L'automa
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L'automa

Leibniz, Bergson

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L'automa

Leibniz, Bergson

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Informazioni sul libro

Questo libro non fa la storia di un'idea ma isola un paradigma e suggerisce che si tratti del paradigma stesso del contemporaneo. Lo fa attraverso quattro esempi: la ferita, e che cosa significa subirne una; gli imenotteri, e come vivono, soprattutto come cacciano le loro prede; il calcolo infinitesimale, e come disegna l'essere chi scrive e calcola con quel metodo; il sogno, e come esso veglia al fondo della nostra esperienza. Esempi di automatismo in senso anzitutto etimologico. Automa è ciò che si muove da sé, per proprio impulso, in assenza di uno sguardo di sorvolo, di una ragione esteriore. Ma la tesi di questo libro è che proprio perciò l'automa è il nome della produzione incessante di differenze, della risonanza telepatica di ogni cosa in ogni cosa, della solitudine iperconnessa di ogni essere.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788857562520

Cap. 1
L’evento

1. Il poeta

Che cosa significa che qualcosa accade? Com’è fatto l’accadere di qualcosa, chi o cosa registra che qualcosa accade, dove si scrive questo accadere insieme ai suoi documenti e ai lettori di quei documenti?
Scrive Deleuze in Logica del senso: “Si esita a volte a denominare stoica – nel senso della stoà – una maniera concreta di vivere, come se il nome di una dottrina fosse troppo libresco, troppo astratto per designare il rapporto più personale con la ferita. Ma da dove provengono le dottrine – dice ancora Deleuze – se non da ferite e aforismi vitali che sono altrettanti aneddoti speculativi con una loro carica di provocazione esemplare? Bisogna chiamare Joë Bousquet stoico”1.
Bousquet è un personaggio importante ma quasi segreto della letteratura francese novecentesca. Ventenne, volontario nella prima guerra mondiale, viene colpito da una pallottola alla spina dorsale. Rimane paralizzato alle gambe per il resto della vita. Quando Deleuze parla di “aforismi vitali”, quando parla di un taglio, di una ferita vitale, allude anzitutto a questa circostanza biografica. Ma fa di questa ferita il paradigma di quello che sarebbe un evento, un incontro, una cesura, una discontinuità, una disgiunzione, che allo stesso tempo fa sintesi, ha un tratto vitale, un tratto creativo. Accade qualcosa quando c’è cesura e articolazione, discontinuità che articola nuove continuità, divisione che irradia le congiunzioni iscritte in quella stessa divisione.
È interessante che Deleuze affidi a un’immagine di questo tipo il compito di esprimere in modo esemplare la questione dell’evento, che nella lingua della filosofia tradizionale è questione di un rapporto tra il soggetto e ciò che accade, tra il soggetto e il predicato che gli si aggancia, o in altri termini che sono poi gli stessi, tra una sostanza e un accidente che la investe, tra un sostrato e qualcosa che si incide in esso più o meno durevolmente. Forse non si tratta affatto di un rapporto tra un soggetto e un predicato, tra una sostanza e un accidente. Forse proprio questo Deleuze vuole mettere in questione. Ma intanto prendiamo l’immagine nella sua superficie, introduciamoci per questa via nella questione. Che qualcosa accada, sarebbe questione di un incontro tra qualcosa e qualcos’altro, tra un primo qualcosa che vale come soggetto, sostrato, sostanza, e un secondo qualcosa che vi lascia un segno, che vi si iscrive, vi si incide.

