Spinoza e noi
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Trent'anni dopo L'anomalia selvaggia, libro straordinario, capace di trasformare l'immagine di Spinoza per un'intera generazione e di porre la sua concettualità al servizio di un progetto materialista e rivoluzionario, Negri ritorna su Spinoza per attingervi nuova linfa. È stando dalla parte di Spinoza che Negri entra nel dibattito politico contemporaneo, polemizzando con Badiou, Agamben, Esposito ed altri ancora; è stando dalla parte dell'inesauribile potenza della moltitudine che si erge contro ogni dominio e contro ogni sfruttamento, che Negri, ancora una volta, colora il nostro orizzonte di speranza.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788857562384

Introduzione

1. Rivendicando L’anomalia selvaggia
Sono ormai passati quasi trent’anni da quando ho pubblicato L’anomalia selvaggia1. Scrissi quel libro in carcere. Se mi chiedete come ho fatto a scriverlo, non so tuttora rispondere: la resistenza, un buon sinonimo di potentia. La mia meraviglia è grande, aumenta ogni qualvolta sfoglio il libro; e soprattutto mi sorprende il fatto che questo libro sia ancora attuale e spesso ripreso e discusso nella letteratura spinozista. Mi meraviglia anche che quei critici che reagiscono negativamente a talune affermazioni o linee interpretative dell’Anomalia selvaggia, lo fanno comunque a partire dalla consapevolezza che quella lettura di Spinoza – come autore che, nell’essere assoluto, coglie l’energia che costruisce le singolarità modali, nel concorso di queste vede lo sviluppo ontologico delle forme di vita e delle istituzioni, e nelle nozioni comuni il dispiegarsi della razionalità – che, dunque, il quadro generale di quell’interpretazione non sia riformabile. C’è stato sì qualcuno2 che – da ultimo – ha considerato quasi un effetto da ‘business dello spirito’ appoggiare la lettura di Spinoza alla continuità della potentia che risale dalla materialità del conatus alla corporeità della cupiditas, fino all’intelligenza di amor (quasi che in questo modo si dessero ragioni di eccessiva speranza e quindi si producessero effetti di illusione per gli uomini che lottano nella durezza della vita). Vi è stato anche chi, con rabbia reazionaria, ha tentato di negare alla democratia omnino absoluta della moltitudine il protagonismo politico con cui Spinoza l’aveva concepita3. E infine vi è stato chi ha voluto interpretare come troppo insistita l’opposizione fra potentia e potestas: e da questa opposizione – che in verità è sempre interattiva – ha visto nascere una sorta di manicheismo4. Ma non mi sembra che queste critiche abbiano lasciato soverchi residui.
Perché? È tempo di riconoscere che, se l’Anomalia selvaggia ha affermato un nuovo punto di vista nella lettura di Spinoza, ciò è avvenuto quando essa con una certa forza è entrata in quel processo di rinnovamento del pensiero della trasformazione, in quell’episteme di innovazione e di rivoluzione che (succedendo ai fasti e alle sciagure del ‘socialismo reale’) dopo il ’68, ha ristabilito i fondamenti delle scienze dello spirito, o ancora, soprattutto, quando ha reso nuovamente possibile la coscienza e la volontà dell’agire per la trasformazione e/o il superamento del modo di produzione capitalistico e per l’affermazione dell’uguaglianza e del comune degli uomini. Molti altri, oltre a me, hanno lavorato alla costruzione dell’episteme di un comunismo futuro. Fra questi, per quanto riguarda Spinoza, Matheron5 e Deleuze6 (al loro confronto mi sento davvero l’ultimo). Anch’essi si muovevano su quel terreno di ricostruzione della storia umana che va dal basso delle cupiditates verso l’alto del rinnovamento e della democrazia. Erano stati anticipati da quelle scuole fenomenologiche e strutturaliste che, nel secondo dopoguerra, avevano pensato questi processi tra grandi contraddizioni teoriche e pratiche, e quelle lotte operaie che, in Europa e in tutto il mondo capitalistico avanzato, avevano tentato di realizzare il successo di un progetto di democrazia assoluta. Spinoza e il ’68, la rilettura di Spinoza con e dopo il ’68: ecco dunque un bel sottotitolo e un bel topos per la storia della filosofia. Non per quella il cui scopo è di neutralizzare il corpo della filosofia, e i corpi dei filosofi, al fine di iscriverli definitivamente nella trascendenza dello spirito, ma per quella storia della filosofia che pragmaticamente – attraverso l’avventura critica della ragione e l’esperienza delle moltitudini – ci aiuta nell’andare verso la realizzazione della libertà.
