La natura del bello
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Occuparsi della bellezza apre sfide inedite e fondamentali per l'uomo di ogni tempo. Quella della bellezza, infatti, è un'esperienza che mette in gioco tutto l'uomo, la dimensione sensibile e la dimensione razionale e spirituale, la sua natura psicofisica nel complesso. La bellezza costringe a capire il nesso tra il corpo e la mente, tra i nostri cinque sensi e la nostra dimensione cosciente e razionale che esprime giudizi e sentimenti; apre ulteriori domande circa la verità di ciò che vediamo, sentiamo, ascoltiamo; mette in discussione il modo di condurre l'esistenza e di impostare la vita sociale, politica ed economica delle comunità. L'esperienza del bello ci chiede oggi di comprendere che cosa la renda possibile, quanto sia davvero reale e comunicabile, se sia producibile e fruibile anche da macchine o dispositivi dotati di intelligenza artificiale. La bellezza, infine, ci ferisce e ci rimette di fronte al nostro destino ultimo, al problema inaggirabile del senso del vivere e del morire.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788857557915

Roberto Diodato

La bellezza in questione

Una cosa bella è una gioia per sempre
cresce di grazia, mai passerà
nel nulla…
(J. Keats, Endymion)
1. I versi di Keats esprimono il senso di un’esperienza di resistenza estrema dell’essere rispetto al nulla legata a una grazia e una gratuità che possono essere soltanto accolte come dono, esperienza che è gioia conoscitiva del corpo e della mente insieme per una possibilità dell’esistere la cui manifestazione oltrepassa il limite del tempo: quando l’anima, cioè il nostro corpo, incontra la traccia della luce divina celata nella materia, rimane stupita, presa da sacro spavento e da meraviglia festiva, ricorda di appartenere a quella luce e desidera di essere essa stessa quella luce, e intraprende un percorso, certo non facile, sovente rischioso, di ritorno alla sua vera patria1. Si dà però un problema, posto con chiarezza da François Cheng nella prima delle sue Cinque meditazioni sulla bellezza: «Sono convinto che sia per noi un compito urgente, e indifferibile, concentrare l’attenzione su questi due misteri che costituiscono i poli estremi dell’universo vivente: da una parte il male, dall’altro la bellezza […] Ma non dimentichiamo che il male e la bellezza non si collocano soltanto agli antipodi l’uno dell’altra. Talora possono essere strettamente connessi»2. Forse il legame tra bellezza e male non è estrinseco, come sembra pensare Cheng: «Perfino la bellezza può essere volta al male in strumento di inganno, di dominio o di morte»3; forse, se un aspetto del male è connesso all’ingiustizia nel suo significato metafisico, la relazione non riguarda l’uso della bellezza, ma la sua natura, che appartiene a una gratuità che comporta un’ingiustizia radicale e intensa, poiché la presenza e l’assenza della bellezza come tale, e in primo luogo la bellezza del proprio e dell’altrui corpo, dà senso alla nostra vita e può rovinarla, distruggerla, producendo un desiderio senza fine, destinato e rimanere inappagato o imponendo una lacuna devastante dell’identità, che ricerca senza tregua se stessa nello sguardo riconoscente dell’altro. La bellezza è ciò che per eccellenza affascina, perché innanzi tutto pulchra enim dicuntur quae visa placent4, e cosa c’è di più mio, di più indiscutibilmente mio, del mio piacere? La bellezza è sempre del corpo, e quindi dell’anima, è un piacere del corpo che è piacere dell’anima, di quell’unità che io sono, che ciascuno di noi è, e l’esperienza della bellezza comporta sempre, e prova senza dimostrarla, l’indistricabilità di questa unità. Ora per indicare la bellezza nel suo senso ci sono due vie, che in realtà sono una sola e stessa via, poiché la bellezza non le sintetizza ma le è entrambe senza alcuna conciliazione, al di là della loro apparente distanza. Le vie corrispondono ai due effetti radicati nella sua natura: la vita e la morte. Esemplarmente nella tradizione occidentale tale essenza è espressa in forma divina, cioè nella forma del potere e dell’espressione estetica perfetta, dal dio Apollo. L’ambiguità che caratterizza il dio della luce e della bellezza è messa bene in luce da Giorgio Colli: «Nel tracciare il concetto di apollineo, Nietzsche ha considerato il signore delle arti, il dio luminoso, dello splendore solare, aspetti autentici di Apollo, ma parziali, unilaterali. Altri aspetti del dio allargano la sua significazione e la connettono alla sfera della sapienza. Anzitutto un elemento di terribilità, di ferocia. L’etimologia stessa di Apollo, secondo i Greci, suggerisce il significato di “colui che distrugge totalmente”. In questa figura il dio viene presentato all’inizio dell’Iliade, dove le sue frecce portano la malattia e la morte nel campo degli Achei»5. Siamo così costretti a considerare quella forza di conoscenza che è la bellezza stessa, e la bellezza intesa come quella esperienza conoscitiva che è vita, conoscere non astratto ma significativo dell’aspetto profondo della nostra vita. «La sapienza greca – continua Colli – è un’esegesi dell’azione ostile di Apollo […] Eraclito non nomina Apollo, ma si serve