Capitolo quarto
Robotica ed esperimenti
Molti dei temi che ho discusso nel capitolo 3, ossia quelli legati alla legittimazione di una disciplina attraverso il suo metodo, ritornano nel dibattito sugli esperimenti in robotica che costituisce il tema di questo capitolo. Sebbene alcune delle riflessioni qui proposte non facciano altro che ribadire le considerazioni generali che valgono per l’informatica e l’ingegneria informatica, il maggiore dettaglio di analisi di questo capitolo consente di evidenziare alcune specificità di cui – credo – valga la pena tenere conto. Per questo motivo mi concentro ora sulla robotica mobile autonoma, intesa come la disciplina che sviluppa sistemi robotici in grado di operare in ambienti difficilmente predicibili e senza la continua supervisione umana.
Le stesse questioni ritornano
I sistemi robotici autonomi hanno la capacità di mantenere la propria posizione e di muoversi senza il diretto intervento umano. Gli operatori umani non sono completamente esclusi in questo contesto, ma operano come supervisori di tali sistemi. In altri ambiti della robotica, come nella robotica industriale, da molti anni vengono già adottati procedimenti sperimentali rigorosi e standardizzati che servono principalmente a valutare la sicurezza dei sistemi robotici. Invece nella robotica autonoma il termine esperimento è concepito e usato in maniera più vaga e le attività sperimentali svolte con meno rigore sperimentale rispetto alla robotica industriale. Ciò significa che il dibattito sulla natura degli esperimenti e sul loro ruolo è ancora aperto e offre uno scenario interessante per l’analisi.
Sebbene l’introduzione dell’etichetta robotica sperimentale possa essere fatta risalire al 1989, anno in cui si inaugura una serie di simposi sul tema, è solo qualche anno dopo che tale interesse si lega a una analisi più attenta di come la sperimentazione in generale debba essere tradotta nella pratica della robotica autonoma, facendo emergere anche una discussione sullo stato della disciplina. Tutto ciò si riflette nella creazione di uno Special Interest Group dal titolo evocativo (Good Experimental Methodology in Robotics Research) e in una serie di workshop sulla replicabilità degli esperimenti robotici che, negli ultimi anni, si sono regolarmente svolti nell’ambito delle più importanti conferenze internazionali di robotica (come per esempio ICRA, International Conference on Robotics and Automation, e IROS, International Conference on Intelligent Robots and Systems). Queste tendenze sono ben evidenti in un lavoro che, oltre alle tematiche di carattere preminentemente pratico, analizza anche questioni teoriche, come la scientificità della robotica e la definizione di cosa sia un esperimento robotico.
In questo lavoro un esperimento è definito come una verifica nel mondo reale, per mezzo di una serie di test empirici, di una risposta a una domanda ingegneristica o scientifica relativa a un sistema robotico. Il contesto di questa verifica deve essere chiaramente definito fin dall’inizio (come per esempio la struttura del sistema robotico o i suoi metodi di controllo), così come le ipotesi oggetto dell’analisi sperimentale. Tutto ciò richiama, in modo molto evidente, le lezioni che Paul Cohen aveva già proposto per l’intelligenza artificiale nella sua declinazione empirica brevemente presentate nel capitolo 3. Solo che, in questo caso, il focus esclusivo sulla robotica mobile autonoma consente di dettagliare queste condizioni e di stilare delle linee guida operative che dovrebbero informare la pratica della comunità. In primo luogo i criteri per valutare i risultati devono essere dichiarati e, se necessario, giustificati. Tutti i dati relativi ai parametri del sistema, all’ambiente e ai compiti (tasks) del sistema robotico devono essere resi disponibili per consentire che i risultati siano riproducibili, così come le distribuzioni statistiche relative al sistema, alle caratteristiche del compito svolto dal sistema e dell’ambiente. Interessante è che anche i cosiddetti risultati negativi, ossia quelli che contraddicono le ipotesi da indagare, debbano essere riportati e giustificati nel contesto teorico in cui si opera. Queste indicazioni si traducono in una serie di domande (Le ipotesi sono chiare? I criteri sono esplicitati? È presente sufficiente informazione per riprodurre il lavoro? Le conclusioni sono valide e precise?) che dovrebbero essere utili sia per coloro che devono riportare in una pubblicazione i risultati delle loro ricerche sia per coloro che devono valutarli.
Come si vede, queste domande si concentrano, in particolar modo, sulla replicabilità del lavoro sperimentale presentato. Secondo questa impostazione occorre raggiungere almeno due obiettivi: la validazione dei risultati attraverso la possibilità di replicarli; il confronto dei risultati sulla base di criteri selezionati per valutare le prestazioni dei sistemi robotici. Si tratta però di obiettivi difficili da raggiungere e la loro difficoltà ha due conseguenze importanti: dal punto di vista scientifico, rende arduo valutare in modo obiettivo lo stato dell’arte e costruire il proprio lavoro a partire da quello degli altri; dal punto di vista industriale, rallenta lo sfruttamento dei risultati raggiunti perché rende complicato confrontare l’efficacia e l’efficienza di diversi metodi. L’esplicita menzione alla robotica come disciplina sia scientifica sia ingegneristica fa da sfondo a queste considerazioni; tuttavia, nonostante il riconoscimento di questa duplice natura della robotica, rimane forte l’idea che, metodologicamente, essa dovrebbe adeguarsi al metodo scientifico tradizionale, e in particolare all’approccio sperimentale delle scienze naturali come la fisica e la biologia.
Naturalmente fra coloro che partecipano a questo dibattito vi è piena consapevolezza che un conto è la convergenza teorica di una comunità di ricerca su delle regole di metodo, un altro la loro adozione nella pratica. Una tensione, questa, che informa il dibattito ed è tutt’ora aperta; basti pensare che solo recentemente (2017), per incentivare l’adozione di un’impostazione maggiormente rigorosa nella sperimentazione, è stata inaugurata una nuova rubrica esclusivamente dedicata alla replicabilità degli esperimenti in una rivista piuttosto diffusa come IEEE Robotics and Automation Magazine. La rubrica ha iniziato a pubblicare una nuova categoria di articoli, i cosiddetti R-articles, che descrivono nel dettaglio i risultati realizzati in modo da consentire la loro riproducibilità. In linea di principio gli autori di questi articoli devono condividere tutto quanto ritengono sia necessario e sufficiente per la riproducibilità dei risultati. Nello specifico, questo significa adottare delle precise linee guida che rispondono a domande come: le ipotesi oggetto di sperimentazione sono chiare? I criteri di valutazione sono esplicitati? Che cosa viene misurato e come? Vi sono sufficienti informazioni per riprodurre i risultati? Le conclusioni ricavate sono valide? Oltre alle risposte a queste domande, i dati utilizzati e raccolti devono essere caricati su una precisa piattaforma, il codice deve essere scaricabile (che significa fornire tutte le informazioni sul modo in cui gli algoritmi sono stati codificati e tutte le librerie necessarie per eseguire il codice), deve essere fornita una descrizione dell’hardware che comprenda tutti i dettagli del robot utilizzato per fare l’esperimento e che consentano di riprodurlo. L’obiettivo generale nel pubblicare lavori di questo tipo è la promozione di una cultura della riproducibilità, che dovrebbe instaurare un circolo virtuoso nella comunità teso non solo a migliorare i processi di revisione, ma anche la qualità dei risultati prodotti.
Il richiamo alla crisi della riproducibilità, insieme all’invito a prendere esempio da altre discipline (come la psicologia) per uscire da questa crisi, è piuttosto comune nelle pubblicazioni di questa com...