1.
Tradizioni patriarcali
e ricerca intersezionale femminista
La nostra esperienza dimostra che l’intersezionalità
dovrebbe essere incorporata in misura maggiore
affinché i discorsi del movimento rom
siano in grado di affrontare la complessità.
Jelena Jovanović e Anna Daróczi,
Still Missing Intersectionality
Per condurre un’analisi esauriente delle disuguaglianze, l’approccio intersezionale propone di coglierne le interconnessioni e di comprenderle come “mutualmente costitutive”, piuttosto che esaminarle l’una indipendentemente dall’altra. Così facendo, è possibile osservare come attraverso un prisma i molteplici effetti delle diverse forme di disuguaglianza e farne emergere le differenti sfaccettature; una visione così complessa è vitale per lo sviluppo di politiche intersezionali, alleanze e coalizioni.
Nelle istituzioni internazionali il primo riconoscimento della multipla oppressione sofferta dalle donne rom (genere, razza/etnia e classe) è apparso nel Quinto Rapporto delle Nazioni Unite del dicembre 2010, in cui figurava una sezione dedicata alle forme di discriminazione multipla subite dalla comunità rom. Per le persone disabili e LGBT le condizioni diventano più critiche, come è stato discusso dal Centro europeo per i diritti Rom in un documento intitolato, appunto, Multiple Discrimination. Tuttavia, le leggi europee rimangono vaghe sulle forme di contrasto alla discriminazione multipla. Non ci sono disposizioni penali in merito alle discriminazioni di genere, razza e orientamento sessuale e nessun controllo o sanzione nel caso in cui gli Stati membri non abbiano varato direttive obbligatorie per prevenire o punire le discriminazioni multiple. Queste ultime sono menzionate solo al paragrafo 14 della Direttiva 2000/43/CE emanata dal Consiglio d’Europa il 29 giugno 2000. Il documento afferma il principio della parità di trattamento e dell’uguaglianza tra persone di razza e origini etniche diverse, senza alcun riferimento esplicito a età, orientamento sessuale, credo religioso o diverse abilità, fattori invece menzionati nella Carta di Nizza, attuata nel 2009 grazie ai Trattati di Lisbona.
I maldestri tentativi delle istituzioni europee di incoraggiare l’inclusione della comunità rom si basano ancora su un concetto di integrazione discutibile e spesso i loro documenti lasciano trapelare pregiudizi, come nel recente piano quadriennale Thematic Action Plan for Roma and Traveller Inclusion, rilasciato il 7 marzo 2016 dal Consiglio d’Europa. Una lettera, che ho firmato insieme ad altri 92 membri della Rete Accademica Europea sugli Studi Rom, spiega i motivi per cui il documento del Consiglio d’Europa risulta inappropriato. La lettera mette in luce come il documento attribuisca la colpa degli effetti dell’emarginazione alla stessa comunità rom e ne richiede espressamente la correzione direttamente a Thorbjørn Jagland, Segretario generale del Consiglio d’Europa.
Nonostante gli sforzi delle istituzioni europee tesi a creare documenti che affrontino le discriminazioni multiple, in molti casi la situazione sta peggiorando, sia che si tratti di empowerment delle ragazze sia che si tratti di contrasto alla rom-fobia, rivolta in particolare alle donne. La retorica razzista e anti-zingara pervade l’intera società, circola negli ospedali e nelle scuole, nei media mainstream e nei discorsi pubblici; alcuni parlamentari incitano persino alla devastazione dei campi zingari. Tutto ciò viene fatto impunemente, senza sanzioni da parte del sistema legale o provvedimenti delle autorità pubbliche responsabili del monitoraggio e della prevenzione dei crimini generati dall’odio (hate crimes).
Le comunità rom sono abituate a non fidarsi delle istituzioni. Dai vertici delle gerarchie sociali e politiche solitamente non arrivano buone notizie, per questo non si aspettano nulla di promettente dallo stato. Ciononostante, alcuni progressi nell’orgoglio zingaro, nell’auto-organizzazione e nella valorizzazione dei processi positivi di interculturalità hanno preso corpo grazie a rapporti fruttuosi e non gerarchici tra attiviste/i zingare/i e non zingare/i che a vario titolo hanno sostenuto le comunità, gruppi antirazzisti, femministe ed educatrici/ori che hanno accompagnato processi endogeni di resilienza nelle comunità rom, sinte e traveller, spesso con scarso o nessun sostegno finanziario.
Dal 2005, i documenti della Commissione europea sulla condizione delle donne rom ne hanno sottolineato la gravità, mettendo in risalto come ricada principalmente su di loro la responsabilità dell’allevamento dei bambini e della mediazione tra le comunità e le istituzioni locali. Il livello di analisi nei documenti europei è tuttavia inadeguato, le soluzioni pratiche proposte non convincenti e le risorse finanziarie non sufficienti. Angéla Kóczé è stata probabilmente la prima studiosa rom a lamentare la mancanza di un approccio intersezionale sulla condizione delle donne rom nei documenti europei prodotti nell’ultimo decennio. L’approccio intersezionale, come vedremo, è cruciale per comprendere e contrastare la discriminazione multipla. Guardando simultaneamente a diverse forme di oppressione, si possono affrontare efficacemente questioni etniche, di genere e di classe nelle comunità di Rom e Traveller e promuovere nella società un’immagine più aderente alla realtà. In effetti, la diffusione degli stereotipi tra educatrici/ori, assistenti sociali, amministrazioni e medici tende a rafforzare i pregiudizi contro le culture zingare, sempre rappresentate come immutabili gerontocrazie maschili, dove le donne sono viste solo come vittime incapaci, specialmente quando si tratta di forme di violenza di genere, senza tener conto del contesto.
L’insediamento delle comunità zingare è spesso accompagnato dal problema della sopravvivenza economica, da vessazioni sociali e violenza di stato. Tali circostanze, insieme alla persistenza delle tradizioni patriarcali, spiegano il verificarsi di episodi di violenza domestica. Le donne sono uscite dal silenzio solo di recente: se la tua comunità è costantemente sotto attacco, l’oppressione di genere all’interno delle famiglie non è considerata così importante. Oltre le forme note della violenza (fisica, sessuale, psicologica ed economica), esistono forme specifiche di violenza legate al contesto patri-locale. Ad esempio, la suocera di una sposa esercita spesso piena autorità sulla nuova arrivata, in alcune zone non è raro che picchi la giovane moglie del figlio “per correggerla”. La pressione culturale sulle donne affinché adattino i propri comportamenti alla tradizione – coprire la testa con un fazzoletto, indossare gonne lunghe, abbassare lo sguardo di fronte agli uomini – è vissuta come “conformismo forzato” dalle giovani generazioni, che non sopportano norme e costumi obsoleti. In alcune comunità non è permesso alle donne indossare pantaloni, quindi portare i jeans diventa una vera e propria conquista per le ragazze che lottano per la libertà di espressione all’interno della loro cultura. Come spiega un’intervistata:
Credo ci siano donne che di fronte ai maltrattamenti non reagiscono, e donne che reagiscono e pensano da sole… Dico che dovrebbero reagire, non lasciare che il marito le maltratti – sono le donne a dover reagire, come stiamo facendo oggi. Adesso le donne rom capiscono di avere scelta e qui ci sono ragazze che hanno un lavoro… Viviamo in una comunità rom dove le donne indossano sia gonne lunghe sia pantaloni. Dovremmo forse stare ad ascoltare quello che ci dicono di fare?
Alcune ricerche-azioni f...