Capitolo 1
Le metamorfosi del corpo
Alcuni simboli preliminari
dell’immaginario occidentale
§ 10
Il senso comune è convinto che sia possibile abitare un corpo – e, dunque, possedere un corpo. A proposito di questa fede, si rende necessario domandarsi se ciò sia davvero possibile e, se sì, in che modo. Possiamo dire di abitare un corpo allo stesso modo in cui abitiamo una casa? Possiamo abitarlo, possiamo indossarlo allo stesso modo in cui indossiamo un abito, allo stesso modo in cui portiamo un vestito? Oppure, pensando alla nota metafora che ha accompagnato un po’ tutta la storia della filosofia occidentale, possiamo immaginare di essere la guida del nostro corpo allo stesso modo in cui il nocchiero sta ai comandi della propria nave? E poi soprattutto, chi abiterebbe questo corpo? L’anima, forse? L’anima individuale o l’Anima Mundi? Oppure lo spirito, il pensiero, la mente, il sé, la coscienza, l’inconscio?
A tali questioni il senso comune, che alberga in ciascuno di noi, solitamente risponderebbe sostenendo che siamo “noi stessi”, “proprio noi”, gli abitatori del nostro corpo, senza avvedersi però del fatto che questa idea si fonda, in ultima analisi, sulla fede nell’eterogeneità tra due sostanze (anima e corpo, o mente e corpo, etc.) – credenza maturata, radicata, e contestualizzata storicamente, nel panorama filosofico-teologico nonché nel tessuto storico-culturale dell’Occidente. Ovvero: per poter immaginare che il corpo sia abitato, l’anima e il corpo, o, se vogliamo, la mente e il corpo, devono necessariamente essere pensati come due “cose” distinte e separate. Facendo esperienza del nascere, dell’invecchiare e del morire dell’individuo, il senso comune ha iniziato a pensare che tale mutamento riguardi precipuamente il corpo, mentre l’anima (al pari dell’ousia aristotelica) sarebbe ciò che sussiste di per sé e che permane o, quanto meno, il luogo in cui avrebbe sede l’identità dell’individuo. Ovviamente, anche l’anima sarebbe soggetta a un qualche cambiamento e a una certa capacità di evolversi ma, ciononostante, l’uomo occidentale è solito attribuire l’identità dell’io, del soggetto, proprio all’anima e non alla corporeità. Oggi possiamo infatti immaginare ogni parte del nostro corpo come assolutamente intercambiabile attraverso i trapianti di organi, di arti e l’innesto di tessuti artificiali, ma non potremmo mai immaginare di farci impiantare una coscienza, un vissuto e una progettualità diversi da quelli che ci appartengono: saremmo altrimenti convinti di aver minato definitivamente e irreparabilmente l’identità dell’individuo. Se da un lato siamo dunque portati a pensare che tutto il nostro corpo possa essere soggetto al cambiamento, dall’altro perpetriamo la convinzione che, a livello spirituale, ci debba essere qualcosa che permanga (seppur maturando), e che mantenga nel suo profondo un nucleo di identità attraverso cui si possa riconoscere la continuità del filo della vita dell’individuo, unico e diverso rispetto a tutti gli altri.
In questo strano gioco, il corpo risulta così destinato a essere pensato non solo in quanto mutevole e perituro, ma anche intercambiabile e, dunque, accessorio.
§ 11
La nostra umanità è ormai solita osservare le molteplici metamorfosi dei corpi, la cui forza iconica è direttamente proporzionale agli innumerevoli progressi della scienza e della tecnica e, in particolare, delle discipline e delle pratiche biomediche. Eppure, questi progressi tecnologici, in grazia dei quali è sempre più possibile “riparare” i corpi sostituendone pezzi e tessuti, sono ben lungi dal generare una condizione sociale di equilibrio.
Si rende cioè sempre più evidente il fatto che nella nostra società, in cui queste metamorfosi dei corpi sono sempre più visibili, presenti e alla portata di tutti, è presente un contrasto via via più forte tra questo progresso delle scienze e la sempre meno tollerabile stagnazione della morale che, invece, fa quanto mai fatica a rapportarsi a questi cambiamenti cui la scienza, la tecnica e la medicina ci sottopongono. In altre parole, la morale tradizionale – che, in Occidente, si identifica non soltanto con la morale del Cristianesimo ma, in senso più lato, con l’onto-teo-logia dei tre grandi monoteismi (ebraico-cristiano-islamico), i quali poggiano essenzialmente sulla stessa matrice e, dunque, sulla medesima visione morale del mondo – fa estremamente fatica, oggi più che mai, ad accettare questi stravolgimenti. Assistiamo pertanto al generarsi di una profonda dicotomia e discrepanza tra due fazioni: da una parte, una morale più laica e vicina al mondo della scienza, apparentemente più progressista e secondo la quale ogni cambiamento del corpo sarebbe lecito; dall’altra parte, una morale molto più conservatrice, legata appunto alla religiosità ebraico-cristiano-islamica, per cui i cambiamenti del corpo sarebbero leciti soltanto nella misura in cui non superino un certo limite – per citare Tomasi di Lampedusa, pare si tratti di “una di quelle battaglie combattute affinché tutto rimanga come è”. Secondo quest’ottica, sarebbe consentito cambiare del nostro corpo tutto quanto non vada a ledere la cosiddetta – e presunta – “identità” del soggetto. Per questo motivo, le tre grandi sfere legate rispettivamente alla nascita, all’amore ovvero alla sessualità e, infine, alla morte, diventano grandi e insormontabili tabù, dinanzi ai quali il Cristianesimo, ma non solo, pretende ancora oggi di poter limitare la possibilità di intervento del progresso scientifico-tecnologico, come ad esempio accade nell’ambito delle questioni legate all’aborto, alla contraccezione, all’imposizione che la sessualità venga repressa o arginata nell’ambito eterosessuale, matrimoniale e procreativo, sino ad approdare agli impedimenti, per l’individuo, di gestire la propria morte.
Il nostro tempo si trova dunque dinanzi a questi due spiriti, entrambi presenti e forti all’interno della nostra società. Non si tratta, tuttavia, di decidersi per l’uno o per l’altro dei due, perché – e questo è il punto – entrambi risultano parimenti radicati nel medesimo pregiudizio e nella medesima fede nella distinzione netta tra anima e corpo. Ovvero, fintanto che ci si muoverà all’interno di questa convinzione, ereditata dalla nostra umanità da ben 2500 anni di storia ...