La libertà esistenziale
in J.-P. Sartre
Mario Stefani
Prefazione
Libertà o determinismo? È l’eterno problema, che investe tutta intera la filosofia e tutta intera l’evoluzione del pensiero umano, senza soluzione di continuità.
Nella letteratura omerica la forza oscura del fato sovrasta gli uomini e gli dei. Il complesso delle facoltà spirituali, in cui si radica la libertà, rimane aperto alla divinità e al fato. Possibilità di atti personali, efficienti da una parte. Ineluttabilità del fato dall’altra.
Quest’antinomia – interiorizzata e vissuta – diventa tragedia in Eschilo: sono libero quando ratifico nella mia coscienza la sanzione del fato, quando riconosco la necessità di una sanzione per le mie colpe, per le colpe della mia stirpe. La sanzione «fatale», ratificata o respinta, provoca la tragedia della mia libertà.
In Sofocle la libertà è umile devota rassegnazione alla volontà degli dei. Debbo obbedire agli dei. Non posso resistere a essi. Anche se innocente, non resisterò. Ammetterò il mio destino e tenterò di salvarmi: sarò libero.
In Euripide al di là delle Furie, al di là del Fato, Oreste si autodetermina alla sua scelta, dominando una situazione caratterizzata da una necessità inesorabile.
Solo con Socrate, questa libertà – vissuta nell’amarezza, nella rassegnazione o nella ribellione – viene descritta nella sua intima struttura psicologica. Dalla conoscenza vera scaturisce un dinamismo irresistibile, un determinismo assoluto verso il bene. Nessuno è volontariamente cattivo. Nessuno fa volentieri il male. Se faccio il male, è perché mi trovo a camminare al buio. Non vedo più o non vedo ancora la mia vera essenza e l’essenza delle cose. Mentre l’antinomia omerica si pone sul piano della trascendenza: relazione dell’atto libero col trascendente – il fato, gli dei –, quella socratica si pone sul piano dell’immanenza: relazione trascendentale dell’atto libero con l’intelletto e l’oggetto dell’intelletto, l’essenza.
Platone rimane totalmente chiuso nel determinismo intellettualistico di Socrate.
Aristotele tenta di evaderne. Il vizio non è una. malattia, ma una scelta. Posso scegliere anche il vizio, perché posso scegliere la virtù. È in mio potere anche il male, perché è in mio potere il bene. La mia libertà di scelta non è però infinita. Sono libero di fronte a ciò che rientra nel raggio dei miei operabili, dei miei possibili. Anche il peccato è un mio possibile. Non sono libero di fronte al Fine, all’Impossibile, all’Altro. L’atto libero è «un desiderio di ciò che è in mio potere […] un “desiderium ex consilio proveniens’’». L’elemento intellettivo, il «consilium» è ineliminabile e inscindibile da ogni mia scelta. Ogni scelta presuppone una predeterminazione del «consilium rationis», predeterminazione che può apparire in linea col determinismo intellettualistico di tipo socratico.
S. Agostino e S. Tommaso inseguono una soluzione razionale, al di là della duplice antinomia del pensiero greco. Ma con quale esito? Per S. Tommaso scegliere è un atto della volontà in quanto in essa è immanente la ragione, «il consilium», l’intelletto. La libertà è l’immanenza dell’intelletto nella volontà e viceversa. Siamo ancora ad Aristotele. Le stesse luci, le stesse ombre, con più vasti orizzonti aperti sull’interiorità di Dio e dell’uomo.
Poi Molina, poi Spinoza, poi Hegel […] grandiosi tentativi, ma la libertà permane ancora un mistero, un mistero «più grande del mistero della Trinità».
Sartre, che nega Iddio, sfugge ai problemi della trascendenza assoluta, ma rimane alle prese con gli enigmi dell’immanenza. Uno dei suoi meriti è di aver posto in piena luce aspetti nuovi e nuove difficoltà della libertà umana. In ciò il suo fascino e la ragione del mio lavoro.
Mario Stefani
Introduzione
1. – Origine e valore ontologico de...