Una vita "con" la psicoanalisi
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Una vita "con" la psicoanalisi

La costruzione del cervello e il futuro dell'Umanità

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Una vita "con" la psicoanalisi

La costruzione del cervello e il futuro dell'Umanità

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Con questo ultimo testo, l'autore intende lasciare un testamento scientifico in una prospettiva antropologica, con la trattazione dei temi più significativi della Psicologia Clinica Perinatale sviluppati nella sua Scuola negli ultimi lustri: la prevenzione per la salute mentale, per bambini che possano diventare genitori capaci di allevare adeguatamente i propri figli e questi, a loro volta, le generazioni future. Gli argomenti sono trattati integrando le neuroscienze con la psicoanalisi e la Psicologia Sperimentale per descrivere come si origina e si sviluppa il Bodybrainmind, dal concepimento all'età adulta, in una evoluzione della genitorialità che prelude a una transgenerazionalità dalla quale dipende il futuro dell'umanità e della civiltà.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788857562346
Capitolo 1
La Psicologia Clinica
1.1 “Clinico” e Psicologia Clinica
La maggior parte degli “operatori della salute”, e anche la maggior parte della gente comune, equipara l’aggettivo “clinico” a “curativo”. Così la “psicologia clinica” è intesa come l’applicazione del sapere psicologico per curare chi è psichicamente o comunque fisicamente ammalato, un curare come lo si intende in senso medico, con interventi “sul” paziente, cioè transitivi anziché interpersonali (Imbasciati, 1993). Sempre, nel mio ormai lungo percorso, mi sono battuto contro questa concezione, che riduce le differenti scienze psicologiche a una unica “psicologia in generale”, diversa dalla Psicologia Generale quale ufficialmente e scientificamente codificata, e il metodo clinico ad artigianali tecniche curative (Imbasciati, 1983, 1993, 1994, 1995, 2006, 2008a,b; Imbasciati, Margiotta, 2005, 2008).
Malgrado la mia opera nella psicologia italiana, nonché quella di altri studiosi (Salvini, 2004) e lo stesso Statuto del “Collegio dei Professori e Ricercatori Italiani di Psicologia Clinica”, di cui fui cofondatore, nonché la nomenclatura ministeriale dei Settori Scientifico-disciplinari, il significato medico dell’aggettivo clinico sembra tuttora permanere, e pervadere la cultura generale prevaricando su quello psicologico. Per tale pervasiva prevaricazione più volte mi soffermerò sui pregiudizi profondamente inconsci della nostra cultura.
La Psicologia Clinica non è l’intervento di uno psicologo più o meno specializzato per “curare” un eventuale disagio e/o sofferenza psichica e fisica, cioè per ovviare una anomalia manifestatasi – questo è eventualmente una delle applicazioni di questa disciplina – bensì primariamente una scienza che indaga con un suo specifico metodo in che cosa consiste la psiche umana, o meglio la Mente, come si origina, come funziona: nell’ottimalità o entro forme e livelli di una norma statistica, piuttosto che nell’anomalia, nelle sue più svariate, sommesse o salienti, manifestazioni. Tale scopo primario, se perseguito, serve non semplicemente a curare, ma a prevenire. La prevenzione dovrebbe sempre avere la priorità rispetto alla cura: a maggior ragione da quando tutte le scienze psicologiche, e le neuroscienze, hanno dimostrato che qualunque sofferenza psichica, quando si manifesta, ha ragioni remotissime nell’origine della struttura mentale di quel soggetto. L’inconscio, inferito cento anni fa dalla psicoanalisi, ha trovato oggi nuove formulazioni nelle dimostrazioni delle scienze cognitive e delle neuroscienze.
Ma se tale Psicologia Clinica si rivolge agli albori dell’individuo – perinatale –, ha senso cercare radici ancor più remote?
È qui proprio che il progresso delle summenzionate scienze di questo ultimo mezzo secolo ha fatto la sua scoperta. La mente comincia nel feto (Imbasciati, Margiotta, 2005). Non solo: ciò che si forma all’inizio in un feto dipende dalla mente e dalle condizioni esistenziali dei genitori. Dunque una prevenzione, in campo psichico, deve partire dall’ambiente perinatale, anzi deve risalire nelle generazioni. Dovrebbe essere questa prospettiva ad informare l’Igiene Mentale. Alla base dovrebbe esserci una chiara distinzione tra “salute” e “sanità”.
Purtroppo le nozioni inerenti ai concetti qui sopra accennati non sono sufficientemente presenti nella formazione degli operatori dei vari servizi, non solo sanitari, preposti alla Salute e pertanto alla prevenzione. Tanto più per quanto riguarda la perinatalità. Allo scopo pertanto di introdurre il presente volume, indispensabile si presenta ricordare nozioni generali e fondamentali, non ancora del tutto assimilate dalla cultura assistenziale.
Comincerò con un interrogativo che a qualcuno, purtroppo, suonerà semplice: cos’è una patologia psichica? Coloro ai quali suona ingenua, infatti, avranno come risposta pronta una idea di malattia, cioè di qualcosa che è venuto a turbare o menomare il normale, e “naturale”, sviluppo psichico. Niente di più sbagliato, ma solo l’effetto alone di un inveterato stereotipo medicalista che tutt’oggi, malgrado smentito dalle neuroscienze, perdura. Non si possono applicare alla mente (psiche: già, ma cos’è la psiche rispetto alla “mente”?) e neppure al cervello i modelli medicalistici; tranne che nei casi di traumi cranici. Ma, questi a parte, quant’altra e tanta psicopatologia si incontra? Se poi non si considera quella che è evidente alla prima occhiata (o a parola di quel che lamenta quel soggetto), la quantità è enorme. La risposta che vien data alla suddetta domanda è sbagliata perché si ha una idea errata di come tale “patologia” si origini. Per rispondere all’interrogativo che ho proposto, occorre infatti avere la risposta corretta ad un secondo: “come si origina una patologia psichica?”.
Qui l’inveterato erroneo stereotipo presuppone che la mente debba avere uno sviluppo cosiddetto normale perché dipende da un cervello che si presuppone avere uno sviluppo normale per natura, dettato cioè dal genoma, salvo che qualche causa abbia turbato questo naturale sviluppo. Altri, non considerando il cervello, pensano che la mente (ancor più se credono che psiche voglia dire qualcosa di diverso) possa svilupparsi in una maniera naturale, “normale”, se non intervengono eventi particolari, di tipo pedagogico o esistenziale, che alterano lo sviluppo naturale. Entrambe queste ipotesi sono smentite dalle neuroscienze.
