V
Andrés e la cultura del Settecento: tra enciclopedismo, erudizione e letteratura di viaggio
1. Andrés storico della cultura: Dell’origine, progressi e stato attuale d’ogni letteratura
Nel 1782 uscì a Parma il primo tomo dell’opera a stampa più nota di Andrés: Dell’origine, progressi e stato attuale d’ogni letteratura. Il trattato ebbe una vastissima diffusione, non solo in Italia; da quell’anno fino alla metà del secolo XIX vennero tirate ben quattordici edizioni, di cui nove complete, cinque versioni riassunte, almeno due traduzioni: una completa in castigliano, effettuata dal fratello Carlos, e una in francese del solo primo volume.
È probabile che l’inizio della redazione dell’opera si collochi già nei primi mesi del 1779, perché in una lettera inviata nel marzo di quell’anno al confratello Colomés, Andrés fa un riferimento alla «mia grande opera». Più di un anno e mezzo dopo, il 14 dicembre 1780, l’espulso valenzano comunicava al Casali Bentivoglio Paleotti l’intenzione di pubblicarla o a Bologna o a Milano (per cui chiedeva al senatore di informarsi sui costi della stamperia dell’Istituto delle Scienze di Bologna). Ma alla fine optò per la tipografia bodoniana, una delle migliori in Europa dal punto di vista della qualità della produzione editoriale: Giambattista Bodoni era infatti il tipografo ufficiale del duca di Parma e infante di Spagna, Ferdinando di Borbone. Fu soprattutto questo vincolo politico con la dinastia borbonica e la corte di Spagna a spingere Andrés a sceglierlo, nonostante l’espulso fosse perfettamente consapevole dei maggiori costi che avrebbe sostenuto rispetto agli altri tipografi dell’Italia del Centro-Nord. La decisione, almeno dal punto di vista dell’immagine pubblica, si rivelò azzeccata poiché le stampe di lusso in quarto tirate da Bodoni, benché di nicchia, avevano un certo mercato in Italia e in tutta Europa: garantivano, cioè, una discreta fama all’autore e una buona possibilità di distribuzione e di smercio attraverso il sistema delle sottoscrizioni. Inoltre, come vedremo tra poco, anche il calcolo “politico” fu redditizio, dato che il governo di Madrid remunerò la fatica di Andrés con una prima pensione doppia per meriti letterari. D’altra parte questi vantaggi ebbero un evidente risvolto negativo nelle elevatissime spese che Andrés fu costretto a sostenere, nell’estrema lentezza della composizione e della tiratura del testo e, infine, nella scarsa disponibilità dell’amministratore della stamperia, Johann Georg Handwerk, a promuovere l’opera dentro e fuori l’Italia. Come nel caso di altri confratelli (Lorenzo Hervás in primis), Andrés si dimostrò abilissimo nel gestire una vera e propria rete di amici e conoscenti, i quali gli procacciarono una grande quantità di sottoscrittori un po’ in tutta Europa: basti l’esempio del conte di Lyden che, il 10 settembre 1782 scriveva da Voorst a Tiraboschi per avere informazioni sull’opera.
Una volta verificato l’ottimo successo delle sottoscrizioni del primo volume – si giunse a raddoppiare i trecento abbonamenti inizialmente garantiti da Andrés a Bodoni –, l’espulso si rese conto che la sua opera avrebbe potuto diventare un best seller, per cui, nell’agosto del 1782, nemmeno un mese dopo la conclusione della tiratura del primo tomo a Parma, si accordò con il libraio veneziano Giovanni Vitto per pubblicare una ristampa di minor qualità e quindi potenzialmente di maggior diffusione, che stavolta sarebbe stata finanziata da un gruppo di imprenditori: non a caso il formato scelto fu quello tascabile, e cioè in ottavo. Di fronte al disappunto di Handwerk per l’edizione pirata di Venezia, l’espulso replicò rassicurandolo che le due edizioni non erano in competizione, in quanto si dirigevano a due tipologie distinte di lettori.
L’epistolario privato conferma la straordinaria conoscenza che Andrés aveva delle logiche del mercato librario italiano e, naturalmente, permette di seguire minuziosamente tutte le fasi della realizzazione della stampa di ogni singolo volume delle varie edizioni “ufficiali” dell’Origine, cioè quelle direttamente o indirettamente seguite dall’autore: non solo la prima versione parmense, ma anche la contemporanea traduzione spagnola – effettuata da Carlos proprio sull’edizione bodoniana, man mano che la tipografia tirava i singoli capitoli –, la ristampa veneziana e la seconda edizione romana. È opportuno concentrare l’attenzione sulla prima tiratura, sia perché essa fu la base per le due versioni spagnole, sia per poterne meglio illustrare il rapporto con i dibattiti di fine Settecento. Non si può, comunque, fare a meno di rimarcare un dato curioso, e cioè la scarsa sensibilità filologica da parte degli specialisti nei confronti delle varie edizioni del testo andresiano. Complice il fatto che gli studiosi iberici (e Mazzeo) nelle loro ricerche utilizzano le due edizioni di Sancha, mentre quelli italiani si rifanno alle tante versioni italiane, ancora incompleta appare l’analisi delle varianti testuali che ricorrono tra la stampa bodoniana, la traduzione spagnola e le successive ristampe italiane: l’apparato critico proposto da un gruppo di ricercatori spagnoli, coordinato da Pedro Aullón de Haro, può, comunque, essere considerato un ottimo punto di riferimento. Non è una questione di poco rilievo. Dare per scontato che le varie versioni siano equivalenti e intercambiabili significa precludersi la possibilità di analizzare lo sviluppo del pensiero di Andrés nel cors...