Amina Crisma
Cina: scrittura come immagine e
forme del pensiero
1. Un problema preliminare: come rapportarsi all’alterità della Cina?
Il ruolo dell’immagine nella cultura cinese è un tema molto vasto che si può affrontare da prospettive diverse. Lo propongo qui da un’angolatura particolare: l’iconicità della scrittura nel suo rapporto con peculiari forme di pensiero, che hanno contribuito e contribuiscono a configurare concezioni e atteggiamenti significativi. Prima di addentrarmi in quest’argomento mi sembra comunque opportuna qualche preliminare precisazione di carattere metodologico.
Il mio discorso non intende in alcun modo descrivere strutture metastoriche e metafisiche di una presunta Cina perenne e atemporale, che già Étienne Balasz stigmatizzava come “sciocco cliché di cattivo gusto” in indimenticabili pagine del suo libro La bureaucratie céleste, e che i cultori di un certo essenzialismo culturale oggi più che mai in voga continuano pervicacemente a prediligere, nonostante tutte le fondate critiche che vi sono rivolte. Non si tratta qui tanto di inseguire il mito seducente dell’eterna Cina, invariabilmente ricondotta entro il costrittivo e astratto schema dualistico di una prevedibile opposizione rispetto a un altrettanto mitico, favoloso e indeterminato Occidente, a sua volta ridotto a banale ipostasi, quanto piuttosto di rappresentare alcuni concreti aspetti di lunga durata nel loro emergere e nel loro formarsi, nel loro dispiegarsi nel corso del tempo e nel loro complesso intreccio con vicende di mutamenti e trasformazioni che andranno qui almeno sommariamente evocati.
Così dunque il rinvio alla concretezza della dimensione storica non costituisce un elemento accessorio di questa esposizione, ma ne è un ingrediente ineludibile. A formare questa prospettiva concorrono due diversi versanti di esperienze che sono per me costantemente coimplicati: da una parte, il lavoro ermeneutico su testi cinesi antichi (in particolare fonti confuciane e taoiste d’età pre-imperiale) e sulle loro interpretazioni antiche e moderne, dall’altra un ampio confronto interdisciplinare, orientato in particolare a far interagire le acquisizioni della sinologia con il dibattito filosofico che si va svolgendo, e al cui centro sta la vexata quaestio, oggi più che mai controversa, di come definire la problematica natura della sinità.
Credo che una rappresentazione di quest’ultima che ne restituisca la complessità e l’intrinseca dialettica come concreta costruzione storica, mutevole e diveniente, possa costituire un fertile contributo a un orizzonte filosofico interculturale capace di definire una più vasta e comprensiva nozione di umanità, poiché, come dichiarava Simon Leys in una sua pagina famosa, “soltanto quando consideriamo il grande Altro che è la Cina siamo in grado di prendere una misura più esatta dei contorni e dei limiti del nostro io culturale”. E la riflessione sulla natura e sulle caratteristiche di tale alterità può a mio avviso rivelarsi particolarmente feconda se viene declinata nel confronto con la corposità delle sue parole, inscritte nella peculiare materialità del suo codice simbolico: le parole che, come asseriva Giacomo Leopardi, sono “non le vesti ma i corpi del pensiero”. In altri termini, per cercare di comprendere che cosa costituisca in effetti la sinità occorre innanzitutto considerare la concreta specificità del sistema di scrittura che ne struttura l’orizzonte, e che presenta la costitutiva singolarità di imperniarsi sull’immagine anziché sulla phoné: un sistema che può apparire di arduo apprendimento rispetto ai sistemi di scrittura alfabetica, dato che richiede la memorizzazione di migliaia di caratteri, ma che si è rivelato di duratura efficacia, e che si è mostrato capace nel corso di una vicenda plurimillenaria di mantenere unita una vastissima area culturale.
È opportuno in ogni caso rammentare che è impropria la definizione tout court di ideografica per la scrittura cinese, dato che essa implica aspetti fonetici e che, come studi recenti hanno mostrato, evidenzia fra l’altro un’evoluzione che intrattiene complessi rapporti con l’oralità e anche talune tendenze per certi versi affini a quelle delle scritture cuneiformi nello sviluppo di una notazione sillabica. Si preferisce dunque designarla come logografica, il che tuttavia non equivale a disconoscerne la differenza di funzionamento rispetto a una scrittura puramente alfabetica, in quanto le sue unità – i caratteri – di per sé, nella loro immagine grafica, nella loro pura visibilità, veicolano un’intensa carica semantica, come cercherò più avanti di mostrare attraverso vari esempi.
È il caso comunque di additarne fin d’ora uno, celeberrimo, che di tale pregnanza semantica rappresenta un’attestazione quanto mai cospicua, e che nella sua efficacia emblematica designa un termine chiave della cultura cinese: Dao (Fig.1). Più avanti esaminerò il problema della sua traduzione; mi limito qui a segnalare che tale carattere effigia al contempo la via e il viandante che la percorre: si può assumerlo dunque a simboleggiare quell’accentuata propensione a dar valore alla relazionalità che costituisce un caratteristico atteggiamento del pensiero della Cina antica.
Fig. 1: Dao
2. Il ruolo dell’immagine nelle tradizioni culturali cinesi
Il discorso sull’iconicità della scrittura mi sembra comunque inseparabile da una considerazione del più generale ruolo dell’immagine nelle tradizioni culturali cinesi, che è oggetto di rinnovata riflessione negli scenari della Cina d’oggi. Ce ne offre un esempio uno dei più celebri intellettuali contemporanei, Li Zehou, che vi ha dedicato un ampio e suggestivo excursus storico e filosofico, una sorta di summa onnicomprensiva, dalla preistoria all’ultima dinastia imperiale, in una delle sue opere più affascinanti e divenute più note a livello internazionale, Mei de licheng (La via della bellezza, 1981). In questo volume, che costituisce fra l’altro la significativa espressione di un riformulato e riaffermato rapporto con le tradizioni caratteristico della temperie post-maoista – decisamente antitetico rispetto all’iconoclastia che ha connotato come tendenza dominante in particolare l’epoca della Rivoluzione Culturale (1966-76) ma che in senso lato e più in generale percorre tutto il Novecento – esso viene indagato in relazione alla multiforme ricchezza di uno straordinario patrimonio artistico. Questo include un’immensa varietà di espressioni – dai bronzi arcaici della dinastia Shang, con i loro pressoché ossessivi e inquietanti motivi zo...