Giuseppe Girgenti
Prefazione
Pensare per immagini
Il saggio di Daniele Iezzi, giovane studioso della tradizione platonico-cristiana nella filosofia tardoantica e nella teologia dei Padri della Chiesa, affronta la storia dell’immagine del mare quale simbolo del concetto d’infinito nel momento del passaggio dal pensiero classico a quello tardo-antico, soprattutto grazie alla rielaborazione dei miti e dei concetti platonici operata da Plotino. Si tratta di un vero e proprio affresco poetico-storico-filosofico-religioso, condotto con il metodo ormai consolidato della “storia delle idee”, che prende in esame non solo le parole e i termini nella loro evoluzione linguistica e semantica, ma altresì le immagini, i simboli, le icone e le metafore in cui le medesime idee sono state espresse. Pensare per immagini, appunto, soprattutto quando si affronta la storia di un’idea sorta come immagine nel mito antico, poi evolutasi in un concetto filosofico già nei pensatori più antichi, e infine tradotta nel linguaggio teologico della tradizione cristiana. Aristotele era perfettamente consapevole della nascita della filosofia a partire dalla mitologia, e, per un verso, il cristianesimo si può intendere come un ritorno mediato alla mitologia, passando per la filosofia greca, in modo da operare la trasformazione del mito in religione e in teologia.
Ora, l’elemento del mare è caratteristico della tradizione letteraria e filosofica greca, sin dalla primissima mitologia dell’età arcaica; nei miti delle divinità marine primigenie, come Oceano e Teti, esso fungeva da corrispettivo cosmico dell’idea di apeiron, cioè di infinito, una nozione limite-negativa che, pur posta all’origine del cosmo come chaos, doveva subito de-limitarsi e de-terminarsi grazie al peras, cioè al limite, per raggiungere un qualsivoglia ordine e una qualsivoglia forma.
Iezzi, che segue e integra lo studio classico di Rodolfo Mondolfo sull’Infinito nel pensiero dei Greci, sa bene che per un Greco antico “infinito” equivale ad “imperfetto”, in quanto “incompiuto”; già per Esiodo il chaos deve diventare kosmos per giungere a perfezione e per stabilizzarsi nell’ordine divino. La stessa nozione di apeiron di Anassimandro, che non a caso nasce dall’intuizione del suo maestro Talete dell’acqua come physis, mantiene il timbro cosmologico del passaggio dall’indeterminato al determinato, e prepara la coppia pitagorica peras/apeiron come fondamento protologico dell’universo. Il passo ulteriore, quasi implicito nelle premesse della filosofia ionica, è appunto quello di fare del “limite” il principio positivo e dell’“illimitato” il principio negativo di tutto il reale.
L’infinito, come tendenza alla grandezza illimitata e al contempo alla divisione infinitesimale, viene aborrita e collocata agli infimi gradini della scala ontologica; esso diviene il principio del male, la causa delle tendenze malvagie di quella parte del cosmo che sfugge alla forma. Anche in Omero il de-forme e l’in-forme producono il mostruoso a tutti i livelli, e a maggior ragione nel genere umano. Il mare infinito solcato da Ulisse è il luogo dei mostri, è lo spazio insicuro del pericolo, è metafora della navigazione dell’esistenza umana sempre esposta al rischio del naufragio e dell’annegamento, cioè dell’annientamento.
Nella mitopoiesi platonica, la ripresa della metafora della navigazione e del mare, soprattutto nel Fedone e nel Politico, insiste sulla valenza del mare come immagine negativa dell’infinità della materia (la chora indeterminata del Timeo), e il “pilota del cosmo” ha per l’appunto il compito di evitare che la navicella a lui affidata faccia naufragio nel “mare infinito della dissomiglianza” (apeiron ponton tes anomoiotetos); lo scopo della vita umana è oltrepassare il mare e raggiungere la vera Patria nella terraferma. Queste immagini sono state ampiamente riprese dai neoplatonici (Plotino, Porfirio, Proclo) che hanno fatto di Ulisse il simbolo della psyche caduta nella materia e del mare il simbolo di quella stessa materia che deve essere attraversata e superata. Ma permangono anche nel neoplatonismo cristiano: ad esempio il giovane Agostino contrappone la regio dissimilitudinis della materia alla regio beatitudinis dello spirito. Ma su questo rimando alle belle pagine di Iezzi, degne eredi degli studi agostiniani di Werner Beierwaltes e di Giovanni Reale.
Già in Platone, tuttavia, si trova una singolare inversione della valenza negativa dell’immagine del mare infinito nel Simposio: nell’ascesi erotica verso la metempirica idea della Bellezza, quasi al culmine della scala, Diotima parla dell’iniziazione ai misteri di Amore come di un’immersione nell’infinito mare del bello (polù pelagos tou kaloù): e a partire da questa immagine, nel superamento del dualismo in direzione henologica, in Plotino ritroviamo una particolare interpretazione delle dottrine platoniche, che rendono l’Uno-Bene Principio assoluto di tutto, anche dell’infinito, in esso contenuto come infinita dynamis. Detto in altri termini, è proprio in Plotino che esplicitamente l’infinito diviene un attributo di Dio, inteso come “infinita potenza” e quindi come “onnipotenza”.
L’incontro con i testi biblici e la ricezione di queste istanze confluenti nella patristica, determina quindi una rivalutazione e trasformazione radicale del concetto d’infinito a cui è strettamente legata l’immagine del mare che lo rappresenta. Cosicché, il connubio mare-infinito finisce per esprimere una delle rivoluzioni concettuali più importanti verificatesi nell’orizzonte filosofico e teologico della tardo-antichità: la dottrina dell’infinità di Dio. Nella Patristica greca e latina si ritroveranno immagini di Dio sovente definito un “mare di essere”, ovvero un “mare di sostanza” (pelagos ousias, pelagus substantiae).
Ma anche su queste immagini rimando alle pagine che seguono, in cui Iezzi ricostruisce magistralmente questa “rivoluzione concettuale”, che è il tema centrale del suo libro. L’importanza di tale mutamento e l’influenza che esso ha avuto nella storia della cultura occidentale, possono essere misurate attraverso alcune delle testimonianze moderne e contemporanee (da Dante a Leopardi, per restare nella letteratura italiana), per le quali la metaforica marina conserva ancora l’antico legame con l’infinito e con la sua storia. E, ancora una volta, si rende evidente l’importanza del pensiero tardo-antico, greco e latino, pagano e cristiano, come cerniera irrinunciabile e troppo spesso trascurata, tra il classico e il moderno.
Introduzione
Perché l’ennesimo libro sulla metafora del mare? Perché proprio l’elemento del mare in relazione all’idea più alta che la facoltà umana della ragione possa concepire? Inoltre, perché incentrare tale studio nel periodo che va da...