Teoria del silenzio
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Teoria del silenzio

Esperienza originaria e linguaggio a partire da Giambattista Vico

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Teoria del silenzio

Esperienza originaria e linguaggio a partire da Giambattista Vico

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Teoria del silenzio è osservazione dell'orizzonte dell'apparire. L'esperienza originaria del linguaggio è sconcerto per un silenzio dinnanzi al quale il cuore dell'umanità ancora non del tutto umana si spaura. Tale esperienza è quella dissotterrata da Giambattista Vico nella preistoria dei tempi oscuri. L'indagine vichiana suggerisce come la ragione metafisica nasca per esorcizzare l'angoscia del silenzio, inseguendo il mito di realtà e significati determinati. Il pensiero di Emanuele Severino offre qui una prospettiva rigorosa per mettere a fuoco l'aporia fondamentale che accompagna tale mito e la prospettiva di un suo possibile risolvimento. Superare il mito del determinato significa non solo ripensare il rapporto tra silenzio e linguaggio, ma iniziare a intravedere la struttura dell'apparire, e come da questa emerga la struttura del contenuto dell'apparire stesso: infinito complesso dispiegarsi.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788857570105
1.
Silenzio della quiete
La condizione di possibilità per fare un qualsiasi passo avanti nella comprensione del fenomeno del linguaggio è la capacità di fare anzitutto un passo indietro rispetto alle comuni assunzioni e presupposti che circondano tale fenomeno.
In cammino verso il linguaggio è il titolo emblematico con cui Martin Heidegger raccoglie alcuni dei suoi sforzi per pensare il fenomeno del linguaggio in modo originario e libero. Heidegger realizza come la gran parte della riflessione occidentale sul linguaggio, da Aristotele a von Humboldt, si sia mossa all’interno di un paradigma antropocentrico. Il linguaggio è stato pensato come una creazione umana a servizio degli uomini. Per Aristotele, il linguaggio è un mezzo per esprimere le affezioni e idee della mente, le quali riflettono la natura delle cose esperite nel mondo. Per von Humboldt, il linguaggio è il mezzo con cui l’individualità umana esprime sé stessa. Nonostante le differenze, Heidegger riscontra una convergenza di fondo nell’approccio strumentale con cui viene pensato il fenomeno dell’avere e dare parola14. La problematica che Heidegger deriva da questa constatazione può essere riassunta in un dilemma: se si pensa il linguaggio nei termini della metafisica occidentale (da Aristotele a von Humboldt) si perde il fenomeno autentico del linguaggio come linguaggio; se si cerca il fenomeno autentico del linguaggio al di fuori dell’orizzonte della metafisica occidentale, ci si imbatte in qualcosa di difficilmente articolabile e dicibile. Tra le due alternative, Heidegger segue la seconda e sfida l’indicibile.
La prospettiva metafisica che riduce il linguaggio a puro strumento tecnico di comunicazione non rende ragione della possibilità stessa per il linguaggio di dire qualcosa ed esserci come tale. Discutendo le potenzialità e intenzioni del linguaggio poetico, Heidegger commenta:
La poesia di Trakl canta il canto dell’anima che, “straniera sulla terra”, peregrinando, conquista la terra come patria più quieta della stirpe che ad essa fa ritorno. Fantasticheria romantica, lontana dal mondo tecnico-economico della moderna civiltà di massa? O, piuttosto, lucido sapere del “folle”, il quale altro vede e pensa che non i cronisti dell’attualità che si esauriscono nella cronaca degli avvenimenti del presente, che conoscono solo un futuro oggetto di previsione e di pianificazione, semplice prolungamento del momento attuale, un futuro in cui non si profila l’avvento di alcun destino-destinazione che riguardi l’uomo in ciò che rappresenta l’origine del suo vero essere?15
Heidegger pone qui l’alternativa tra due modi opposti di intendere e ascoltare il linguaggio. Da un lato c’è il sentiero dischiuso dal linguaggio poetico, capace di dire qualcosa che suona indeterminato, forse vago, ma carico di senso perché capace di indicare una direzione da percorrere. Al suo opposto c’è il linguaggio della civiltà di massa, che pensa il dire come azione di previsione e pianificazione del futuro basata sull’analisi del presente. La civiltà di massa non è una degenerazione culturale, ma la naturale conseguenza del successo culturale del sogno della metafisica. L’ideale della metafisica è quello di offrire un sistema di leggi e principi eterni, capaci di raccogliere in sé le ragioni di ogni divenire. Alla luce di queste leggi, il futuro come apertura indeterminata di senso semplicemente non può esistere, perché se così fosse sarebbe una confutazione di quelle leggi e principi eterni. L’apertura indeterminata di senso, semplicemente, non ha senso. Se si assume che il sogno della metafisica sia realtà, allora si può operare nella presupposizione che senz’altro il futuro è pianificabile sulla base del presente, e il linguaggio diventa quindi il mezzo per dare corpo e voce a tale pianificazione.
Si inizia così a intravedere che il sogno metafisico richiede e pretende dal linguaggio di essere determinato e determinabile, di farsi cronaca. Questo sogno è appunto un sogno, non dimostra la realtà di ciò che promette. Lo sforzo di Heidegger è quello di scuotere il sogno, tornando ad osservare i modi altri e divergenti del linguaggio poetico che rivelano l’esistenza di un altro intendere la significatività del dire.
