Alle origini della tecnologia scientifica
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Ricezione e sviluppo del pensiero galileiano nell'opera di Isaac Newton

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Ricezione e sviluppo del pensiero galileiano nell'opera di Isaac Newton

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A partire da quando la tecnologia si configurò come imprescindibile e fondamentale orizzonte di senso dell'uomo per l'uomo, come universale e macchinatrice nuova scienza della natura all'interno di quella sorta di preistoria del lavoro industriale, meglio ancora, in quella protostoria del lavoro macchinico che fu l'età della manifattura, tra il XVII e la prima metà del XVIII secolo? E ancora: per opera di quali processi la macchina fu posta a un certo punto della storia umana dall'epidermide al cuore della civiltà europea, già prima che essa con la Rivoluzione industriale del carbone, dell'acciaio e dei cavalli vapore divenisse medium privilegiato della divisione del lavoro? Per rispondere a questi urgenti interrogativi, come ad altri in essi impliciti, al tempo della Rivoluzione industriale 4.0, dello sviluppo dell'Intelligenza artificiale e della Smart economy, occorre risalire fino alle origini della prima modernità e precisamente al tempo in cui filosofi del calibro di Galileo Galilei e Isaac Newton, indipendentemente da Dio, dalla Sapienza e dal senso comune, fecero delle loro macchine di misurazione i nuovi ed esclusivi strumenti di ricerca della verità.

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Informazioni

Anno
2020
ISBN
9788857570044
1
Sul primo Dio della modernità
e i fondamenti ateisti del suo trono
1. Copernico e i copernicanesimi
In contrapposizione alla divulgazione scientifica tradizionale che rivendica, senza possibilità di controbattere, per il pensiero di Galilei e per le sue scoperte una portata rivoluzionaria e precisamente copernicana, ipotizziamo che la novità della svolta galileiana non risieda tanto nella mera e fedele riproposizione da parte di quest’ultimo dell’eliocentrismo di Copernico, ma nell’operare una peculiare e radicale trasformazione ontologica, di cui il Pisano si fece protagonista prima come dissimulato e critico esecutore e poi come dichiarato e polemico promotore, a partire anche, ma non solo, dalle filosofie dei sovrumani Democrito, Archimede e Copernico, e con cui giunse verso esiti tutt’altro che scontati per chiunque, tra i suoi contemporanei, si fosse cimentato nello studio della natura esclusivamente a partire dagli scritti di questi ultimi. Come scrisse giustamente Jacques Rancière61 a tale proposito, occorre però intendersi su cosa noi in seguito indicheremo con la locuzione di trasformazione ontologica. Qualsiasi genere o tipo di quest’ultima implica una “circostanza di parola, nella quale uno degli interlocutori sente e nello stesso tempo non ascolta ciò che l’altro dice”62. Questo tipo di mancata o cessata corrispondenza tra due o più interlocutori è simile a quel tipo di conflitto dove per capirci, qualcuno afferma bianco, l’altro pure, ma senza intendere la stessa cosa. Il disaccordo si origina quando in gioco, tra due individui, c’è in ballo da una parte il mantenimento di una determinata geometria di parole e di cose, di una precisa cornice categoriale, e dall’altra una mutatio rerum, la trasformazione radicale di quest’ultima. Un X comprende e, nello stesso tempo, non comprende un Y, proprio in quanto, pur comprendendo dove Y vuole andare a parare63, non vede l’oggetto di cui parla, come non vede64 o non vuole vedere65 una ragione diversa entro un comune argomento. Allo stesso modo, molto probabilmente, quando Galilei si diceva copernicano66, quando divulgava e difendeva l’eliocentrismo del Polacco, quando rivendicava la superiorità del suo sistema astronomico rispetto a quello tolemaico e a quello di Brahe67, intendeva non solo divulgare quanto già altri studiosi come Keplero68, molto più astronomi e matematici di lui, affermavano in merito a Copernico, ma anche proporre, attraverso la sua immagine, quanto lui avesse da dire di nuovo sullo studio filosofico della natura69. Il disaccordo ontologico a cui questa operazione copernicana di Galilei mise capo risulterà immediatamente evidente non appena rileggeremo alcune pagine del Commentariolus e dei primi undici capitoli del libro I del De revolutionibus orbium coelestium, dove Copernico espose la sua costituzione generale dell’universo e dove dimostrò, in base a riferimenti tradizionali per quanto esclusivamente platonici, di essere non solo per nulla copernicano, ma nemmeno, come solitamente si dice a partire da Bruno, Galilei e Keplero, un filosofo moderno70. Nel Commentariolus Copernico indicò i principi del suo sistema del mondo nei seguenti termini:
