Capitolo 1
Finalmente riesci a contattare Ivelise. La sua voce è affranta. Le chiedi notizie. Ti risponde che il babbo non sta affatto bene. Lei lo chiama babbo. Ti dice che ha le gambe gonfie. Che la velocità del TPA è cresciuta e che ciò è preoccupante.
Ammutolisci. Come un anno fa, quando ti confidò della malattia. Eri seduto in un’automobile, lato passeggero, e al termine della comunicazione ti sentisti nella condizione di chi non sapesse se entrare in un luogo sconosciuto o uscirne.
Da quel che intuisci – provi a indovinare – potrebbe vivere un anno ancora?
“Meno. Meno.”
Da quel che puoi sperare – e proprio non ti arrendi – forse siamo pessimisti?
Non sai da che parte incominciare. Sono così tanti gli anni che non sei in grado di metterli in fila. Perlomeno non come Mario ha appena terminato di fare, camminando per un anno intero sulle sue stesse orme. E il destino, per cui dinanzi a lui non ve ne siano più, di anni, ti incoraggia a cercare un’immagine di partenza. Di fermarti, di rispondere a questa chiamata.
Fermati.
Posa la guancia sul palmo della mano, fai riposare l’occhio sinistro, che ti duole. Non darti pensiero se fuori del tuo studio non vi sia chi offra un aiuto. Domanda il meno possibile, rispondi quasi nulla a chi te ne chiede.
Inizia.
E inizia da una scena banale. Tu sei un ragazzino, uno studente universitario. Stai passeggiando lungo un vialone di mezza periferia romana quando t’imbatti in una bancarella improvvisata. In città quelle di libri sono numerose e ricche di proposte. Non hanno niente dei remainders e delle loro copertine sin troppo colorate. Le bancarelle traboccano di volumi rivoluzionari e di mansarde svuotate in fretta. Insomma occhieggiarvi è sempre divertente, anche perché il rapporto con la lettura è naturale come mangiare e dormire. Non se ne fa una ragione di orgoglio né ci si vanta della scoperta di autori scontati. È come se certe gerarchie culturali siano ben attive, come se la conoscenza altrui sia considerata con rispetto, perché vi è molta storia dietro.
Eccome se ce n’è! L’Europa è illuminata da menti eccelse, narrata da penne favolose, letta e studiata da giovani un po’ umili. E tu, non soltanto stai camminando per una anonima strada romana, ma anche ti sorprendi a un incrocio che ti piacerà sempre meno, tra le diagonali del moravianesimo e le curve a gomito del pasolinismo; l’uno che legge ai semafori rossi, l’altro che mortalmente va cedendo alla vita.
Hai detto a Ivelise che venerdì cercherai di arrivare a Nemi ma non farai in tempo perché il giorno prima ti operano e l’occhio brucia troppo per guidarci su. Mario ti aveva chiesto: “Sarai in day hospital?” Gli avevi risposto di sì.
Di nuovo ti volgi indietro e sei tutto preso a disordinare pianali di copertine buttate alla rinfusa, in piazza Gimma, finché ti si para tra le mani un volume di immensa bellezza il cui titolo ti va diritto al cuore: L’Impossibile! Per una bizzarria di Mario Guaraldi, editore riminese, il libro è stampato in caratteri bianchi su pagine nere. Non c’è bisogno di contrattare, il venditore lo valuta quanto un usato qualsiasi; invece a te sembra inestimabile, dalla sua copertina trasparente al peso della carta, fino a quel suo potente annuncio. Dell’autore hai a malapena orecchiato il nome. Sebbene più d’uno, negli anni a seguire, se ne proclamerà scopritore e pioniere, a metà dei Settanta di Georges Bataille, in Italia, non si ode che un’eco lontana. Per almeno due ragioni: la sua ostilità ad André Breton e la sua indifferenza sovrana nei confronti del potere letterario e critico di Jean-Paul Sartre.
E dire che Surrealismo ed Esistenzialismo rappresentavano due Religioni del Sapere e dell’Immaginare, mica modarelle passeggere... Bataille le aveva avversate all’apice della loro immunità culturale.