Cercando di fuoriuscire dalla prospettiva metafisica, Heidegger si inerpica su piste non tracciate, in cui il suo stesso linguaggio diventa un modo di essere in cammino verso il linguaggio. Emergono paesaggi inattesi, fatti di domande, cenni, silenzi. Così emergono passi come il seguente:
Il linguaggio parla. Il suo parlare chiama la dif-ferenza, la quale porta mondo e cose nella semplicità della loro intimità, consentendo loro d’essere sé stesse. Il linguaggio parla. L’uomo parla in quanto corrisponde al linguaggio. Il corrispondere è ascoltare. L’ascoltare è possibile solo in quanto legato alla Chiamata della quiete da un vincolo di appartenenza. Non ha alcuna importanza proporre una nuova concezione del linguaggio. Quel che solo conta è imparare a dimorare nel parlare del linguaggio. Perché ciò sia possibile, è necessario un continuo esame di sé stessi per vedere se e fino a che punto siamo capaci di un autentico corrispondere: di prevenire la Chiamata permanendo nel suo dominio. Poiché: l’uomo parla soltanto in quanto corrisponde al linguaggio.16
Nel procedere heideggeriano si può ascoltare la traccia del metodo fenomenologico. C’è un fenomeno originario che appare, il linguaggio, e l’attitudine da coltivare verso tale fenomeno è quella della riflessione sulle sue condizioni di possibilità, sui suoi assunti, sulle mosse che ne rendono possibile la manifestazione così come appare e nei limiti in cui appare. Per questo, lo scopo della riflessione non è offrire una nuova concezione del linguaggio da commercializzare sul mercato delle idee. Lo scopo è riscoprire la novità di ciò che c’è già sempre stato e che è sempre stato ignorato. In questo caso, si tratta di ripartire dall’apparente ovvietà che il linguaggio è possibile solo perché ci parla, ovvero, perché nel dire è necessariamente implicato un ascolto che a quel dire si apre e che a quel dire corrisponde.
La domanda cruciale diventa quindi: cosa dice il linguaggio, quando inteso in senso originario? Ciò che Heidegger sembra indicare, da diverse prospettive ed esplorando diverse formulazioni, è che quanto più l’esperienza del linguaggio si avvicina al suo cuore profondo, tanto più questa esperienza diventa un’esperienza di silenzio e quiete:
il linguaggio parla in quanto suono della quiete. La quiete acquieta, portando mondo e cose alla loro essenza. Il fondare e comporre mondo e cosa nel modo dell’acquietamento è l’evento della dif-ferenza. Il linguaggio, il suono della quiete, è, in quanto la dif-ferenza è come farsi evento. L’essere del linguaggio è l’evenire della dif-ferenza. Il suono della quiete non è nulla di umano. [...] Tale evento si realizza in quanto l’essenza del linguaggio, il suono della quiete, si avvale del parlare dei mortali per essere dai mortali percepita come appunto suono della quiete.17
La quiete è uno dei cenni con cui Heidegger indica la funzione disvelativa del linguaggio. Il linguaggio è anzitutto l’accadere del sorgere delle cose dall’orizzonte indistinto, il loro prendere parola e farsi disponibili agli umani che contemplano, ascoltano, si fanno in contro a tale evento. Per questo, il suono della quiete non è nulla di umano ma si avvale degli uomini per mostrare e rivelare sé stesso. In questa prospettiva, il linguaggio perde del tutto le sue connotazioni antropomorfiche (ovvero, rivela come queste siano sempre state secondarie), per diventare una metafora del fenomeno originario dell’apparire stesso dell’essere e degli enti. Per questo, l’indagine pensante sul linguaggio, il porsi in cammino verso il linguaggio, passa necessariamente dal coinvolgimento degli umani che nel linguaggio esistono, ma anche rivela “il mistero del linguaggio: il linguaggio parla unicamente e solamente con sé stesso”18.
Il pensiero di Heidegger si avvolge in questo paradosso che tenta di tenere insieme la dipendenza tra linguaggio originario e ascolto-corrispondente degli umani, e la natura fondamentalmente autofondativa del linguaggio stesso:
ma il linguaggio è monologo. Ciò significa a questo punto due cose. È il linguaggio, lui solo, quello che propriamente parla. E il linguaggio è solitario. Sennonché solitario può essere soltanto colui che non è solo: vale a dire che non è separato, isolato, senza alcun rapporto.19
Al di là di ciò che Heidegger tenta di indi...

Indice dei contenuti

  1. Abstract
  2. Abbreviazioni per le opere citate di Vico
  3. Prolegomeno
  4. I Voce dei tempi oscuri
  5. 0. Idea dell’opera
  6. 1. Silenzio della quiete
  7. 2. Natura o convenzione?
  8. 3. De Ratione e De Antiquissima
  9. 4. Diritto Universale
  10. 5. Scienza nuova del ’25
  11. 6. Oscuro cuore della parola
  12. 7. Segreto della lingua muta
  13. 8. Voce dell’angoscia
  14. 9. Infiniti confini
  15. 10. Ricorsi
  16. II Teoria del silenzio
  17. 1. Soglia
  18. 2. Essere determinato
  19. 3. Apocalissi della verità
  20. 4. Non apparire
  21. 5. Logica poetica
  22. 6. Altro inizio, altro metodo
  23. III Struttura del contenuto dell’apparire
  24. 0. Silenzio
  25. 1. Apparire
  26. 2. Complessità
  27. 3. Dispiegarsi
  28. 4. Temporalità
  29. 5. Molteplicità
  30. 6. Unità ontica
  31. 7. Ignoranza
  32. 8. Metodo
  33. Epilogo
  34. Bibliografia ragionata