Libertà e natura
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Fenomenologia e ontologia dell'azione

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Fenomenologia e ontologia dell'azione

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In un mondo naturale governato da leggi fisiche e cause efficienti, quale spazio può esserci per azioni libere? Tale interrogativo viene oggi prevalentemente affrontato in una cornice che conduce ad una posizione aporetica, dove l'incoercibile pretesa della coscienza di essere autonoma sembra collidere con le premesse dell'ontologia naturalistica, e con i risultati delle scienze della natura. Una disamina critica dei maggiori argomenti antilibertari consente però di uscire da questa posizione di stallo. Viene progressivamente alla luce l'inderogabilità di un'ontologia qualitativa, un'ontologia che ospita proprietà emergenti, e dove la causalità efficiente dev'essere subordinata sul piano esplicativo alla causalità formale. Tale ontologia si configura in ultima istanza come un idealismo trascendentale naturalizzato, in grado di evitare una riduzione della mente alla materia, senza ricadere nel dualismo cartesiano. In questa nuova cornice ontologica, e solo in essa, possono trovare legittimazione tanto i risultati delle scienze della natura, quanto quelle stesse operazioni di coscienza senza di cui nessuna scienza potrebbe esistere. Sotto queste nuove premesse, intenzionalità, possibilità, e libertà non appaiono più come enigmi e aporie, ma come tratti fondativi del reale.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788857559216

VI.

ONTOLOGIA DELLA LIBERTÀ

6.1. La terza via tra determinismo e indeterminismo
Il primo argomento contro il libero arbitrio che abbiamo incontrato nel paragrafo I.1. presentava un dilemma apparentemente insuperabile. Da un lato ci trovavamo a discutere all’interno di una cornice deterministica, giustificata dall’assunto che la natura sia governata da leggi naturali rigorosamente predittive. Dall’altro lato, e ad apparente completamento del quadro, ci trovavamo a prendere in considerazione leggi naturali indeterministiche, stocastiche. La dualità determinismo-indeterminismo sembrava chiudere in una morsa senza scampo ogni idea di possibile ‘libertà’. Infatti, mentre il determinismo risultava incompatibile con il libero arbitrio negando il sussistere di una pluralità di futuri stati possibili dell’universo, l’indeterminismo risultava anch’esso inconciliabile con il libero arbitrio negando l’autodeterminazione. Scelte casuali, infatti, non rappresentano un’incarnazione soddisfacente dell’idea di una libera scelta capace di decidere razionalmente un corso d’azione. Si profilava perciò uno scenario in cui si doveva veleggiare tra la Scilla dell’assenza di futuri possibili e il Cariddi dell’impossibilità di scelte guidate da ragioni.
A questo punto dell’indagine, però, l’effettiva fragilità di questi vincoli apparentemente ferrei dovrebbe risultare chiara.
Innanzitutto l’idea che il determinismo rappresenti un tratto prevalente ed ovvio dei fenomeni naturali dev’essere rigettato come una mera suggestione, una congettura metafisica. Come abbiamo visto:
1)Non è vero che i fenomeni naturali si presentino come processi lineari incarnati da catene di causalità efficienti. I processi che, dopo adeguata selezione, risultano descrivibili come lineari sono una minoranza; e le catene di causalità efficienti sono solo modi utili per descriverli. Il punto di fondo è che i processi lineari sono in genere matematizzabili in modo più soddisfacente, e dunque sono preferiti nella rappresentazione dei processi naturali che siamo interessati a prevedere e governare.
2)Il riferimento a ‘leggi di natura’ appartiene anch’esso al novero di descrizioni che sono funzionali, ma non garantite dai fenomeni. La nostra coscienza e il nostro organismo devono potersi coordinare con il proprio mondo-ambiente per poter esistere, e dunque tale mondo-ambiente deve presentare regolarità. Che queste regolarità vadano poi intese come l’asservimento ad una ‘legge’ è un’aggiunta suggestiva, feconda come stimolo psicologico alla ricerca, ma ontologicamente irrilevante.
