Moda e metropoli nella modernità letteraria
Daniela Baroncini
Le mode sono una medicina destinata a compensare, sul piano collettivo, gli effetti fatali della dimenticanza. Quanto più un’epoca è effimera, tanto più si orienta secondo la moda.
W. Benjamin, Moda, in I “passages” di Parigi
A partire da Parigi capitale del XIX secolo, secondo la definizione di Walter Benjamin, la metropoli si configura come uno dei fenomeni più rilevanti della modernità, scenario di nuovi rituali e stili di vita generati da una sensibilità condizionata dall’ambiente urbano, che diviene osservatorio speciale degli scrittori nella seconda metà dell’Ottocento. In questo periodo straordinariamente denso di fermenti e trasformazioni tecnologiche, sociali e scientifiche, si definisce il nesso indissolubile tra moda e metropoli, binomio fondamentale nella cultura fin-de-siècle analizzato con lucida consapevolezza per la prima volta dal sociologo tedesco Georg Simmel, il quale interpreta l’esperienza della modernità attraverso la lente particolare della moda che congiunge in sé le tendenze opposte di imitazione e distinzione, cogliendone l’intimo legame con la città, luogo dell’artificiale per eccellenza, e pertanto ideale terreno delle mode.
La prima teoria dell’intreccio tra moda e metropoli si trova dunque negli studi di Simmel sui processi della sensibilità tra fine Ottocento e inizio Novecento. Esplorando la morfologia o struttura sensibile della modernità, egli analizza il rapporto tra forme oggettive e la cosiddetta soggettività, per soffermarsi con particolare lucidità sul fenomeno della moda visto nella sua connessione con la dimensione metropolitana. In effetti dalle pagine di Simmel emerge con evidenza il legame tra moda e città, la quale ne diviene un ideale “terreno di crescita” in quanto luogo dell’artificio, dell’innaturalezza, del “ritmo impaziente della vita moderna”. Nella metropoli Simmel individua l’arena per la lotta e la tensione costante tra uniformità e distinzione, dialettica che contraddistingue in particolare le manifestazioni della moda, in quanto essa “soddisfa il bisogno di diversità, la tendenza alla differenziazione, alla variazione, alla distinzione”. Non per caso il tratto peculiare del dandy è proprio l’aspirazione a distinguersi, affermando la propria unicità principalmente attraverso abiti e accessori spesso eccentrici e stravaganti:
Quando l’aumento quantitativo del valore e dell’energia raggiunge il suo limite, si fa appello alla particolarizzazione qualitativa per poter attirare su di sé, giocando sulla sensibilità per le differenze, l’attenzione della propria cerchia sociale.
In questa prospettiva appare paradigmatico il saggio La metropoli e la vita dello spirito (1903), che analizza il “tipo metropolitano” costantemente sollecitato dagli impulsi della città sino a un’“intensificazione degli stimoli nervosi” prodotta “dall’incalzare veloce e incessante di impressioni esteriori e interiori”. Tale iperstimolazione nervosa provoca una sorta di saturazione della capacità percettiva nel tipo cosiddetto blasé, ovvero l’indifferente, svogliato, scettico che ostenta un disincanto simile al dandy, il quale non per nulla domina l’immaginario letterario tra Otto e Novecento, da Baudelaire a Wilde, da d’Annunzio agli Indifferenti di Moravia, senza dimenticare la nevrosi ante litteram rappresentata da Huysmans in Controcorrente:
Non esiste forse un fenomeno psichico così incondizionatamente proprio alla metropoli come l’essere blasé. L’atteggiamento blasé è il risultato della rapida successione e della fitta concentrazione di stimoli nervosi contraddittori, dai quali ci pare derivare anche l’aumento dell’intellettualismo metropolitano. […] Una vita basata sulla ricerca del piacere rende blasé, perché scuote continuamente i nervi al fine di ottenere reazioni sempre più forti. […] L’essenza dell’atteggiamento blasé consiste nell’ottundimento della capacità discriminatoria, in una diminuzione di sensibilità rispetto alle differenze fra le cose.
In queste pagine si pone l’accento sulla volontà di distinguersi, tratto peculiare del dandy che usa l’abito per affermare la propria unicità, manifestando il proprio anticonformismo anche nella scelta di accessori eccentrici:
Ciò sfocia nell’adozione delle più arbitrarie stravaganze, a quelle tipicamente metropolitane della ricercatezza, dei capricci, della preziosità, il cui senso non sta più nei contenuti di tali condotte, ma piuttosto nella forma dell’“apparire diversi", nel distinguersi e nell’attirare l’attenzione.
Si tratta di una sorta di inappetenza intellettuale, un bisogno di stimoli sempre nuovi, che conduce al paradosso dell’insensibilità per eccesso di emozioni. Tale condizione è perfettamente incarnata da Des Esseintes, l’esteta decadente protagonista di A rebours di Huysmans, il quale crea il tempio della bellezza artificiale schermando la luce naturale con tessuti, acquari e lastre di alabastro, componendo sinfonie di profumi e sinestesie inconsuete, nel tentativo di stimolare una sensibilità estenuata, sino all’estremo snervamento che anticipa le nevrosi novecentesche.
Tema centrale nel panorama della modernità, l’intreccio di moda e metropoli si diffonde nel romanzo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, quando gli scrittori iniziano a rappresentare personaggi inediti come il dandy e la femme fatale necessariamente legati alla vita della città – Parigi, Londra, Roma, Vienna, New York –, cogliendo in questo modo la novità di fenomeni sociali e antropologici che costituiscono per molti aspetti la radice del presente. E così, attraverso il racconto dell’apparente frivolezza della moda ambientata nelle città di carta, la letteratura diviene specchio e interprete di fenomeni che rivelano una vera e propria mutazione della sensibilità. Conviene pertanto esplorare il nesso fondamentale tra moda, metropoli e modernità non solo dal punto di vista letterario, ma anche storico, filosofico, sociologico e antropologico, per scoprire la profondità di un tema sino ad oggi sorprendentemente trascurato, a parte le eccezioni costituite dalle analisi pionieristiche e illuminanti di Simmel e Benjamin.
Luogo per eccellenza della modernità, la grande città si configura nella narrativa ottocentesca come motivo ricorrente e densamente significativo nell’orizzonte letterario europeo, nonché spazio privilegiato nell’immaginario degli scrittori. Si tratta di un osservatorio tutto particolare, che consente di rilevare le trasformazioni della vita quotidiana e al tempo stesso della sensibilità, com...