Pausa
In piedi da sinistra: Carlo Quartucci (secondo) e Lucilla Silvani. Tonino Grasso indicato gioiosamente per avere individuato lo spazio. Durante le prove di Aspettando Godot, Roma, 1959. Archivio privato Lucilla Silvani.
Aspettando Godot. Teatro Duse, Genova 1964. Da sinistra: Leo de Berardinis, Rino Sudano, Mario Rodriguez. Foto Lisetta Carmi © Lisetta Carmi courtesy Martini & Ronchetti.
Aspettando Godot. Teatro Duse, Genova 1964. Da sinistra: Leo de Berardinis, Rino Sudano, Maria Grazia Grassini. Foto Lisetta Carmi © Lisetta Carmi courtesy Martini & Ronchetti.
Aspettando Godot. Teatro Duse, Genova 1964. Da sinistra: Leo de Berardinis, Rino Sudano. Teatro Duse, Genova 1964 © Lisetta Carmi courtesy Martini & Ronchetti.
Atto senza parole II. Festival Beckett, Prima Porta, sulle rive del Tevere, 1965. Leo de Berardinis e Cosimo Cinieri. La Zattera di Babele & Artisti. Foto Lisetta Carmi © Lisetta Carmi courtesy Martini & Ronchetti
Salta la scatola scenica: i nuovi principi costruttivi
A questa recita sarebbe dovuto succedere Il clown in ginocchio – spettacolo composto da Atto senza parole II di Beckett, Bilora di Ruzante, Don Perlimplino di García Lorca e I ciechi di Ghelderode– che invece non avrà mai luogo, poiché nel frattempo i rapporti con la struttura dello Stabile hanno iniziato a incrinarsi.
Nonostante l’indifferenza del Teatro Stabile genovese, parve che il Teatro Studio, dopo il successo di stima ottenuto da Aspettando Godot, fosse nato sotto ottimi auspici. Ma le speranze andarono deluse. Il Teatro Studio non può funzionare per mancanza di fondi. Questa la motivazione espressa dalla direzione del Teatro Stabile.
Prima ancora che, tuttavia, termini definitivamente l’esperienza interna al teatro ufficiale, Carlo Quartucci sceglie di uscire anche fisicamente dal luogo teatrale istituzionale, alla ricerca di un nuovo spazio, di “un contatto più vivo e diretto con il pubblico” e di un contesto differente in cui mettere ancora una volta in gioco la comune tensione alla ricerca.
Ciò poteva avvenire a tre livelli: a) Con una scelta dei testi. Decisi, a questo proposito di abbandonare il filone esistenziale e metafisico della drammaturgia beckettiana, orientandomi verso il nuovo corso della drammaturgia americana e inglese. b) Muovendo alla ricerca di un pubblico più vasto. Studiai sulla carta particolari dispositivi scenici in grado di arrivare ovunque, anche nella sala più disagevole. c) Collegando il “gruppo realizzatore” alla “comunità in ascolto”, provocando la completa rottura del diaframma palcoscenico-platea […]; tentando di coinvolgere lo spettatore trasformato da semplice fruitore in partner dialetticamente attivo.
In questa direzione, fra la fine del 1964 e la primavera del 1965, Quartucci lavora a due diversi progetti che segneranno in profondità il suo percorso di ricerca successivo: due Letture-spettacolo e Cartoteca. In entrambi i casi, si muove in modo autonomo dalla Compagnia della Ripresa, il che significa che i suoi compagni sono in quel momento altrove e che il lavoro di condivisione umana e artistica, sperimentato fino a quel momento, inizia a trasformarsi e trovare nuove vie di espressione.
Con le Letture-spettacolo sul nuovo teatro americano e le Letture-spettacolo sugli arrabbiati inglesi, che realizza con alcuni attori della compagnia principale del Teatro Stabile (Pagni, Mannoni, Zanetti, Milli, Antonutti), Carlo Quartucci inizia un confronto serrato non solo con il nuovo teatro americano (Gelber, Kopit, Albee) e con i così detti giovani arrabbiati, ma anche con il New Dada di Rauschenberg, l’action painting di Pollock e l’espressionismo astratto di Lichtenstein. Cos’è accaduto in quei mesi che precedono le prime Letture? L’edizione XXXII della Biennale di Venezia, che segna profondamente la cultura artistica italiana: le due mostre americane, Four Germinal Painters (con Jaspers Johns, Morris Louis, Kenneth Noland, Robert Rauschenberg) e Four Younger Artists (con John Chamberlain, Jim Dine, Frank Stella, Claes Oldenburg) e la premiazione di Rauschenberg impongono all’attenzione di tutti, e con potenza, il nuovo corso dell’arte americana, mettendo in dubbio la prospettiva eurocentrica dalla quale eravamo abituati a guardare anche i nuovi fermenti artistici. Su questo punto, fra l’altro, molti muovono le prime preoccupate critiche. Carlo Quartucci, con lo stesso atteggiamento che manterrà anche negli anni successivi, è pronto ad accogliere, confrontarsi, reagire e rielaborare le provocazioni che giungono dal mondo dell’arte, anche oltre oceano. In particolare, sembra essere colpito da un aspetto: la tendenza di questi artisti a integrare nell’opera “oggetti e immagini del quotidiano – reali, riprodotti o ricostruiti – in un’ottica non esistenziale o psicologica, ma di registrazione, tesa non a conoscere ma a ri-conoscere, secondo un orizzonte antropologico del reale e del quotidiano legato alla cultura statunitense”. La casualità, l’elemento ludico, l’oggetto quotidiano, l’estemporaneo entrano così a far parte dell’universo teatrale di Quartucci che, con la collaborazione del fotografo Giorgio Bergami, inizia a lavorare alla sperimentazione di tecniche per il montaggio di diapositive (opere di Pollock, Rauschenberg, Dine e Lichtenstein), musiche (Berio, Maderna, Cage, Stockhausen) e filmati, che accompagnano o interrompono le letture sceniche. Si avvia allora un percorso di ricerca che presto diventerà uno dei tratti caratteristici del suo stile registico e che di lì a poco esploderà in Cartoteca. Insomma, ciò che salta è proprio la perfetta scatola scenica di Aspettando Godot, destrutturata e qui aperta ai venti dell’arte New Dada, alle istanze del combine painting, ma anche alle pressioni della politica dei movimenti giovanili, ai condizionamenti di una modalità produttiva partecipativa, all’indeterminato, alla provvisorietà e, infine, al caos come principi costruttivi.
Rimandando allo studio di Livia Cavaglieri per un’analisi precisa e articolata di Cartoteca, mi soffermo qui solo su tre elementi: la scelta del testo (ossia di un certo tipo di drammaturgia), il lavoro su e con l’attore e l’uso dello spazio.
Tadeusz Rózewicz, scrittore polacco, classe 1921, autore di Cartoteca, non era sconosciuto in Italia. Nel 1963, la rivista “Sipario” aveva dedicato un numero doppio (208-209, agosto-settembre) al ...