3)Il riferimento, caratteristico della visione determinista, ad un processo dove sussisterebbe solo uno stato futuro possibile si àncora a concetti di tempo e di possibilità del tutto ingenui e dogmatici. L’affermazione che ‘per ogni stato dell’universo in un istante t, esiste uno ed un solo futuro possibile in un momento successivo t1’ è, appunto, solo un’affermazione, una frase che si lascia dire, ma il cui solo sostegno concreto è la nostra capacità di determinare gli esiti di alcuni processi causali e il sussistere di regolarità nel nostro mondo-ambiente.
Ciò che ha reso la prospettiva determinista persuasiva, oltre alle menzionate capacità di governare sequenze causali e all’apparente ‘regolarità della natura’, è stata una mossa argomentativa ad hoc, una mossa volta a mettere fuori gioco tutti i fenomeni che non si conformano alla nostra immagine a priori di un andamento deterministico. Questa mossa è consistita nel liquidare tutte le situazioni dove prima facie non c’era traccia di prevedibilità deterministica come mere apparenze, motivate dalla impenetrabilità epistemica dei sistemi stessi. In altri termini, si è assunto che ontologicamente i processi siano deterministici, ma che non sembrino tali per i limiti della nostra conoscenza di fronte a sistemi complessi. Questa mossa, in sostanza, derubrica la complessità ontologica a difficoltà epistemica: i sistemi complessi, come il cervello, o come l’interazione storica o economica tra molti soggetti, sarebbero in realtà una composizione, di difficile computo, di sistemi di per sé deterministici. Con questa mossa i tratti emergenti nei sistemi complessi vengono letti come mere apparenze, dovute alle nostre attuali incapacità di calcolo o ad una conoscenza insufficientemente dettagliata del sistema. A favore di questa idea può venire sempre portato il fatto che singoli processi isolati in condizioni di laboratorio possano essere descritti con paradigmi deterministici. Il fatto che il comportamento di parti in interi possa essere spesso descritto come determinazione degli interi attraverso la determinazione delle parti alimenta l’idea che la composizione di parti in interi debba preservare, idealmente, caratteri deterministici.
Di primo acchito potremmo considerare parimenti valide l’idea che l’emergenza nei sistemi complessi sia un tratto ontologico e quella per cui l’indescrivibilità deterministica di sistemi complessi sia un mero limite epistemico. Potrebbe cioè sembrare che si tratti di due tesi parimenti sostenibili, in ultima istanza indecidibili. Ma l’idea che la complessità sia un mero fattore epistemico richiederebbe che, man mano che i sistemi vengono scomposti nelle loro parti, essi mostrino in sempre maggior misura uniformità, semplicità e prevedibilità deterministica. Questa idea, tipica dell’atomismo classico, è stata, però, spazzata via dall’avvento della fisica quantistica.
Tuttavia, anche se l’idea di un universo deterministico ci si presenta come nulla più di una congettura suggestiva, priva di supporto fenomenico, rimane da affrontare l’opposizione aporetica che abbiamo menzionato in precedenza. Come notavamo, quand’anche il mondo non sia deterministico, credere che la libertà possa venire dall’indeterminismo è illusorio, perché l’indeterminismo non dà conto di processi di scelta secondo ragioni. Una scelta indeterministica, essendo priva di determinazione, non potrebbe essere neppure l’incarnazione di una forma di auto-determinazione: si tratterebbe semplicemente di una scelta irrazionale.
Questa dualità aporetica tra determinismo e indeterminismo si basa però su un errore logico. Si assume che determinismo ed indeterminismo siano concetti complementari e mutuamente esaustivi, come quando diciamo che ‘o piove o non piove’: tertium non datur. Ma questo è un errore, perché il concetto complementare all’indeterminismo è il ‘non-indeterminismo’, concetto cui corrisponde la determinazione, non il ‘determinismo’. Vi è determinazione quando non tutti i possibili esiti di un processo sono equiprobabili, ovvero quando si dà una restrizione nell’ambito delle sue possibilità (omnis determinatio est negatio). Il determinismo, invece, nomina solo un caso, estremo, di determinazione, ovvero il caso in cui rimane una ed una sola possibilità percorribile. Ma tra la casualità indeterministica e la coazione deterministica vi è tutto lo spazio per quel tipo di processi di determinazione che riconosciamo facilmente come tipici delle nostre azioni volontarie: processi dove alcune ragioni ci muovono ad escludere un insieme di opzioni e a considerarne un insieme diverso.