1) Gli orbi e le sfere celesti non hanno un solo centro; 2) il centro della Terra non è il centro del mondo, ma solo della gravità e dell’orbe della Luna; 3) tutti gli orbi ruotano intorno al Sole in quanto è posto al centro di tutte le cose e quindi il centro del mondo è nei pressi del Sole; 4) il rapporto tra la distanza Sole-Terra e l’altezza del firmamento è minore di quello tra il raggio terrestre e la distanza Sole-Terra, si che questa è insensibile rispetto all’altezza del firmamento; 5) qualunque moto si osservi nel firmamento non appartiene ad esso ma alla Terra. Dunque la Terra, con gli elementi che la circondano, ruota di moto diurno sui suoi poli immutabili, mentre il firmamento e l’ultimo cielo rimane immobile; 6) tutti i moti che vediamo nel Sole, non si devono a esso ma alla Terra e al nostro orbe, col quale ruotiamo alla maniera di qualsiasi altro pianeta intorno al Sole e, pertanto, la Terra si muove di più moti; 7) il moto retrogrado e diretto che si osservi nei pianeti non appartiene ad essi, ma alla Terra. Il moto di questa sola è sufficiente a spiegare tutte le ineguaglianze che si osservano in cielo.71
Nel De Revolutionibus scrisse invece:
Nient’altro mi mosse a pensare a un altro modo di calcolare i movimenti delle sfere del mondo, se non che compresi che i matematici non sono fra loro stessi concordi nell’indagarli. Infatti, innanzi tutto sono tanto incerti sul movimento del Sole e della Luna da non poter dimostrare e osservare la grandezza costante dell’anno che volge. Poi, nel fissare i moti sia di queste, sia delle altre cinque stelle erranti [i pianeti], non ricorrono agli stessi principi, né agli stessi assunti, né alle stesse dimostrazioni delle rivoluzioni e dei movimenti apparenti. Alcuni, infatti, ricorrono solo a cerchi omocentrici, altri ad eccentrici e ad epicicli, con cui, però, non conseguono appieno ciò che cercano. Perché coloro che confidano nei cerchi omocentrici, sebbene abbiano dimostrato di poter comporre con essi alcuni diversi movimenti, non hanno tuttavia potuto stabilire nulla di certo che risponda veramente ai fenomeni. Coloro, poi, che escogitarono gli eccentrici […] hanno […] ammesso, tuttavia, molte cose che sembrano contravvenire ai primi principi dell’uniformità dei movimenti. E la cosa principale, ossia la forma del mondo e la certa simmetria delle sue parti, non poterono trovarla […]. Il che non sarebbe capitato se avessero seguito principi certi.72
In questi due passi del Commentariolus e del De revolutionibus ciò che dovrebbe realmente sconcertarci è il fatto secondo cui Copernico polemizzò con il sistema del mondo tolemaico non tanto per aver assecondato l’autorità di Aristotele e l’esperienza quotidiana dei più, quindi per aver costruito un sistema geocentrico piuttosto che eliocentrico, ma in quanto esso non aderì al principio di uniformità e perfezione dell’universo con cui i moti planetari avvenivano lungo orbite circolari e uniformi, semplici o combinate. Tolomeo al contrario di Platone cercò di rendere giustizia delle ineguaglianze e delle irregolarità dei moti celesti e perciò si vide costretto ad abbandonare il movimento circolare uniforme in favore dei punti da cui ogni singolo moto non uniforme lungo un arco di cerchio apparirebbe uniforme, ovvero degli equanti. In base a un sistema astronomico di equanti, il sistema cosmologico scolastico riuscì a più o meno integrare i principi metafisici e teologici della filosofia patristica latina (meglio compatibile con l’autorità di Aristotele piuttosto che con quelle di Platone73 e Plotino), i cardini teologali dell’esegesi biblica e dei dogmi tridentini (ovverosia i dogmi del cristianesimo cattolico apostolico romano con le esperienze sensibili comuni e quotidiane dell’immobilità della Terra, della mobilità dei cieli, lo schema teleologico di un mondo creato ad immagine e somiglianza di un Dio come volontà trascendente e padre assoluto), l’antropocentrismo e le dottrine escatologiche evangeliche. Il cosmo aristotelico-tolemaico per l’insieme di questi ultimi criteri di riferimento articolava qualitativamente il mondo in due spazi distinti: il primo definito con la locuzione di mondo celeste o sopralunare si componeva della quinta essenza dell’essere, dell’eterno, incorruttibile, divino e sottilissimo, etere e di sfere celesti cristalline in moto eternamente circolare e uniforme intorno al proprio asse; il secondo spazio definito con la locuzione di mondo terrestre o sublunare era spartito in quattro luoghi naturali, corrispondenti ai quattro elementi o sostanze elementari, procedenti secondo moti rettilinei dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto. Questi movimenti dei luoghi naturali regolavano il fenomeno della generazione e corruzione qualitativa della materia. Il cosmo aristotelico-tolemaico era inoltre un universo chiuso, finito, organizzato gerarchicamente