Siamo in un tempo nuovo. Dopo la caduta del ‘socialismo reale’, il capitalismo ha tentato di darsi un nuovo aspetto: egemonia del lavoro cognitivo, dimensioni finanziarie, estensione imperiale. Ognuno di questi esperimenti è in crisi. Il capitalismo e la sua civiltà hanno fallito. Il neoliberalismo – e le sue élites – hanno condotto il mondo, attraverso nuove guerre e distruzioni, al fallimento: ultimi barbarorum, li avrebbe così di nuovo denunciati Baruch Spinoza. E qui sperimentiamo un vero paradosso: perché quel dispositivo del pensiero di Spinoza che all’inizio della modernità si presentava come ‘anomalo’, ora, al termine della modernità, sull’orlo di un post- che è divenuto contemporaneità, si presenta come radicalmente ‘alternativo’, effettualmente rivoluzionario. Quella determinazione ‘selvaggia’ che, nello scontro con la pesantezza controriformata delle religioni e con la nascita dell’assoluto sovrano nel secolo XVII, bene era attribuita all’esperienza critica e costruttiva del pensiero spinoziano, oggi si esalta in tutt’altra prospettiva: quella di una molteplicità di esperienze di sovversione e dell’eccitazione della potenza vivente delle moltitudini. Non mi meraviglia dunque più Lanomalia selvaggia quando la rileggo. Ha dentro un desiderio che si sta realizzando, è un dispositivo che trova costituzione. Forse, una volta strappata alla vita ogni illusione del divino, l’infinito (come Deleuze ci spiegò7) si realizza in noi, nella coincidenza del desiderio e della realtà. Ma questo è anche il nome comune di rivoluzione chez Spinoza8.
2. Prolungando l’‘anomalia’ nella post-modernità
Spinoza e noi, dunque. Ci sono qui di seguito almeno due grandi capitoli critici che vanno ricomposti. Il primo (sotto, ai numeri 3 e 4) è, per così dire, quello che definisce un uso post-moderno di Spinoza (dallo Spinoza ‘anomalo’ nella modernità seicentesca allo Spinoza ‘alternativo’ nella crisi del XXI secolo). Dovremo a questo proposito affrontare essenzialmente il concetto di potenza e leggere la produzione di soggettività nell’ontologia spinozista. Gli ostacoli che si opporranno a questa nostra ricerca consisteranno essenzialmente nella rivendicazione dell’individualismo come orizzonte proprio di Spinoza. Ma, se così fosse, in che cosa l’ontologia e la filosofia politica di Spinoza sarebbero diverse da quello che gli altri autori del seicento promossero e imposero al secolo – come ordinamento sociale, economico e politico?
Il secondo capitolo (sotto, ai numeri 5 e 6) dovrà invece puntare a ridefinire lo Spinoza sovversivo, quello Spinoza cioè che oppone, con sempre maggiore efficacia, non solo nel Seicento ma anche nella contemporaneità, la positività dell’essere alla riduzione metafisica o trascendentale dell’ontologia. È così che potremo mostrare quello che abbiamo fondamentalmente tratto da Spinoza per la post-modernità. La società politica (così nelle sue dimensioni economiche quanto in quelle politiche) è un prodotto di desiderio: in ciò consiste il vero processo sovversivo. In Spinoza abbiamo il recupero creativo del realismo di Machiavelli, così come più tardi, in Gramsci e nel marxismo eterodosso e libertario, avremo il recupero creativo dello spinozismo. Di contro c’è l’uomo prigioniero dell’ontologia negativa… Ci portiamo ancora dietro quest’immagine e questa funzione metafisiche, fin dall’antichità classica, quando ancora arché significava, a un tempo, principio e comando. Nel XX secolo (ma gli effetti perdurano) Heidegger è stato l’esponente più acuto ed efficace di questo pensiero negativo. Nemico del socialismo, finge di accettarne la critica del mondo capitalista e tecnologico della reificazione e dell’alienazione per rivendicare, di contro, all’esistenza l’abbandono alla purezza e alla nudità dell’essere. Ma l’essere, la sostanza, non sono mai pure né nude: sono sempre istituzioni e storia, e la verità nasce dalla lotta e dall’umana costruzione della temporalità stessa. Se esiste una tragedia del presente, la si chiami alienazione e/o reificazione, questa non è determinata dall’essere-per-la-morte dell’esistenza dell’uomo ma dal produrre-per-la-morte del comando capitalista! Se il pensiero reazionario si è ricostruito attorno ad Heidegger e si riproduce nell’ontologia del nichilismo, il pensiero sovversivo si ricostruisce attorno all’etica e alla politica dell’ontologia spinozista. È Spinoza che dà fiato al realismo machiavellico e alla critica marxiana.
3. Spinoza oltre l’individualismo
Fu Spinoza filosofo dell’individualismo? E, conseguentemente, un pensatore di quella modernità che la problematica del giusnaturalismo integra fra Hobbes e Rousseau?
Il dibattito si esprime in alcuni autori contemporanei, in maniera mo...

Indice dei contenuti

  1. Abbreviazioni
  2. Introduzione
  3. I. Spinoza: un’eresia dell’immanenza e della democrazia
  4. II. Potenza e ontologia tra Heidegger e Spinoza
  5. III. Moltitudine e singolarità nello sviluppo del pensiero politico di Spinoza
  6. IV. Spinoza: una sociologia degli affetti
  7. Mimesis Spinoziana