L’illusione prodotta dall’apparente esaustività dell’opposizione determinismo—indeterminismo è basata, oltre che sulla forma verbale in cui è espressa, sull’idea, corretta ma fraintesa, che ogni azione determinata debba avere ragioni per accadere. Il fraintendimento avviene quando si equiparano le ragioni a cause efficienti, assumendo dunque che un’azione, che sia sospinta da catene causali materiali, o che sia mossa da ragioni, comunque finisce per essere ‘determinata’ nel senso deterministico del termine. Ma una ragione per agire non è niente di simile ad una spinta meccanica. Le ragioni per agire, quel tipo di ragioni che guidano le nostre azioni ordinarie, sono sempre ri-orientamenti dello spettro delle nostre possibilità prossime. Quando decido di prendere la metropolitana e non la macchina, questa scelta non può essere descritta come se il desiderio ‘metropolitana’ sospingesse la mia azione, in modo balistico. Nel processo di scelta, sempre provvisorio e sempre revocabile, noi scegliamo tra opzioni che aprono a scenari solo parzialmente determinati, e prima facie preferiti a quelli alternativi. Il processo di scelta e deliberazione si relaziona alle possibilità non solo come ad una rosa di opzioni da cui estrarre quella da realizzare, ma anche come orizzonte che motiva la scelta. Noi infatti non scegliamo principalmente tra cose, tra realizzazioni, come se la realizzazione esaurisse il senso dell’azione. Di norma scegliamo tra orizzonti di possibilità, dove ciascuna specifica realizzazione trae il suo significato dalla promessa di aprire o chiudere ulteriori spazi di possibilità. Il modo in cui le ragioni muovono l’azione umana non va descritta in termini per cui è la realtà a causare l’azione, ma nei termini per cui è la possibilità a motivarla.
6.2. Possibilità e possibilizzazione
Finora abbiamo lasciato sullo sfondo una nozione cruciale in tutta la discussione intorno al libero arbitrio, ovvero la nozione di possibilità. Come abbiamo visto, è alla sfera della possibilità che dobbiamo riferirci per definire tanto il libero arbitrio che la sua negazione in forma deterministica. Tuttavia, il modo di concepire le possibilità ontologiche nelle discussioni intorno al libero arbitrio è spesso singolarmente dogmatico. Ci si immagina che la possibilità sia come una sorta di ‘contenitore’ predisposto a ricevere un contenuto (la sua ‘realizzazione’). Una singolare operazione mentale viene poi compiuta quando si concepisce il determinismo come un processo in cui c’è sempre una sola possibilità. Qui si immagina dapprima che il mondo contenga molte opzioni possibili, molti contenitori disponibili ad essere riempiti, ma poi si ritiene che vi siano ragioni sufficienti a riempirne sempre soltanto uno. Questa visione è costruita in modo da essere irrefutabile, sostanzialmente tautologica. Come scrive Dennett,1 a realizzarsi di volta in volta è sempre una possibilità sola (per definizione), e se supponiamo che ogni evento si è verificato per ragioni, allora dobbiamo dire che di volta in volta ci sono sempre ragioni sufficienti a produrre uno e un solo esito, il che suona tanto come una formulazione ortodossa del determinismo. Il determinismo appare in questi termini una sorta di necessità logica. È poi sulla base di questo ragionamento che Dennett introduce la sua distinzione tra ‘determinismo’ e ‘inevitabilità’. Secondo Dennett gli agenti possono evitare esiti che hanno anticipato, cionondimeno il fatto di evitarli è obbligato, cioè dipende dall’aver avuto ragioni sufficienti per evitarli, e dunque non fa che confermare il quadro determinista. L’evitare sarebbe dunque un comportamento per ragioni che non scalfisce la cornice determinista. Qui lo spazio delle possibilità alternative sarebbe un puro spazio finzionale soggettivo, laddove la catena delle cause sufficienti necessariamente sfocerà in uno ed un solo esito (quello di volta in volta reale).
