Capitolo secondo
L’emergere del Sud: dall’indipendenza politica alla rivendicazione di un Nuovo Ordine Economico Internazionale
La carta di San Francisco (1945), la successiva istituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, costituiscono una svolta nella storia dell’umanità. Nonostante carenze e limiti, questi atti ufficiali e spettacolari dei governi orientano l’opinione pubblica a una convivenza interetnica e internazionale che fino allora era rimasta solo una nobile proposta religiosa e letteraria, sostanzialmente utopistica. Grazie a queste iniziative molte popolazioni giunsero alla ribalta della vita pubblica mondiale, altre uscirono dalla clandestinità, alcune riuscirono addirittura ad acquistare finalmente dignità e diritto a essere registrate. Lo sforzo di costruzione di una burocrazia indigena nelle vecchie colonie fu accelerato, sicché a esse intorno al 1960 poterono essere consegnati i poteri di tante giovani entità statuali. Questa nuova realtà che si affacciava sul palcoscenico internazionale, politico, economico, culturale, aveva bisogno di una definizione sintetica, che non alludesse ad arretratezze di natura tecnica o culturale; apparve allora l’etichetta di Paesi emergenti, che non trovò poi grande impiego. All’ONU si affermò il termine «Paesi in via di sviluppo», in contrapposizione a quella di Paesi sviluppati (PVS e PS).95
Con una sintesi davvero efficace, così Franco Demarchi, aprendo i lavori del convegno Nord-Sud: comprensione e incomprensioni, svoltosi il 26 settembre 1986 a Trento, sotto l’egida organizzativa del Dipartimento di teoria, storia e ricerca sociale dell’ateneo tridentino, contestualizzava il progressivo emergere sulla scena internazionale dei popoli del Sud del mondo e provava soprattutto a ricostruire termini, temi e questioni del loro rapporto con i paesi sviluppati e industrializzati. Proprio questo era d’altro canto il principale focus del simposio, il cui rilievo si deve anzitutto alla complessità delle tematiche affrontate e all’approccio multifattoriale seguito dai relatori, protagonisti di una giornata di studio utile a far emergere le profonde implicazioni interculturali, sociali, economiche e giuridico-umanitarie della dialettica Nord-Sud, a ripercorrerne la genesi e a riproporne soprattutto, in modo diacronico e in chiave critica, alcuni dei principali paradigmi interpretativi. Di qui per esempio i riferimenti fatti dallo stesso Demarchi ad Alfred Sauvy e alla sua celeberrima definizione di Terzo Mondo,96 all’apporto garantito sul fronte dell’ispirazione movimentista da parte di Herbert Marcuse97 in particolare e alla copiosa pubblicistica tesa, così come sottolineava lo stesso docente dell’Università di Trento, «a colpevolizzare gli europei colonialisti, per una serie di soprusi e di abusi ai danni dei popoli amministrati».98
Chiaro era insomma, da parte degli organizzatori di questo evento, l’intento di fare il punto della situazione sulle diverse chiavi di lettura del confronto Nord-Sud emerse nel corso degli ultimi trent’anni, proponendo quindi una sorta di stato dell’arte degli studi usciti sul tema e ricostruendone, tra storia e cronaca, le tappe più salienti, come a sottolineare appunto la duplice necessità di ribadire capisaldi e ragioni culturali, scientifiche e politiche dell’impegno terzomondista e di tracciarne al contempo una sorta di bilancio, alle soglie ormai di un’importante cesura.99
A sancirla, tra le altre cose, avrebbero infatti contribuito di lì a pochi mesi, nel corso del 1987, che pure fu per l’Italia l’anno dell’approvazione della legge di riforma organica della cooperazione, la chiusura di Paesi Nuovi, la storica libreria terzomondista di Roma, fondata e diretta per venticinque anni da Marcella Glisenti, e il complessivo riassetto dell’Istituto per le relazioni tra l’Italia, i paesi dell’Africa, dell’America Latina e del Medioriente (IPALMO), in conseguenza delle dimissioni del presidente, Piero Bassetti, e del suo direttore, Giampaolo Calchi Novati.100 A cavallo tra il 1987 e il 1988, fu infatti l’uscita di scena dei due uomini chiave dell’originalissima istituzione politico-culturale, fondata nel 1971 con l’ambizione di coniugare le attività di studio, ricerca e promozione, tipiche di un think-tank, con la costruzione di reti diplomatiche e con la formazione di classi dirigenti, in un quadro di relativa autonomia neutralista dalla Farnesina, a segnare quella svolta, di cui il convegno di Trento colse appunto in un certo senso le avvisaglie.101 Non deve pertanto stupire la notevole attenzione riservata al simposio scientifico che, complice anche il particolare clima nel quale si svolse, continua a rappresentare ancora oggi il fondamentale punto di partenza per qualsiasi approfondimento di ordine storico sulle dinamiche della complessa relazione Nord-Sud.
Di grande utilità e ispirazione al riguardo è soprattutto il contributo di Giuseppe Scidà,102 funzionale a inquadrare la genesi di questo rapporto dialettico e a leggerne la successiva evoluzione, attraverso le vicende delle sue due fasi principali.
La prima, di rilievo eminentemente politico e giuridico, fu quella della rivendicazione, da parte dei popoli e dei paesi del Terzo mondo, del diritto di esistere e di vedersi di conseguenza riconosciute piena autonomia, giurisdizione e sovranità all’interno dello scacchiere internazionale, dopo la lunga parentesi della dominazione straniera. A rappresentarne, anche secondo Bruna Bagnato,103 il momento culminante, dopo la conferenza afro-asiatica di Bandung e poco prima di quella dei paesi non allineati di Belgrado, citate in particolare da Marica Tolomelli,104 fu senz’altro l’approvazione della risoluzione 1514 (XV),105 con la quale l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 14 dicembre 1960 giunse a condannare ufficialmente e definitivamente il sistema coloniale, definendolo un ostacolo alla promozione della pace e della cooperazione nel mondo e sancendo al contempo il diritto di tutti i popoli all’autodeterminazione e alla libera scelta del loro modello di sviluppo politico, economico, sociale e culturale.
E fu proprio attorno al tema del diritto allo sviluppo economico in particolare dei paesi già emancipatisi o in via di definitiva liberazione dal giogo coloniale che andò quindi sviluppandosi la seconda fase del serrato confronto Nord-Sud. A costituirne il focus principale fu la duplice rivendicazione da parte dei popoli di recente indipendenza di una piena sovranità sulle risorse economiche e naturali a loro disposizione e di una complessiva ridefinizione, secondo nuovi criteri di equità e di giustizia, dei rapporti commerciali esistenti tra i paesi in via di sviluppo e quelli più avanzati, allo scopo di ridimensionare le abnormi sperequazioni esistenti tra di loro.
Se dunque le catene della dipendenza politica erano state spezzate, da rompere per i popoli del Sud rimanevano ora quelle della subordinazione economica, all’interno di un sistema internazionale del commercio verso cui, così come osserva acutamente Giuliano Garavini, l’emergere stesso dei paesi di nuova indipendenza quali nuove entità politiche e statuali aveva fatto sì che si levassero forti voci critiche.106
A svolgere su questo fronte in particolare un ruolo davvero importante, preparando il terreno alle successive ri...