nel reale che, se opportunamente liberato, potrebbe condurre alla trasformazione radicale di quest’ultimo. Da una parte, quindi, “la pretesa di verità del pensiero” adornianamente intesa “non è altro che una variazione sul tema della pretesa di verità della teoria della corrispondenza” (al punto che Adorno, per Gerhard Schweppenhäuser, sarebbe “un teorico della verità come corrispondenza, per quanto egli abbia ripetutamente ribadito il suo giudi...