2. La ferita

“Bisogna chiamare Joë Bousquet stoico”, scrive Deleuze. Questo soldato diventerà un grande letterato, autore di un’opera poetica importante e di un ampio epistolario anch’esso interessante e influente. Pensiamo alle Lettres à poisson d’or, indirizzate a una sua giovane corrispondente ribattezzata “pesce d’oro”, ai suoi rapporti con Simone Weil, a tutta una serie di personaggi di rilievo con cui è in contatto. Abbiamo qualcuno che dopo questa ferita, e a partire da questa ferita, diviene ciò che è, per usare la formula di Nietzsche. A partire da questa ferita, trova modo di “essere all’altezza di ciò che ci accade”, per usare le parole che Deleuze dedica a Bousquet. È questo “essere all’altezza”, il tratto stoico che Deleuze indica nel poeta soldato, nel poeta paralizzato. Fare esperienza di ciò che accade, corrispondere all’evento con un evento, ecco in prima approssimazione il nocciolo di questa etica stoica, ecco in prima battuta il senso di questo “essere all’altezza”.
La ferita che Bousquet “porta profondamente nel suo corpo”, prosegue Deleuze, “egli la afferra nondimeno e a maggior ragione nella sua verità eterna e come evento puro”. Quest’uomo è colpito da una pallottola, quest’uomo è la tavola di cera in cui si conficca l’evento. È un lato della questione. Ma c’è un altro lato, ed è per questo che tutta la serie di coppie che ricordavamo, soggetto e predicato, esperienza ed evento, sostanza e accidente, sostrato e iscrizione, sono e non sono pertinenti, sono implicate nel discorso di Deleuze ma sono anche messe in questione dal discorso di Deleuze. È a quest’altro lato della questione, che allude Deleuze quando scrive che “la ferita che Bousquet profondamente porta nel suo corpo, egli la afferra nondimeno, e a maggior ragione, nella sua verità eterna e come evento puro”. Bousquet non è una tavola di cera, l’evento non è solo un accidente che si scrive nella carne di un soggetto o sulla pagina di un sapere. Se l’evento non è un accidente, è invece una necessità?
Tutto dipende da come si intende la necessità. E in fondo, da come si intende la necessità, dipende come si intende lo stoicismo di cui parla Deleuze, e forse lo stoicismo degli stoici antichi, lo stoicismo come un’altra logica oltre che un’altra etica, che fa da contrappunto alla logica e all’etica della contingenza e della necessità, che è appunto la logica e l’etica della tavola e dell’iscrizione, del soggetto-sostrato e del predicato-accidente. Deleuze continua con queste parole: “Nella misura in cui gli eventi si effettuano in noi, gli eventi ci aspettano e ci aspirano, ci fanno segno”. Dopo di che cita le parole dello stesso Bousquet: “la mia ferita esisteva prima di me, io sono nato per incarnarla”2. Irrompe l’altro lato della questione, come lo chiamavamo poco fa. Bousquet è la tavoletta su cui si iscrive l’evento, ma anche la ferita è la tavoletta su cui si iscrive l’evento Bousquet. Bisogna pensare questi due lati della questione, ed è quello che fa Bousquet con la sua osservazione. Non può mancare di colpirci, questo capovolgimento. È un capovolgimento, però, quello a cui mira Deleuze? Forse Deleuze mira non a un capovolgimento ma a una sconnessione più profonda della logica del soggetto e del predicato, non intende solo fare del predicato il soggetto e del soggetto il predicato. Sarebbe troppo poco, anzi a ben vedere nulla.
Sostiamo ancora un istante sulla dichiarazione di Bousquet. “La mia ferita esisteva prima di me, io sono nato per incarnarla”. L’accidente esisteva prima di me; il soggetto, la sostanza, nasce grazie all’evento; nasce incarnando l’incontro con la pallottola. Bousquet sembra capovolgere il nostro modo di pensare, il nesso secondo cui ci sarebbe qualcosa di stabile, di permanente, di immutabile, e questo immutabile sarebbe ciò a cui accade qualcosa, ciò che solo pensandolo come immutabile consente che qualcosa di mutevole accada. Bousquet però non si limita a rovesciare tutto questo, a dire che ci sarebbe qualcosa di stabile, di immutabile, ma questo non sarebbe ciò a cui accade qualcosa, bensì ciò che accade. Bousquet suggerisce piuttosto che eterno è proprio l’impermanente, immutabile è proprio il mutamento, eterno è proprio l’evento. E l’evento non per questo smette di essere evento, il tratto che si scrive non per questo diviene tavola su cui qualcosa si scrive. C’è solo il tratto, c’è solo l’evento. Bousquet-Deleuze non replicano affatto lo schema aristotelico, non lo ripetono a parti capovolte. Tutto cambia.

