Parte Terza
Una morale civica
per difendere gli animali
Capitolo 7
La civiltà dei
costumi repubblicani
di fronte alla sofferenza
degli animali
Si mossero meglio i candidati agnostici? Si ricorderà che il quesito del concorso chiedeva espressamente se fosse necessario legiferare per difendere gli animali dalle violenze inflitte loro. La maggior parte degli autori non la pensava così e alcuni insistevano sull’inutilità di una legge apposita, che era per larghi tratti inapplicabile in un contesto sociale segnato da quotidiane violenze. A detta loro, queste erano l’eredità di un ancestrale atavismo nelle relazioni tra l’uomo e la bestia, accresciuto dalle lotte politiche, dalla guerra civile, dalle divisioni sociali, dallo scisma religioso e dal clima di guerra permanente in atto sin dal 1792. La morale si imponeva di conseguenza come il solo riferimento, una extrema ratio che permettesse di traghettare la Francia oltre una crisi procurata dalle continue violenze. I candidati, guariti dalla pretesa dei primi tempi rivoluzionari di voler legiferare su tutto, puntarono piuttosto su qualche principio pratico: come se avessero alla mente le parole di Barére, che sosteneva l’inutilità di una legge votata ma poi non applicata, o quelle di Saint-Just, che auspicava il rafforzamento delle istituzioni repubblicane anziché una moltiplicazione dei regolamenti.
Nelle quattordici dissertazioni che, trascurando qualsiasi appello alla religione, guardavano ai fondamenti repubblicani su cui si reggeva il sistema politico del Direttorio, la gamma degli argomenti al riguardo era ampia. La rigenerazione della società, sempre stando all’opinione che traspare dalle dissertazioni, poteva essere avviata grazie a quel patto repubblicano che si era consolidato soprattutto a partire dal colpo di stato di Bonaparte e che prometteva la nascita di nuovi valori. La filosofia dell’antica Roma repubblicana, il senso civico al centro delle rivoluzioni come aveva proposto Thomas Paine, la ragione filantropica che si era affermata durante il secolo dei Lumi, il pensiero del diritto naturale, l’educazione civica, l’economia politica utilitarista concepita per il benessere di tutti, la nuova dottrina volta a legare la tutela del patrimonio ambientale all’ideale repubblicano, componevano un sistema di idee sempre più sofisticato e concorrenziale alla tradizione cristiana. Agli albori del secolo XIX, infatti, i cattolici non avevano il monopolio dei sentimenti e alla carità cristiana si contrapponevano, in più di una memoria, la beneficenza e la benevolenza civica.
Christian Friedrich Warmholz, già pastore protestante, indicò puntualmente, nella memoria numero 8, gli aspetti dell’atteggiamento che dovevano tenere i cittadini verso gli animali: “Bontà, solidarietà disinteressata e liberalità”. Sviluppando un pensiero d’impronta giuridica, egli ricordava due principi fondatori della società dal 1789: da un lato, la sensibilità sorta dal rispetto dei diritti naturali doveva tradursi nella legge positiva e, dall’altro lato, la norma aveva senso solo se diveniva uno strumento a protezione del debole. Ricordare tutto questo, nel 1802, costituiva un deciso atto di resistenza civile alla repubblica liberticida che era in via di costruzione. Forte di queste considerazioni preliminari, l’essere umano aveva di conseguenza il dovere di impegnarsi per conferire agli animali uno statuto particolare:
L’uomo ha accordato dei diritti all’individuo debole e limitato quegli stessi diritti [che] ha riservato a se stesso, diritti di personalità, di conservazione, di proprietà, di vantaggio […] Da questo punto di vista, gli animali e gli esseri eternamente privati del beneficio della parola, hanno bisogno di un avvocato e di un padrone non appena abbiano dei diritti da reclamare, di cui si contesti loro l’esercizio e l’usufrutto. […] Quindi gli uomini, come gli animali, obbediscono a una legge di natura che è quella della conservazione e vi devono obbedire. […] Gli uomini si conservavano e si perfezionavano, mentre le altre creature si conservavano solamente. Il diritto era lo strumento che la natura offriva all’uomo per provvedere ai propri bisogni.
