Capitolo secondo
Esperienze di incontro ai confini del quotidiano
Promuovere un ascolto sensibile in un percorso di cittadinanza responsabile
Sguardi Oltre racchiude vari aspetti di una prassi di ricerca basata sull’ascolto: il rapporto di mutua collaborazione fra i soggetti coinvolti (insegnanti, studenti, educatori); la connessione fra teoria e pratica; la figura del ricercatore collettivo (tutti i soggetti sono esperti e attori del processo formativo); la concezione della ricerca non più come strumento neutro ma come agente di cambiamento che promuove l’autorialità dei soggetti coinvolti per la risoluzione pratica di problemi e l’attenzione alla prospettiva storica ed ecologica di analisi.
Si tratta dunque di sostenere una modalità di ricerca e intervento che rispetti ed enfatizzi la centralità della relazione tra persone, tra persone e cose, tra persone e ambiente, e che promuova una pedagogia sempre più svincolata dall’idea che gli studenti siano recettori passivi, “contenitori vuoti da riempire” e dalla dicotomia “insegnante-studente.” Tutto ciò con l’obiettivo di favorire l’espressione dei soggetti e la circolarità dei rapporti.
In particolare, nel progetto Sguardi Oltre, ci siamo avvicinati ad un metodo che per alcuni versi ricorda la ricerca-azione a dominanza esistenziale. Questa metodologia prevede la compartecipazione dei soggetti coinvolti e la prospettiva di un cambiamento attraverso l’autoanalisi riflessiva della pratica educativa da parte di tutti i soggetti coinvolti nell’esperienza. La conoscenza e l’azione sono le finalità del gruppo che sceglie di “essere in ricerca” per favorire un cambiamento.
Essere in un gruppo di ricerca con studenti, insegnanti, genitori, dirigenti, significa costruire insieme un percorso di cittadinanza attiva per co-produrre consapevolmente una trasformazione di una situazione cristallizzata o considerata “problematica” dal gruppo. Il cambiamento non è da riferirsi esclusivamente ad una dimensione psicologica individuale del soggetto coinvolto, e collettiva del gruppo, ma anche e soprattutto ad una dimensione pratico-professionale.
Ora, benché gli obiettivi iniziali del progetto fossero quelli espressi nel corso dei primi incontri di co-progettazione da diversi insegnanti e genitori – quali lotta al bullismo, a varie forme di dipendenza, ad anoressia ecc. –, di fatto, come abbiamo già anticipato nel corso del capitolo precedente, i reali bisogni dei giovani partecipanti hanno potuto emergere, come solitamente avviene nella ricerca, solo nel corso dell’intervento e in modi sensibilmente differenti rispetto alle premesse iniziali poste dagli adulti. Per tale ragione, dopo una fase strutturata di avvio del progetto, sono stati individuati i contenuti e i temi da affrontare unitamente alle forme di comunicazione da adottare con tutti i partecipanti alla ricerca, conseguenza di quanto emerso di volta in volta nel corso dell’esperienza. L’apertura all’imprevisto della modalità educativa adottata ha accresciuto la capacità di apprendimento e ha facilitato da parte dell’etnografa la scelta di una serie di “viaggi possibili” all’interno di una cornice strutturata. Non si tratta di un percorso facile in quanto implica il dover fare i conti con una serie di inevitabili ostacoli che si presentano nel corso del suo svolgimento. Il rischio di esporsi a un eventuale fallimento è infatti qualcosa con cui fare i conti sin dai primi passi dell’iniziativa. L’assunzione di responsabilità da parte di ciascun partecipante evita che la delega del progetto venga assunta interamente dalla ricercatrice antropologa. È infatti fondamentale, pena il fallimento della ricerca, che tutti i soggetti si facciano carico della loro responsabilità, che è poi quanto la modalità di intervento richiede.
Apprendere a stare nell’esperienza: il valore dell’incertezza
Pur prevedendo, di fatto, una traccia di partenza molto chiara e strutturata, l’apertura all’imprevisto che caratterizza la ricerca può cozzare con modalità di insegnamento rigide, rodate e preordinate che provocano forte resistenza da parte del corpo docente. Inoltre, essendo ogni percorso esposto a incidenti e criticità (che sono al contempo la risorsa del progetto) possono insorgere difficoltà che, in certi casi, impediscono il proseguo del percorso. Può capitare, infatti, che lo scambio conoscitivo e produttivo non sia tra le aspettative degli educatori, bensì che essi chiedano linee guida progettuali già definite a priori. In tal caso, manca fatalmente il terreno per costruire un processo di ricerca aperto all’imprevisto, che faciliti una sintonizzazione costante con gli eventi e gli eventuali bisogni che emergono dai soggetti coinvolti. Per questo, la ricerca può riuscire soltanto se, nel corso del tempo, si accrescono la collaborazione e la fiducia reciproca tra i vari partecipanti:
Mi ha colpito il fatto che anche la prof.ssa Bonetti non sapesse quale era l’obiettivo finale, dove stessimo andando. Questo mi ha colpito, perché […] mi sono resa conto che per lei è stata una costruzione in itinere. La cosa che mi è piaciuta di più, e che ho trovato significativa, è stato il fatto che lei e i suoi collaboratori – quindi voi – riescono ad essere molto flessibili. No? Creativi. Da ogni risposta dei ragazzi si fa il passo successivo, si pensa al passo successivo. Ma senza averlo preventivato. Quindi lì per lì, sulla base delle loro risposte, delle loro reazioni, uno inventa la tappa. È molto bella questa cosa, perché io invece ho bisogno… forse sono rigida in questo senso… ho bisogno di avere un po’ l’idea già fissata in partenza. E quindi questa cosa mi ha colpito positivamente e mi ha portato a essere anch’io un po’ più flessibile e a ragionare in base alle loro risposte. E il fatto di far intervenire in questo modo anche la bottiglia, la tecnologia...