Innanzitutto, cosa è patologico e cosa rientra nella cosiddetta normalità? “Norma” è concetto puramente statistico, e il suo limite con l’anormale è convenzionale. Tra una normalità perfetta e l’insania più evidente c’è tutto un continuum. A maggior ragione per lo psichico: dove collocare quelle anomalie di carattere che non ci sembrano “normali”, ma neppure patologiche?
Ma il problema dei suddetti due errori è che nella cultura comune non sono state ancora assimilate le nozioni fondamentali, su mente e cervello, derivate dalle scoperte delle neuroscienze in questi ultimi vent’anni. Cerco qui di riassumerle, ancorché in modo necessariamente semplificato.
1.2 Mente e cervello
1. Il cervello non è come tutti gli altri organi del nostro corpo. A rigore non è un “organo”. Tutti gli “organi” svolgono la loro specifica funzione, uguale in tutti gli individui, salvo piccole variazioni. Il cervello invece non svolge funzioni sue predeterminate, tranne quelle inerenti al proprio metabolismo cellulare, bensì la funzione generale di dirigere, bene o male, tutti gli organi del corpo e di produrre e regolare nell’essere vivente un comportamento adattativo “intelligente”. Quelle che al senso comune sembrano “funzioni mentali”, volgarmente catalogate come memoria, pensiero, linguaggio, affettività, ecc., non hanno corrispondenza con funzioni altrettanto specificamente definibili del cervello, ma sono soltanto il risultato di un cervello nel comportamento di un individuo o nella sua esperienza soggettiva (cfr. capp. 4, 14). Non si può comparare un effetto psichico e/o comportamentale individuale a una qualche omologa funzione cerebrale: non si può quindi supporre che le cosiddette funzioni mentali corrispondano a ipotetiche e distinte zone funzionali del cervello. Vano si è dimostrato il pervicace cinquantennale tentativo di localizzazione di queste, o di altre “funzioni”, in zone del cervello. Il cervello opera in quanto tra i suoi miliardi di neuroni si vengono a formare collegamenti che costituiscono reti neurali, intrigate e comunque interessanti quasi tutte le zone cerebrali. Funzioni che più propriamente concernino il cosiddetto comportamento intelligente non sono riducibili a quelle del senso comune, né sono prodotte da distinguibili zone funzionali del cervello, ma da combinazioni di alcune, spesso moltissime, reti neurali, che sono continuamente in azione. Alcuni nuclei del cervello sono indispensabili perché si abbiano certi effetti, ma non sono da soli in grado di produrli. Le reti neurali, d’altra parte, non sono preformate: si costituiscono per sinapsi a seguito dell’esperienza; è questa che produce i loro collegamenti. In altri termini il cervello è sempre individuale, in quanto deve imparare ciò che sarà in grado di operare – le sue effettive funzionalità, non l’effetto che appare al senso comune – che sarà svolto nella misura e nei modi con cui quel cervello lo ha imparato.
2. Lo sviluppo del cervello, cioè delle reti neurali, non è regolato dal genoma, cioè non esiste un cervello “normale” per natura, bensì dall’esperienza. È per l’esperienza, o meglio per certi tipi di esperienza, che si formano i collegamenti sinaptici. Il cervello riceve dal corpo una continua grande e svariata quantità di informazioni: da tutti gli apparati sensoriali (retina, coclea, vestibolo, recettori tattili, pressori, termici, dolorifici, gustativi, olfattivi), esterni e interni (propriocezione osteotendineo-muscolare, enterocezione dai vari visceri, chemiorecettori ematici ed altri). Tutte queste informazioni vengono “elaborate”: il cervello è paragonabile a un computer (i francesi dicono elaborateur) che assembla, trasforma, e poi organizza, continuativamente e in svariati modi, tutte queste “afferenze”. Ogni tipo di organizzazione comporta nuovi collegamenti sinaptici che danno origine a nuove reti neurali: le nuove reti con le modifiche di quelle precedenti, costituiscono la capacità funzionale che viene messa in memoria di quanto elaborato e appreso (cfr. cap. 14).
3. Queste memorie non sono da intendersi, come nel senso comune, alla stregua di immagini di oggetti, o comunque di configurazioni percettive di qualcosa così come viene percepito da un adulto. Sono invece nuove connessioni neurali che costituiscono nuove capacità funzionali, cioè elaborative di quel cervello, che sono state apprese e in tal modo memorizzate. Il cervello, così, impara: l’apprendimento è concretamente costituito dai nuovi collegamenti, che ne sono memoria: impara progressivamente sempre nuove capacità elaborative, cioè funzionali; impara a svilupparsi. Ogni nuova rete neurale che si costruisce a seguito dell’elaborazione di nuove combinazioni di afferenze, costituisce memoria: memoria di funzioni.
4. Ne consegue che, siccome le afferenze che giungono al cervello di un individuo non sono mai le stesse che giungono al cervello di un altro (ogni soggetto è immerso in un ambiente sorgente di informazioni che non è mai lo stesso), ogni cervello è fatto a suo modo: a suo individualissimo modo. Ogni cervello ha imparato a funzionare a suo modo. Nessuno ha un cervello uguale a quello di un altro. Nessuno può avere una mente uguale a quella di un altro.
5. C’è qui il dibattuto quesito se la mente sia prodotta dal cervello: il quesito viene oggi reso complesso dall’epigenetica. Il cervello produce la mente e contemporaneamente la mente, cioè l’insieme funzionale che elabora le informazioni, genera nella sua continua esperienza nuove reti neurali e pertanto nuove capacità del cervello. Il cervello viene così a costruirsi sulla base dell’esperienza della mente. C’è un feed back continuo, circolare, tra mente e cervello (Imbasciati, 2013; Imbasciati, Longhin, 2014, cap. 21).
6. La tradizione filosofico-teologica dell’occidente ci ha abituato a pensare che gli affetti siano qualcosa di diverso dai processi “mentali”, cioè da quelli della cosiddetta cognizione, dall’intenzionalità, dalla coscienza: si sono coniati tanti termini, come “psic...

