GIOVANBATTISTA TUSA
“FINIR, COMMENCER”
Tra Alain Badiou e Pier Paolo Pasolini
1.
Le réel n’est pas ce qui rassemble, mais ce qui sépare.
Ce qui advient est ce qui disjoint
A. Badiou
Si tratta di un seminario di fine secolo. 6 gennaio 1999, la terza delle tredici séances tenute da Alain Badiou al Collège international de philosophie di Parigi, successivamente raccolte ne Il secolo. Venne intitolato: «il non conciliato».
Badiou legge in quell’occasione una poesia di Osip Ėmil’evič Mandel’štam, di cui ricorda l’atroce morte in Asia Orientale, in cammino verso i campi di concentramento.
Tenera, infantile cartilagine
è l’era neonata della terra.
Di nuovo, agnello, hanno immolato
l’osso frontale della vita1.
Nella poesia, sottolinea Badiou, risuona il legame tra la novità, l’annuncio, la promessa, da una parte; il sacrificio, la morte dell’innocente, dall’altra. L’inizio del secolo è dunque segnato da un legame che non si risolve in alcuna sintesi, in cui la violenza annuncia l’uomo nuovo. L’ossessione del secolo sarà stata una distruzione necessaria, una distruzione generatrice senza la quale il nuovo non sarebbe mai nato. Distruggere l’antico e creare il nuovo: per Badiou la guerra stessa sarà nel secolo «una giustapposizione non dialettizzabile della distruzione atroce e dell’eroismo vittorioso. In sostanza, il problema del secolo è quello di stare nella congiunzione non dialettica del motivo della fine con quello dell’inizio».2
Finir e commencer sono due termini che rimangono, nel secolo, non-conciliati. E non-conciliato rimane il secolo che non sarà stato contrassegnato né dall’Uno, dall’egemonia del semplice, né dal molteplice, dalla negoziazione o dall’equilibrio tra potenze: ma dal Due, dalla scissione che non ammette la sottomissione unanime o la ri-combinazione equilibrata degli elementi.
Bisogna tagliare di netto […] la guerra è la visibilità risolutiva del Due contro l’equilibrio combinatorio. È a questo titolo che la guerra è onnipresente. Tuttavia il Due è antidialettico. Porta una disgiunzione non dialettica, senza sintesi […]. La “bestia” di questo secolo, evocata da Mandel’štam, non è altro che la scissione. La passione del secolo è il reale, è l’antagonismo3.
Disgiunzione senza fine, che già Lacan, l’ «éducateur de toute la philosophie à venir», aveva articolato magistralmente, scrivendo che «l’impossible, c’est-à-dire ce qui sépare, mais autrement que ne fait le possible, ce n’est pas un “ou-ou”, c’est un “et-et”. En d’autres termes, que ce soit à la fois p et non-p, c’est impossible, c’est très précisément ce que vous rejetez au nom du principe de contradiction. C’est pourtant le Réel»4.
E irriconciliabile dimora ancora, nel secolo, il rapporto incomponibile tra passione del reale e la contingenza del semblant, la finzione che pervade ogni configurazione dello stato di cose. Necessità del reale, che non ha più nulla a che fare con il pragmatismo della contingenza che caratterizza lo stato di cose. Montaggio del semblant5, che è una rappresentazione sintomale tutta da decifrare, una finzione dell’ideologia che «organizza una coscienza separata dal reale», in cui il sistema reale non è leggibile se non seguendo il percorso «di ogni sorta di decentramenti e trasformazioni»6.
Nella sua ricerca del reale perduto Badiou torna ancora una volta sul reale inteso come «punto d’impossibile della formalizzazione», come suo impasse, il fuori-campo che è impossibile far rientrare, così com’è, nella situazione. Con il termine “situazione”, come è noto, Badiou definisce ogni particolare moltitudine costante, una presentazione-molteplice, che non è che un puro essere in quanto tale, il fatto che una molteplicità sia. Eppure, scrive ancora Badiou, ogni presentazione-molteplice corre il rischio del vuoto, dell’inconsistenza, e risulta chiaro che la garanzia di consistenza «non può essere soddisfatta dalla sola struttura […]. La ragione fondamentale di questa insufficienza è che qualcosa, nella presentazione, sfugge al conto, cioè proprio il conto stesso […]; la consistenza della presentazione esige così che ogni struttura sia doppiata da una metastruttura, che la chiude a ogni fissaggio del vuoto»7. In tal senso vuoto ed eccesso sono già da sempre parte della struttura dell’Essere, e così come ogni stato di cose comporta qualcosa di non-contato, un vuoto che come un’erranza incontenibile8 non si integra mai a ciò cui pure appartiene in qualche modo, così esiste sempre un eccesso della rappresentazione rispetto alla presentazione, per cui lo stato di cose non è mai trasparente, ma è piuttosto una violenta sostituzione di ciò che rappresenta.
Vi è qualcosa che non appartiene alla dimensione del Sapere o del semplice Essere, un certo non-essere, quell’Evento descritto magistralmente da Slavoj Žižek in The Ticklish Subject:
L’Evento […] anche se non può essere spiegato nei termini della situazione, non significa che si tratti semplicemente di un intervento dal Fuori o dall’Oltre; esso si lega al Vuoto proprio di ogni situazione, alla sua inconsistenza intrinseca e/o al suo eccesso. L’Evento è la Verità della situazione che rende visibile/leggibile ciò che la situazione “ufficiale” doveva reprimere, ma è pur sempre localizzabile, vale a dire, la Verità è sempre la Verità di una situazione specifica. Per esempio la Rivoluzione Francese è l’Evento che rende visibili/leggibili gli eccessi e le inconsistenze, la “bugia” dell’ancien régime; è la Verità della situazione dell’ancien régime, localizzata, legata a essa9.
Con “Evento” s’intende dunque una rottura radicale con la “situazione”, il sorgere di un’interruzione traumatica che fonda un nuovo soggetto; e il soggetto è l’affiorare finito e contingente che segue l’Evento a cui, per Badiou, deve rimanere fedele. La fedeltà all’Evento è la persistenza del soggetto nella decifrazione dei segni dell’Evento.
Badiou, in Logiques des mondes, evoca l’ inexistant, ciò che inesiste nel mondo, «tracé dans l’existence, laquelle mesure le degré d’apparition d’un objet dans un monde, un point réel d’inexistence, où se lit que l’objet tout entier aurait pu ne pas exister»10.
L’inexistant che Badiou vedrà in-sorgere, ancora una volta, nelle rivolte globali di inizio millennio, dove l’inexistant è liberato «grazie a quello che io chiamo un evento. E non dimentichiamoci che, a differenza della liberazione dell’inesistente, l’evento in se stesso è quasi sempre inafferrabile. La definizione dell’evento come ciò che rende possibile la liberazione dell’inesistente è una definizione astratta ma semplicemente incontestabile: la liberazione viene dichiarata, ed è proprio quello che la gente dice»11.
Una nuova definizione del soggetto è centrale nella ricerca di Badiou: già in Théorie du sujet esso viene ripensato come la fedeltà a quella rottura radicale con la “situazione” che è l’Evento, caratterizzato dall’emergere di un elemento che è parte della molteplicità di un mondo ma che vi partecipa come inexistant, esistendo in quanto inexistant rispetto a una determinata molteplicità. Il soggetto, dunque diviene soggetto nell’emergere di...