e immutabile, come predicava il geocentrismo stesso. Ogni corpo occupava per sua stessa essenza, sostanza, natura o causa, un preciso luogo naturale, a meno che non fosse stato snaturato o temporaneamente trasformato da un moto violento. Secondo Aristotele l’universo non era in nessun luogo e lo spazio di esso era lo spazio occupato dai corpi che in quanto tali non erano enti presenti nel vuoto, ma sempre corpi di uno spazio pieno. Al centro del mondo la Terra era immobile, a differenza invece dei cieli che si muovevano come nove sfere concentriche, cristalline e trasparenti, in cui erano incastonati come gemme preziose la Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove, Saturno, le stelle fisse; il Primo mobile muoveva poi tutti i cieli precedenti verso di esso, mentre questi ultimi a loro volta si volgevano verso il primo, noto anche con il nome di Empireo; infatti i nove cieli si muovevano con velocità proporzionale all’intensità del desiderio che ognuno di essi possedeva di partecipare all’eternità del Primo mobile, costituito della luce intellettuale e dell’amore di Dio. Da quest’ultimo fino al centro della Terra, il mondo era abitato inoltre, come la commedia dantesca aveva recitato, da creature celesti, terrene e infernali. A parte le aggiunte che la teologia e la poetica cristiana operò sul sistema astronomico aristotelico-tolemaico, il sistema degli equanti per Copernico risultò solo un puro e infelice artificio geometrico, in quanto produceva più contraddizioni di quante ne risolvesse e inoltre violava i principi stessi della geometricità della sostanza, della sfericità, della perfezione e della circolarità che, al contrario della filosofia peripatetica, la filosofia platonica si era ben guardata dall’abbandonare. Nei due succitati estratti sembrerebbe inoltre che Copernico compì ciò che alcuni suoi posteri del calibro di Galilei paragonarono a una vera e propria svolta epocale, ovvero, riproponendo, criticando ed elaborando, in maniera inconsueta le soluzioni matematiche e geometriche offerte da alcuni pensatori dell’Antichità per la spiegazione dei movimenti planetari, un rovesciamento dell’immagine scolastica del mondo, geostatica e geocentrica, al fine di fissarne una più armoniosa e corrispondente ai fenomeni osservati. La leva di questo mutamento di prospettiva si sarebbe fondata sull’obiettivo di riuscire a concordare i moti (geometrici e non reali) di Tolomeo con il principio fisico (reale) della circolarità e uniformità dei moti celesti. Alcune dottrine astronomiche dell’Antichità per risolvere le deficienze del sistema tolemaico combinavano i moti circolari o di rotazione di sfere, per quanto quest’ultimo fosse più esatto nei risultati numerici74 a proposito di quei movimenti che altri astronomi spiegarono con l’utilizzo di epicicli. La necessità dimostrata da Tolomeo nell’inserire degli equanti nel suo sistema, era motivata per Copernico dal fatto secondo cui il pianeta non si muoveva di moto uniforme né sulla sua sfera deferente né intorno al suo centro. In relazione a questo genere di ragioni capiamo bene come l’attribuzione a Copernico di una svolta epocale da parte di filosofi come Bruno, Keplero e Galilei non va presa alla lettera, ma va interpretata sulla base del rinnovamento della filosofia naturale che ognuno di loro, attraverso la propria opera, sperava di raggiungere. Ragion per cui se i filosofi novatori decisero di richiamarsi ad una presunta modernità del Copernico, questo fu motivato da altre ragioni, per nulla attribuibili agli scritti di Copernico e al suo eliocentrismo. Indicativo di quanto da noi sostenuto sono proprio alcune categorie ricorrenti nel Commentariolus e del De revolutionibus, le quali una volta ripetute sino alla noia, in maniera quasi ossessiva, dallo stesso Copernico, apparentemente senza alcuna motivazione particolare, infondevano nella mente di chi leggeva tutta una serie di dubbi e perplessità, disaccordi e contraddizioni semantiche, finalizzate alla tacita ambizione da parte del Kopernik non di (modernamente) rivoluzionare, ma solo di (neotericamente) rivolgere, rovesciare, l’astronomia scolastica. Perciò nel capitolo I del De revolutionibus gli insistenti riferimenti da parte di Copernico alla forma sferica del mondo, concetto questo già diffusamente accettato dai suoi contemporanei, vanno intesi non tanto come moderni tentativi di sovversione del cosmo medievale, ma (come poi effettivamente risuonarono nella mente dei suoi contemporanei) come dei tentativi neoterici di riconsiderare l’astronomia platonica in sostituzione di quella peripatetica: cosa c’è di moderno in questa proposta? Copernico non fu quindi un innovatore, ma nient’altro che un astronomo platonico che polemizzava contro le innovazioni che nel II secolo Claudio Tolomeo apportò al sistema astronomico precedente.