“La generazione a cui appartengo – ricordava – è una generazione tumultuosa. Essa si è aperta alla vita letteraria in mezzo agli sconvolgimenti del surrealismo. Gli anni che seguirono alla prima guerra mondiale furono caratterizzati da un’emozionalità traboccante. La letteratura soffocava dentro i suoi limiti. Pareva portare in sé una rivoluzione.”
Senza saperne un granché, stai per acquistare l’ultima opera di un intellettuale sommamente coraggioso, la cui alterità neanche era misurabile con il centimetro dell’eterogeneità. Essa rilevava di un pensiero che, nella medesima misura, si mostrava distante dall’accademismo e dalle avanguardie. E giganteggiava. Per carità, in nessun caso un giovane lettore del tuo tempo si sarebbe permesso di schifare la corte surrealista... Lì attorno molti talenti insuperati avevano disfatto e ricreato l’universo. Ma allora non licenziavate con sufficienza alcuna firma eccellente. Il rispetto e l’ammirazione valevano quanto un’introduzione alla lettura. E godevate della circostanza che il sogno, l’erotismo e l’inconscio fossero diventati opere grazie al talento di una schiera di artisti bravissimi a desiderare, a pensare e a immaginare insieme.
“Benché le parole si approprino in noi di quasi tutta la vita, in noi sussiste una parte muta, nascosta, inafferrabile.”
In quel suo pensiero che tu davvero non riuscivi a contenere appieno, resisteva l’ambizione, sempre eccessiva, di vivere l’esperienza dell’Impossibile senza con ciò lasciarsi indietro il limite di quell’atto estremo.
Capitolo 2
Nel leggere L’Impossibile, la curiosità cresce di pagina in pagina. Senti che non sarà una gita ma un viaggio. E infatti da quella partenza in poi leggerai più o meno quattromila pagine, su ciascuna appuntando la parola chiave. Un metodo privo di senso, a parte la sacralità di quella ripetizione.
Tutto quel che Georges Bataille aveva scritto.
Per un po’ ignori il fine ultimo di quell’impresa solitaria; certo approfondisci tante nozioni che ti verranno utili per ragionare e per vivere: le nozioni della trasgressione, dell’interdetto, del dispendio, della sovranità, del male, del riso, della morte dell’altro, del sacrificio...
“Chiamo esperienza un viaggio ai limiti dell’umano possibile. Ciascuno è libero di non compierlo ma, se lo fa, ciò suppone la negazione delle autorità, dei valori esistenti che limitano il possibile. Da che negava altri valori, altre autorità, l’esperienza avente esistenza positiva diventa essa stessa positivamente il valore e l’autorità.”
Soprattutto vai imparando che la costruzione di una propria cultura esime dal rompere le scatole al prossimo, e che ostentare le due o tre cose che si sanno è davvero una cretineria. Dal tuo autore trai l’esercizio di una modestia un po’ autentica, quella per cui gli elementi fondamentali dell’esistenza possono insegnarteli, tanto il grande filosofo quanto l’anonimo membro di una tribù indiana della British Columbia. Questa pattuglia di avventurosi intellettuali del Novecento, che da Bataille in poi si sarebbe arrischiata sui precipizi dell’interdetto, ti lascerà in dono la coscienza di fare e di valere quanto l’intero mondo che pensa, scrive o legge come e meglio di te. Artisti e scienziati che nessun bisogno hanno di dichiarare i loro beni e di compiacersene.
E perché questa lunga parentesi a mo’ di prologo se non per la memoria che ti riporta a quella sera tarda in cui, spulciando tra note e cataloghi, scopri che vi sarebbe un solo filosofo italiano ad aver dedicato un intero saggio a Georges Bataille.
Ne appunti nome e cognome e ti addormenti, con L’Esperienza interiore che ti si spagina sul petto.
Il giorno dopo sarebbe un gran daffare, se non fosse per la paura di bruciare l’unica opzione che la società tipografica ti abbia concesso. Giocartela varrebbe a dire cenare a casa dei tuoi, recarti nella camera di servizio, prendere il tomo secondo dell...