Bisogna rimarcare a questo punto come una tale prospettiva sia a tutti gli effetti un raffinato sofisma, che gioca arbitrariamente con le nozioni di tempo e possibilità. Il ragionamento si fonda su di uno spostamento nel passato del nesso tra scelta presente e possibilità future. Presente, passato e futuro vengono pensati come se fossero segmenti sulla ‘freccia del tempo’, di cui è possibile spostare le posizioni preservandone i rapporti ontologici. In questa rappresentazione spazializzata del tempo, dapprima si legge a posteriori lo spazio delle possibilità future identificandolo con l’unica possibilità che si è realizzata. In seconda istanza, si stabilisce che le ragioni della scelta che vi hanno condotto dovevano essere già sempre ragioni sufficienti per uno ed un solo esito. Ma un tale ragionamento trasforma le possibilità future in datità passate, come se fossero cose che possono essere trasportate nel tempo; e così facendo ne cancella la natura. Presente, passato e futuro non sono niente di simile a segmenti su una retta che possano essere spostati come più aggrada. Il presente è presenza ad una coscienza (reale o ideale), così come il passato è frutto di un’operazione di recupero intenzionale e il futuro è l’esito di un’anticipazione intenzionale. Il presente è presente in rapporto al suo passato e al suo futuro, in una correlazione strutturale. Il passato si manifesta alla coscienza in quanto dato assente: esso è inteso come qualcosa che oramai necessariamente è così come è, senza essere più in presenza. Il futuro si manifesta come orizzonte di possibilità, eventualmente suggerite o predelineate dall’esperienza presente. Queste caratteristiche sono fenomenologicamente essenziali e non possono essere rimescolate a piacimento. Né il passato né il futuro si trovano in qualche ‘magazzino ontologico’, come oggetti a disposizione dei visitatori.
In questo senso, le possibilità non sono collezioni di contenitori in attesa di essere riempiti. (La metafora dei ‘mondi possibili’ è una delle più infelici della storia del pensiero, perché invita a pensare alla possibilità come se fosse una forma di attualità sui generis.) Passato, presente e futuro sono concetti che ricevono il loro significato primario a partire dall’esperienza della coscienza, che detta anche le loro forme di relazione reciproca secondo vincoli essenziali. Chi desideri parlare di passato, presente e futuro come di entità trascendenti sui generis, di ‘oggetti speciali’ nel mondo, ha l’onere della prova di dimostrare che qualcosa del genere si dia e che meriti proprio i nomi di ‘passato’, ‘presente’ e ‘futuro’ (che non si tratti, cioè, di una semplice equivocazione).
In verità, concepire passato, futuro o possibilità sul modello di cose sui generis è semplicemente un’istanza dell’onnipresente inclinazione naturalista alla reificazione (obiettivismo).
Non c’è riflessione umana sulla realtà che possa evitare di riferirsi, implicitamente o esplicitamente, alla sfera delle possibilità, la quale si manifesta solo in rapporto ad atti intenzionali di coscienza (rappresentazioni). Possiamo figurarci le possibilità come spazi in attesa di riempimento ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. INDICE
  5. INTRODUZIONE
  6. I. GLI ARGOMENTI CONTRO IL LIBERO ARBITRIO
  7. II. FENOMENOLOGIA DELL’AZIONE LIBERA
  8. III. LA VOLONTÀ È UN EPIFENOMENO?
  9. IV. LO SPAZIO PER UNA CAUSALITÀ DELL’AGENTE
  10. V. CAUSE FORMALI E AUTODETERMINAZIONE
  11. VI. ONTOLOGIA DELLA LIBERTÀ
  12. BIBLIOGRAFIA