IV.
Corpo, vita e istituzione
1. Dal corpo biopolitico al corpo simulacro
Disincorporazione del potere?
Che la politica e la vita in comune possano essere uno strumento per l’affermazione e la preservazione della vita intesa in senso biologico, di un mero vivere o di una “nuda vita”, era già noto agli antichi, come risulta tra l’altro dal seguente brano di Aristotele citato da Giorgio Agamben all’inizio di Homo sacer:
Questo (il vivere secondo il bene) è massimamente il fine, sia in comune per tutti gli uomini, sia per ciascuno separatamente. Essi, però, si uniscono e mantengono la comunità politica anche in vista del semplice vivere, perché vi è probabilmente una qualche parte di bene anche nel solo fatto di vivere; se non vi è un eccesso di difficoltà quanto al modo di vivere, è evidente che la maggior parte degli uomini sopporta molti patimenti e si attacca alla vita (zoé), come se vi fosse in essa una sorta di serenità (euemería, bella giornata) e una dolcezza naturale.
Ciò che però, secondo Aristotele, caratterizza la vita politica (bios) è il fatto che essa si costituisce a partire dall’esclusione della vita intesa in senso naturale (zoé), che resta circoscritta all’oikos, alla dimensione domestica e privata. Questo rapporto contrastivo tra vita politica e vita naturale è stato evidenziato da Hannah Arendt per affermare la specificità del bios politikos, ovvero della “condizione umana” intesa come vita activa: “Secondo il pensiero greco, la capacità degli uomini di organizzarsi politicamente non solo è differente, ma è in diretto contrasto con l’associazione naturale che ha il suo centro nella casa (oikia) e nella famiglia”. Richiamandosi ad Aristotele e alla Arendt, Agamben tematizza la differenza tra la zoé e il bios con l’intento di mostrare come l’assunzione della “nuda vita” nell’ambito del potere, la sua trasformazione in bios, costituisca un movimento originario e fondativo della politica. Attraverso il concetto schmittiano di “eccezione”, egli definisce l’esclusione della vita naturale, la sua limitazione alla sfera privata, e al tempo stesso la sua costituzione in “nuda vita” sottomessa al potere. Al centro dell’argomentazione di Agamben si trova la figura dell’homo sacer, risalente al diritto romano arcaico, che fornisce l’esempio di un essere umano passibile di essere ucciso impunemente, in quanto bandito dalla comunità politica. Escluso dalla dimensione del diritto umano e divino, l’homo sacer è vita uccidibile e non sacrificabile, caso d’eccezione sulla cui “esclusione inclusiva” si fonda la politica:
Sacra, cioè uccidibile e insacrificabile, è originariamente la vita nel bando sovrano e la produzione della nuda vita è, in questo senso, la prestazione originaria della sovranità. La sacertà della vita, che si vorrebbe oggi far valere contro il potere sovrano come un diritto umano in ogni senso fondamentale, esprime, invece, in origine proprio la soggezione della vita ad un potere di morte, la sua irreparabile esposizione nella relazione di abbandono.
Si configura così una relazione diretta tra “nuda vita”, sovranità e biopotere, per cui la vita in senso biologico fonderebbe la sovranità e quest’ultima sarebbe la radice del biopotere. Lungi dall’essere un modello alternativo a quello della sovranità, la biopolitica ne costituirebbe il nucleo più intimo e segreto, manifestandosi pienamente nello Stato moderno, che porterebbe lo spazio della “nuda vita” a coincidere con lo spazio politico tout court. E, dato che in questo processo è in gioco la distinzione tra l’umano e il non umano, l’articolazione tra il logos e il vivente, la politica diventa il modello di fondo su cui si costruisce la metafisica occidentale, la sua struttura fondamentale: “La politicizzazione della nuda vita è il compito metafisico per eccellenza, in cui si decide dell’umanità del vivente uomo”. In filigrana a questa affermazione del carattere originariamente politico della metafisica si può scorgere il tema heideggeriano della metafisica come pensiero che, attraverso l’oblio della differenza tra essere ed ente, consegna quest’ultimo al dominio della volontà di potenza del soggetto umano.
Prima di Agamben, anche Michel Foucault si riferisce ad Aristotele nel tentativo di definire la relazione tra politica e vita. “Per millenni – scrive Foucault – l’uomo è rimasto quel che era per Aristotele: un animale vivente ed inoltre capace di esistenza politica; l’uomo moderno è un animale nella cui politica è in questione la sua vita di essere vivente”. Attraverso questo riferimento, Foucault non vuole però indicare una continuità, ma intende evidenziare una cesura tra la biopolitica e la sovranità classica, cioè tra un potere che si esercita essenzialmente sulla vita e sui corpi degli individui e un potere basato su un modello contrattualistico e giuridico, che ha trovato a suo avviso la più coerente espressione nel pensiero di Hobbes. Mentre per Agamben la politica è originariamente ed essenzialmente biopolitica (e la modernità non fa altro che esplicitare e portare alle estreme conseguenze questo nesso, svelando una logica già implicita nel diritto romano), per Foucault la coincidenza di politica e vita, l’assunzione della vita nel campo della politica, costituisce una caratteristica specifica della modernità e della crisi della sovranità tradizionale che essa produce. Constatando la tendenza che, nella società moderna, conduce il potere a esercitarsi attraverso il controllo dei corpi, Foucault si interroga allora circa l’esistenza di un “corpo della repubblica”: si può dire che la repubblica abbia un corpo, come lo aveva la monarchia? La risposta di Foucault, come abbiamo visto (cfr. supra, p. 157), è negativa: non c’è un corpo della repubblica. Al corpo del monarca, che incarnava la sovranità e la perennità del corpo politico, si sostituisce nel mondo moderno il corpo della società dove quest’ultimo – diversamente da quanto affermano le teorie contrattualistiche – non è il risultato del consenso, ovvero il prodotto dell’“universalità delle volontà”, ma è costituito dalla “materialità del potere sul corpo stesso degli individui”. Questa sostituzione esprime secondo Foucault un mutamento essenziale nella natura del potere: il nuovo potere, nella sua articolazione di potere disciplinare e di biopotere, si propone di proteggere il corpo della società e di controllare i corpi degli individui. In questa situazione, secondo Foucault, l’analisi deve dissolvere le forme della sovranità giuridico-contrattualistica per raggiungere il livello soggiacente del potere inteso come relazione, o come insieme di relazioni, e non come sostanza:
Il potere non è una propr...