Indice dei contenuti

  1. Introduzione autobiografica
  2. Una premessa
  3. Capitolo 1 La Psicologia Clinica
  4. Capitolo 2 La Psicologia Clinica Perinatale
  5. Intermezzo
  6. Capitolo 3 Dalla sessualità alla genitorialità. E l’infertilità?
  7. Intermezzo
  8. Capitolo 4 Pregiudizi e ideologie su mente e cervello
  9. Intermezzo
  10. Capitolo 5 La mente e il suo sviluppo: il coscienzialismo
  11. Intermezzo
  12. Capitolo 6 L’inconscio è l’essenza della memoria: difficoltà per gli psicoanalisti?
  13. Intermezzo
  14. Capitolo 7 Salute mentale dei genitori e transgenerazionalità
  15. Intermezzo
  16. Capitolo 8 I primi mille giorni di vita
  17. Intermezzo
  18. Capitolo 9 Psicologia Clinica Perinatale per la prevenzione: “intervento” per la salute mentale
  19. Intermezzo
  20. Capitolo 10 L’Osservatorio di Psicologia Clinica Perinatale
  21. Capitolo 11 Generatività: genitorialità e futuro dei figli
  22. Intermezzo
  23. Capitolo 12 La formazione degli operatori “PSI”
  24. Intermezzo
  25. Capitolo 13 Servizi psicologici e immagine dello psicologo
  26. Intermezzo
  27. Capitolo 14 Inconscio e coscienza della memoria: quale coscienza per l’incognita della memoria?*
  28. Postscriptum e intermezzo
  29. Capitolo 15 Come cambierà il nostro cervello?
  30. Postfazione