dei suoi attributi, l’arco e la lira, per interpretare la natura delle cose. “Dell’arco il nome è la vita, l’opera la morte”. Quindi il simbolo di Apollo è il simbolo della vita. E la vita è interpretata come violenza, come strumento di distruzione: l’arco di Apollo produce la morte. E in un altro frammento Eraclito accoppia l’azione ostile del dio alla sua azione benigna: “armonia contrastante come dell’arco e della lira”. […] Dunque le opere dell’arco e della lira, la morte e la bellezza, provengono da uno stesso dio, esprimono un’identica natura divina»6. La figura di Apollo esprime allora emblematicamente come vita e morte siano comprese nella bellezza, siano effetti simbolici della natura del bello. La bellezza non è l’apparire o l’apparenza di vita, creazione, genesi, generazione, ma la condizione di possibilità di tali valori che porta in sé il loro contrario. Ci indica un’unità che precede il dispiegarsi degli opposti, unità concepibile soltanto se vissuta, cioè pensabile soltanto esteticamente. Questo è stato visto bene da un altro illustre studioso della sapienza greca, Carlo Diano: «E in realtà solo nella vissuta presenza dell’apeiron periechon tutte le cose sono una, e solo questa unità vissuta permette al pensiero di affermare l’identità nella contraddizione e la contraddizione nell’identità. E chi di quell’unità non ha fatto esperienza, un tale “discorso” non può che trovarlo assurdo»7. Soltanto il logos estetico è comprensione teoretica di questa esperienza, non essendo altro che tale esperienza nella dimensione della conoscenza. Logos estetico, senso comune estetico che precede quale trascendentale ogni sapere determinato, testimonia nell’esperienza della bellezza che la nostra esperienza originaria è essenzialmente doppia: esperienza dell’essere e del suo annullarsi, del sorgere dal nulla dell’ente e del suo dileguare nel nulla. Esperienza che qualcosa sia, dell’apparire dell’essere nella sua luminosità e quindi esperienza del sorgere: genesi, physis, inaugurazione dell’orizzonte del senso. E insieme esperienza dell’andar nel nulla: il fuggire delle cose, il loro spegnersi, il fascino stesso di tale precipitare e l’attrazione rischiosa che questo esercita. Appare la bellezza, eppure non sta, non si trattiene, è fragile e potente nella sua forza di attrazione, è un richiamo al naufragio; essenzialmente segnata dalla dimensione della perdita, attestazione della radicale contingenza dell’ente, la domanda logica che da questa esperienza proviene non è primariamente domanda sull’essere (sull’imporsi dell’essere sul nulla), ma sul nulla: dell’imporsi del nulla sull’essere. In fin dei conti la domanda sull’unicità del qualcosa, l’essere proprio quel qualcosa che la bellezza rende unico, avviene essenzialmente nella ferita del suo perdersi, e ciò apre il senso di un comune appartenersi che precede il darsi e anche il non-darsi del significato determinato. Non soltanto quella forma intelligente del piacere che è la gioia è dunque la tonalità affettiva ed emotiva fondamentale di quel senso comune estetico che è condizione della comunicazione, dell’originaria condivisione, l’esperienza della bellezza con la sua universalità vivente che permette che davvero ci si possa intendere, ma anche l’angoscia e i sentimenti che derivano dallo stupore per un destino di annullamento. Nella stessa apparenza armonica gli opposti sono insieme uniti e separati, disancorati dalla connessione armonica alla totalità sensata, perché questa è anche, per la nostra comune, originaria, trascendentale esperienza estetica, assente.
2. E’, credo, solo da qui, dall’inizio, che si può comprendere la verità dei mirabili versi di Keats: se molti sono i modi di esorcizzare l’ambiguità della bellezza e il suo senso metafisico fondamentale, rari sono i modi di esaltarne con giustizia l’esperienza luminosa che rende possibile. Probabilmente una tale esperienza, profonda e complessa nella sua immediatezza, oggi non è più praticabile a livello di esperienza sociale diffusa, non è più possibile come senso comune estetico condivisibile, e non certo per la crisi, tipica almeno a partire dalle avanguardie storiche, del rapporto tra arte e bellezza concepita come armonia, proporzione, ordine, ma a causa di un mutamento profondo dell’aisthesis. Ma l’esperienza estetica che i versi di Keats hanno fatto risuonare è stata nel Novecento esemplarmente espressa da Walter Benjamin, nel suo celebre saggio del 1936 L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, con la parola “aura”. Sappiamo che il termine “aura” assume diversi significati in Benjamin, ma qui importa ricordare che...

Indice dei contenuti

  1. MIMESIS / filosofie
  2. Introduzione
  3. Nota di edizione
  4. La natura del Bello nel platonismo greco
  5. La natura del bello nel pensiero di Aristotele
  6. Noi non amiamo che il bello. La bellezza in sant’Agostino
  7. Bellezza e verità in Tommaso d’Aquino
  8. Kant e la bellezza
  9. Il bello e la sua ombra tra Romanticismo e Idealismo
  10. Friedrich Nietzsche: la fondazione tragica del bello
  11. Benjamin e lo “spazio allegorico”
  12. Le forme del “bello”: tra Europa e Cina
  13. La bellezza in questione
  14. Biografie
  15. Filosofie