La sensibilità dell’essere vivente fondava pertanto i diritti di ogni specie:
L’uomo è dunque chiamato, come fa con i bambini, con i lattanti e con i minori, a proclamare i diritti degli animali, a rispettare quei diritti, a mantenerli e a difenderli. L’uomo è il tutore, nato dalla creazione privata della ragione e del dono della parola. Noi possiamo, noi dobbiamo dire, senza cambiare le regole della lingua, che l’animale ha il diritto di salvaguardare la sua vita e di mettere in atto tutte le azioni necessarie per esercitare questa salvaguardia. In accordo con la volontà e le leggi della natura, l’animale ha il diritto di propagarsi e di esercitare tutti gli atti che tendano a questo fine.
In tal modo era appena stato compiuto un passo decisivo, che solo le leggi rivoluzionarie e poi repubblicane avevano reso possibile. Si era sancito che gli animali avevano diritti dei quali non potevano però produrre rivendicazione: spettava quindi all’uomo, dotato di parola, di farsene l’interprete e il difensore, poiché ogni diritto generava in cambio un dovere. L’allusione a quanti non sapevano ancora parlare, i bambini o gli altri minori, ma anche i folli privi dell’uso della parola e i vecchi che dimenticavano quanto detto, sollevava il problema etico della naturale debolezza animale e dell’esigenza di una legge che portasse a considerarlo, in nome di una filosofia dei diritti naturali, come un essere pienamente integrato seppur da posizione inferiore nella società repubblicana. Era logico, secondo questi autori, che l’animale, non raggiungendo la condizione di soggetto di diritto, fosse però un oggetto di diritto.
Dodici anni dopo aver proclamato i diritti dell’uomo, anche se solo nel ristretto ambito delle memorie presentate al concorso, prese forma un deciso progresso politico. Sempre secondo Warmholz,
l’uomo è un essere sensibile, un animale, in una parola, posto dalla natura al centro degli altri animali, ha una comunione di diritti con loro. […] Il diritto è lo strumento che la natura offre all’uomo per provvedere ai suoi bisogni.
Così, l’uomo possedeva il diritto di preservarsi, di difendersi, di nutrirsi, di coprirsi e di far fruttare la terra. In queste condizioni, gli animali potevano servirgli. Tuttavia, “ogni volta che egli uccide un animale senza essere mosso da una di queste ragioni, calpesta i diritti degli animali, commette un’ingiustizia, un omicidio nel vero senso della parola”. Accadeva lo stesso quando imponeva loro un lavoro sproporzionato. In entrambi i casi, in nome della comunità di diritti condivisi da uomini e animali, egli commetteva una barbarie. L’autore poteva così concludere, secondo un’argomentazione circolare, che sulla sensibilità fondavano i diritti comuni all’uomo e all’animale e che il loro rispetto aumentava la bontà, la solidarietà disinteressata e la liberalità dell’uomo, che così cresceva, “testimoniando riconoscenza alla natura per avergli messo a disposizione esseri che non possono agire liberamente né per nuocergli, né per servirlo, ma che alla fine rendono la sua vita migliore”.
La Rivoluzione dei diritti del 1789 aveva insomma fondato ben più di un’astratta uguaglianza fra tutti. Aveva dato vita al riconoscimento politico dei più deboli, che possedevano gli stessi diritti di quanti dichiaravano avere invece ben più illustri origini. Il legislatore repubblicano del 1794 si era poi spinto ancor più lontano:
La predisposizione ad abolire insensibilmente la tratta dei neri e la servitù, ma anche la decisione precipitosa che si era presa qualche tempo fa a questo proposito, prova come la maggioranza delle menti illuminate d’Europa sia dell’avviso che le differ...