Günter Berghaus
Riflessioni su un’antropologia
futurista: L’uomo meccanico,
il ginnasta, l’artista-politico
Introduzione
Nel Manifesto fondativo del futurismo del 1909 Filippo Tommaso Marinetti opponeva a “l’immobilità pensosa, l’estasi e il sonno” della tradizione culturale italiana un mondo futuro arricchito di “una bellezza nuova: la bellezza della velocità”. Mentre il primo è un mondo popolato da una “fetida cancrena di professori, d’archeologhi, di ciceroni e d’antiquarii”, il secondo è colmo di giovani sotto i trent’anni, carichi “di forza, di amore, d’audacia, d’astuzia e di rude volontà”.
Negli anni Trenta Marinetti tornerà a sottolineare questa differenza nel copione del film Velocità, evidenziando in una prima scena, intitolata Passatismo e futurismo, l’eccessiva lentezza della vita di cento anni prima, alla quale oppone nella scena finale, intitolata L’uomo futurista fra 100 anni, la vita vigorosa e frenetica di un politico che lavora nel vagone di un treno ad alta velocità, circondato da tastiere telegrafiche e da innumerevoli ricevitori telefonici. Egli utilizza questi mezzi di comunicazione per tenere un discorso al parlamento e, amplificandolo attraverso delle grandi trombe da grammofono, trasmetterlo in tutte le piazze pubbliche del paese.
Queste due opere, scritte nell’arco di circa venticinque anni, dimostrano che la visione di Marinetti dell’Uomo del Passato e dell’Uomo del Futuro non subì nel tempo grandi cambiamenti. Questa visione si basava da un lato sulla sua esperienza personale nell’Egitto pre-industriale e dall’altro lato sul magnifico mondo fatto di progresso tecnologico, che egli trovò una volta tornato in Europa.
Un costante e ricco pensiero antropologico percorre come un filo rosso la sua prima produzione letteraria e viene successivamente incorporato nella prima e poi nella seconda fase del futurismo. In questo saggio parlerò di come Marinetti immaginava questo Uomo del Futuro e mi concentrerò su tre ‘tipi’ che hanno avuto un ruolo particolarmente importante negli scritti futuristi italiani: l’uomo meccanico, il ginnasta e l’artista-politico.
1. L’uomo meccanico
La concezione di Marinetti di un Uomo Nuovo fu condizionata dalle nuove tecnologie emerse nel corso del XIX secolo, che iniziavano a propagarsi anche in Italia.
In molti scritti teorici e creativi, Marinetti presenta la macchina come un veicolo in grado di superare le restrizioni della Natura data e di liberare il potenziale emancipatorio della Natura creata. Egli credeva che nelle condizioni di un’economia completamente meccanizzata, uomini e donne sarebbero arrivati a scoprire e realizzare pienamente il loro potenziale creativo.
Marinetti era convinto che la macchina stesse causando una profonda mutazione antropologica nell’umanità. Egli credeva che l’identificazione dell’uomo con la macchina avrebbe, finalmente, portato ad una fusione del sistema organico con quello meccanico. Questa sintesi, secondo Marinetti, sarebbe possibile perché i due sistemi funzionano seguendo le stesse leggi.
Nella prima fase del movimento futurista, Marinetti celebra la metallizzazione del corpo umano e l’ascesa di un “uomo moltiplicato”. Questo nuova tipologia di essere sarebbe parte di un “tipo non umano e meccanico, costruito per una velocità onnipresente”, “dalle parti cambiabili” e che può subire “un numero incalcolabile di trasformazioni umane”.
Per i futuristi, gli esseri umani non erano solamente amici, padroni e alleati della macchina, ma si fondevano completamente con essa in una relazione simbiotica.
Umanizzare la macchina e meccanizzare gli esseri umani era un processo intellettuale che significava molto di più del semplice permeare la macchina con forza di volontà ed emozioni, o dell’enfatizzare gli aspetti meccanici del corpo umano. L’intento era quello di fondere il sistema meccanico con quello organico e di tendere “a quell’ideale corpo moltiplicato dal motore”.
Nell’immaginario tecnologico di Marinetti, la macchina agiva come un “nuovo corpo vivo quasi umano che moltiplica il nostro”. Quindi, l’Uomo Moltiplicato del futuro sarà sempre più simile a una macchina. In definitiva, i futuristi credevano che la convergenza di uomo e macchina avrebbe portato ad uno stato di esistenza dove “l’ostilità apparentemente irriducibile che separa la nostra carne umana dal metallo dei motori” verrà superata e si realizzerà la fusione del sistema organico con quello meccanico, che darà vita a quella che Marinetti chiama la “macchina umana”, una forma di vita creata artificialmente, capace di procreare senza ricorrere a un utero femminile, e di partorire un “figlio meccanico”. In sostanza, gli esseri umani raggiungeranno uno stato di esistenza che permetterà loro di superare la morte con lo “spitito vitale come forza macchina”.
L’idea dell’essere umano che funziona come una macchina non fu, ovviamente, un’invenzione futurista. Nel 1747, La Mettrie aveva pubblicato L’Homme Machine, in cui alludeva alla somiglianza strutturale e funzionale del corpo umano con un orologio. Da allora, il materialismo scientifico e un cospicuo numero di scritti di fantascienza hanno trasformato l’immagine del corpo umano in quella di un apparecchio meccanico e il cervello in una macchina pensante. Dal racconto di Mary Shelley Frankenstein o il moderno Prometeo (1818) fino al...