3. Il labirinto

Nel momento in cui Leibniz inizia il suo cammino, parte da una posizione del problema che è sostanzialmente scolastica. Si chiede che cosa è essenziale, che cosa è un’essenza. Si chiede che cosa è una cosa, che cosa fa sì che una cosa sia proprio quella cosa che è. Che cosa fa sì che Joë Bousquet sia esattamente Joë Bousquet, quando Bousquet diviene effettivamente Bousquet? È una domanda che resterà centrale in Leibniz dall’inizio alla fine del suo lavoro. L’idea di sostanza individuale, che domina la Monadologia, vero e proprio compendio di tutta una vita filosofica, sarà la risposta a questa domanda. Ma sarà una risposta molto particolare, una risposta che sposta tutti i termini della domanda iniziale, che sottopone tutti i termini della domanda iniziale a un esercizio di contraffazione. La sostanza individuale è una perversione della sostanza aristotelica, una parodia sfacciata dietro sembianze di fedeltà e di rispetto.
La domanda del giovane Leibniz, proprio perché è una domanda aristotelica, è una domanda che riguarda l’essenza delle cose, si muove a valle del presupposto che le cose abbiano un’essenza. Potrei togliere l’episodio della pallottola, ma Joë Bousquet sarebbe ancora Joë Bousquet? E se ripetessimo la domanda a proposito di episodi via via meno drammatici, a che altezza dovremmo fermarci? Quando potremmo affermare che un certo evento è stato ininfluente su Bousquet, sul suo essere Bousquet? Un singolo incontro con “Pesce d’oro” è ancora significativo o inizia a non esserlo più così tanto? Un caffè bevuto distrattamente è abbastanza insignificante per escluderlo dal conto, o significa ancora qualcosa? Tutto il problema del calcolo infinitesimale, del passaggio al limite, della soglia, è pronto a esplodere. Ma l’esplosione è ancora lontana. È la situazione in cui Leibniz si trova in un testo che redige intorno al 1688 e intitola De abstracto et concreto3. La domanda di Leibniz in quelle pagine è presto detta. Si chiede “come certe realtà ineriscano ai soggetti”. Noi potremmo tradurre: “come certe pallottole ineriscano davvero a certi poeti francesi”. In generale: come i predicati ineriscono ai soggetti a cui li leghiamo in una proposizione.
Leibniz esamina tutta una serie di ipotesi. Nessuna percorribile in maniera convincente. Prima ipotesi: l’accidente è parte della realtà della sostanza, dice Leibniz. Seconda ipotesi: l’accidente aggiunge alla realtà della sostanza altre realtà, altre parti, dice ancora Leibniz. Posta questa alternativa, questo primo bivio, Leibniz ha di fronte a sé un’altra serie di biforcazioni. Un secondo tratto di labirinto gli si apre davanti agli occhi. Leibniz percorre di nuovo due strade simmetriche, e neppure stavolta le cose funzionano. Ciascuna via si sdoppia nuovamente, e ciascuno di questi cammini ulteriori appare infine aporetico. Un solo esempio può bastare a darci il senso d’insieme, la natura ripetitiva, l’insistenza ossessiva di questo labirinto. Pensiamo alla prima ipotesi: l’accidente è parte della realtà della sostanza. Se l’accidente è parte della sostanza, al nascere o al morire degli accidenti, così si esprime Leibniz, al nascere o al morire degli accidenti anche la sostanza nasce o muore. Dunque, domanda di Leibniz: ma nasce o muore nella sua totalità, la sostanza, al nascere o morire dell’accidente?
Se prendiamo la via del sì, allora non c’è più sostanza, c’è solo l’accidente, ci sono solo accidenti, che però iniziano a valere come sostanze. E allora ecco che il problema si replica, tale e quale, su un altro piano, in un nuovo labirinto; bisognerà chiedersi come fanno queste altre sostanze a divenire, a entrare in relazione con certe realtà, come dice Leibniz, a diventare il luogo o il supporto a cui quelle realtà iniziano a inerire. Se invece prendiamo la via del no, se diciamo che la sostanza non nasce e non muore col nascere e col morire degli accidenti, allora la sostanza è fondamentalmente immobile, è fondamentalmente impassibile, è identica dall’inizio alla fine; salvo che non ha più niente a che fare la singolarità delle situazioni, col fatto che le cose sono proprio ciò che sono, come dicevamo all’inizio; col fatto che per esempio Bousquet è a un certo punto un giovane di belle speranze, poi un ferito sospeso tra la vita e la morte, poi un fascinoso poeta che riflette sulla sua condizione di paralizzato, eccetera eccetera.

4. L’estensione

Abbiamo visto il labirinto. Ragnatela di ipotesi senza uscita, tutte fallimentari rispetto al problema che dovevano risolvere, che è il problema dell’inerenza di una realtà a un’altra realtà, dell’incontro tra qualcosa e qualcos’altro, del divenire qualcos’altro di un primo qualcosa. Non è un caso se Leibniz tr...

Indice dei contenuti

  1. mimesis
  2. Cap. 1 L’evento
  3. Cap. 2 L’automa
  4. Cap. 3 L’istante qualsiasi
  5. Cap. 4 L’inconscio, una storia di fantasmi
  6. Nota al testo