A chi non fosse ancora persuaso di quest’ultima nostra affermazione sulla scorta dei due soli suddetti estratti, domandiamo nuovamente: se per gli uomini del XVI secolo la sfericità del mondo fu già una verità assodata, Copernico per quale altra ragione plausibile che non fosse quella dell’assioma platonico della sfericità, avrebbe dovuto insistere così tanto sulla sfericità medesima dei corpi e delle orbite? Se Copernico al contrario insistette proprio sulla sfericità del mondo per restaurare il platonismo in astronomia, perché i suoi contemporanei avrebbero dovuto, o noi (i moderni) dovremmo, considerarlo per questa sua operazione come un filosofo rivoluzionario e/o moderno? Per rispondere a tali domande è necessario ritornare nuovamente alle fonti e, precisamente, a un altro cruciale passaggio testuale, dove Copernico scrisse quanto segue:
In principio rivelato che il mondo è sferico, sia perché questa forma è la più perfetta di tutte, un’integrità totale, non bisognosa di alcuna commesura; sia perché è la forma più capace, che meglio conviene a tutto comprendere e custodire; sia anche perché ogni parte separata del mondo – intendo il Sole, la Luna e le stelle – sono ravvisate in tale forma; sia perché in essa tendono a determinarsi tutte le cose, come appare nelle gocce d’acqua e negli altri corpi liquidi, quando tendono a circoscriversi da soli. Perciò nessuno metterà in dubbio che tale forma sia da attribuirsi ai corpi divini.75
Al fine di eliminare quella lunga serie di incongruenze della teoria cosmologica universale (aristotelico-tolemaica), oltrepassando le insoddisfacenti tesi di Callippo ed Eudosso, e al fine di rendere giustizia dei fenomeni osservati, per Copernico bisognava geometrizzare la forma del mondo, introducendo con ciò un principio di movimento circolare uniforme dei pianeti, giustificato dall’identità, di platonica memoria, tra sfericità, perfezione e movimento uniforme, dei corpi celesti. La geometrizzazione della forma del mondo, attraverso lo studio di Iceta di Siracusa, Filolao Il pitagorico, Eraclide Pontico, Ecfanto Il pitagorico e soprattutto di Platone, faceva dipendere il movimento degli orbi dalla forma sferica (geometrica) dei pianeti, senza dover sussumere alcun’altra ragione trascendente o motore esterno. Preferendo Platone ad Aristotele, Copernico sostenne quindi che qualsiasi corpo ruotasse in quanto sferico, ragion per cui se la Terra fosse stata sferica non poteva essere, come si credeva, immobile, ma si muoveva intorno al Sole. Capiamo bene che Copernico, mutando il suo riferimento da Aristotele a Platone, rovesciò il sistema del mondo, ma tuttavia senza per questo essere moderno o rivoluzionario; ciò perché il contributo di Copernico fu non tanto una rivoluzione, ma un rivolgimento e, in quanto tale, non rappresentò una lacerazione, una rottura ontologica radicale e definitiva con l’Antichità, ma solo una sua alternativa riproposizione, un vero e proprio passo indietro, una piega, un suo rovesciamento interno, sulla scorta del pensiero di Platone. Per questa apparentemente semplice evidenza la dinamica di Copernico, per quanto innovativa rispetto a quella aristotelico-tolemaica, come affermato anche dallo stesso Koyré, non possedeva ancora nulla di moderno; per quanto un abisso separasse il sistema platonico del Polacco da quello aristotelico-tolemaico dei suoi contemporanei, egli non fece altro che applicare, come già duemila anni prima di lui, un’estetica geometrica all’immagine astronomica del mondo.
Per di più forse senza notarlo e in ogni modo senza dirlo espressamente, Copernico elabora una fisica geometrica, o più esattamente una fisica della geometria ottica. In tal modo doppiamente trasforma la nozione di forma: dove la fisica antica parlava di forma sostanziale, Copernico intende forma geometrica. Le conseguenze – ci se ne renderà conto – sono gravi: se per la fisica antica proprio la natura specifica della forma (e della materia corrispondente) sostanziale dominava il movimento circolare dei co...

Indice dei contenuti

  1. 1. Copernico e i copernicanesimi
  2. 2. Una rivoluzione (non) copernicana degli oggetti
  3. 1. Gli ultimi impedimenti
  4. 2. Newton e i fondamenti indipendenti dell’astronomia osservativa